il commento al vangelo della domenica

CHI DI VOI E’ SENZA PECCATO, GETTI PER PRIMO LA PRIETRA CONTRO DI LEI 

commento al vangelo della quinta domenica di quaresima (13 marzo 2016) di p. Alberto Maggi: 

p. Maggi

Gv  8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Nel vangelo di Luca ci sono undici versetti che, per molto tempo, nessuna comunità cristiana voleva al suo interno. Ai primi tempi i vangeli non erano riuniti. Ogni comunità aveva il suo vangelo e lo trasmetteva alle altre comunità. Ebbene, quando in una comunità arrivava il vangelo di Luca venivano tolti questi undici versetti.
Sono i versetti che poi hanno trovato alloggio e ospitalità nel vangelo di Giovanni, al capitolo otto, dal primo versetto all’undicesimo. In realtà se togliessimo questo brano dal vangelo di Giovanni e lo inserissimo al suo posto originario, nel capitolo 21 dopo il versetto 38 del vangelo di Luca, vedremmo che era quello il suo contesto.
Ma come mai nessuna comunità ha voluto questo brano, addirittura per un secolo, e per cinque secoli questo brano di vangelo non è apparso nella liturgia e fino al 900, quindi sono passati tanti anni, non è stato commentato dai padri di lingua greca? Ebbene, abbiamo la testimonianza preziosa di S. Agostino, quindi nel IV secolo che scrive: Per timore di concedere alle loro mogli l’impunità di peccare, tolgono (i componenti delle comunità cristiane) dai loro codici (cioè il testo del vangelo) il gesto di indulgenza che il Signore compì verso l’adultera, come se colui che disse “d’ora in poi non peccare più” avesse concesso il permesso di peccare.
Quindi erano gli uomini, i mariti, che non volevano questo brano, perché l’indulgenza di Gesù verso la donna adultera sembrava mettesse in pericolo la loro famiglia, la loro unità coniugale.
Ma leggiamo questo brano importante che, ripeto, anche se oggi si trova nel vangelo di Giovanni, in realtà è di Luca, il linguaggio è di Luca.
Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino.., letteralmente all’alba. E’ importante quest’indicazione temporale… si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ormai l’abbiamo visto, ogni volta che il popolo va verso Gesù e Gesù tenta di liberare, di far crescere, di far maturare il popolo, ecco subito la reazione delle autorità religiose.
Loro vogliono sottomettere il popolo, non renderlo indipendente. Infatti gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio. Sappiamo che è l’alba quindi probabilmente avevano spiato questa situazione.
La posero in mezzo e gli dissero: «Maestro…” E questa è l’ipocrisia delle persone religiose, non vogliono apprendere da Gesù, vogliono solo ingannarlo, vogliono condannarlo.
“questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.” Notiamo il disprezzo per questa creatura.
“Tu che ne dici?». Dal fatto che la pena richiesta sia la lapidazione, si comprende che questa donna è nella prima fase del matrimonio. Il matrimonio in Israele avveniva in due tempi. Il primo quando la ragazza aveva dodici anni e il maschio diciotto, c’era la fase chiamata lo sposalizio, un anno dopo cominciava la convivenza e questa seconda fase erano le nozze.
Se la donna commetteva adulterio nella prima fase, quella dello sposalizio, veniva lapidata. Se, al contrario, l’adulterio era commesso nella seconda fase, veniva strozzata. Il fatto che chiedono per questa ragazza, per questa ragazzina, la lapidazione, significa che è una ragazzina tra i dodici e i tredici anni.
“Tu che ne dici?» E’ una trappola. Gesù comunque risponda si dà la zappa sui piedi. Perché se dice: “Bene ubbidiamo alla legge divina”, tutto questo popolo che ha seguito Gesù perché ha sentito in lui un afflato diverso, ha sentito l’eco dell’amore e della misericordia di Dio, rimane deluso e lo lascia. Se al contrario Gesù dice: “No, non lapidiamola”, siamo nel tempio, c’è la polizia, e Gesù può essere arrestato perché contravviene la legge divina, la legge di Mosè.
Infatti l’evangelista commenta: Dicevano questo per metterlo alla prova … letteralmente “tentarlo”, è il verbo è che l’evangelista adopera per il diavolo, quindi questi zelanti difensori della tradizione e dell’ortodossia in realtà per l’evangelista non sono altro che strumenti del diavolo. E per avere motivo  di accusarlo.  L’evangelista è feroce: le autorità religiose svolgono l’azione del diavolo. Chi è il diavolo? Colui che tenta, colui che accusa.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Quale può essere il significato di questo silenzio di Gesù e l’azione di scrivere? E’ probabilmente un rimando al profeta Geremia, capitolo 17, versetto 13 dove si legge: “Saranno scritti nella terra, nella polvere, quanti hanno abbandonato il Signore”. E’ la denuncia di Gesù: questi zelanti difensori dell’ortodossia, della tradizione, queste persone tanto religiose, in realtà hanno abbandonato il Signore perché covano sentimenti di odio, covano sentimenti di morte.
Nella prima lettera di Giovanni si dirà poi bene: “Chi non ama rimane nella morte”.
Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo una pietra contro di lei». Non si tratta, come a volte vediamo nelle immagini o nei film la gente che prende la pietra e la lancia. La prima pietra era quella che lanciavano i testimoni dell’accusa, era un masso che doveva pesare circa 50 Kg, e veniva gettato sulla donna che era stata calata in una fossa, e in pratica era la pietra che la uccideva. Quindi Gesù dice “Chi è senza peccato esegua la sentenza di morte”.
E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.  Il termine adoperato dall’evangelista non vuole indicare tanto “i vecchi, gli anziani”, ma il termine greco è “presbitero”, che sono i componenti del sinedrio, quelli che giudicavano. Il sinedrio era il massimo organo giuridico di Israele, composto dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dai presbiteri. Sono quelli che giudicavano, sono questi che se ne vanno.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Il finale è carico di grande tenerezza.
Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». Gesù si rivolge con grande rispetto a questa donna. E Gesù disse … Gesù è l’unico in cui non c’è peccato, l’unico che poteva condannarla, scagliare la prima pietra e poteva rimproverarla, ma Gesù non rimprovera e dice: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Gesù non perdona la donna, perché la donna è già perdonata da Dio, ma le comunica la forza per tornare a vivere. Gesù non scaglia su questa donna la pietra che la schiaccia, ma le offre la sua parola che l’aiuti a continuare a vivere.




H. Kung e l’infallibilità papale

ripensare l’infallibilità?

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testo* di Hans Kung pubblicato da “la Repubblica”  

*Il testo è un’anteprima del quinto volume dell’opera omnia di Küng Unfehlbarkeit in uscita in Germania

 

HANS KUNG HANS KUNG

È difficile immaginare che papa Francesco avrebbe fortemente voluto una proclamazione della infallibilità papale come quella che nel diciannovesimo secolo venne sollecitata da Pio IX con ogni mezzo. Si può invece ritenere che Francesco (come fece a suo tempo Giovanni XXIII davanti agli studenti del collegio greco) dichiarerebbe sorridendo: «Io non sono infallibile».

 

Papa Pio XIIpapa Pio XII

Di fronte allo stupore degli studenti, Giovanni aveva aggiunto: «Sono infallibile solo quando parlo ex cathedra, ma non parlerò mai ex cathedra». Questo tema mi è familiare da tempo. Ecco qualche importante dato storico, che ho acquisito di persona e ho meticolosamente documentato nel quinto volume delle mie opere complete.

 

1950: Il 1° novembre Pio XII proclama come dogma di fronte a una folla gigantesca: «L’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». Allora, studente ventiduenne di teologia, accolsi con entusiasmo questo evento.

 

GIOVANNI XXIII NEL 1962 GIOVANNI XXIII nel 1962

Fu dunque un primo infallibile pronunciamento ex cathedra del supremo maestro e pastore della Chiesa cattolica, il quale si appellò alla particolare assistenza dello Spirito Santo, in piena conformità alla proclamazione dell’infallibilità papale avvenuta nel Concilio Vaticano secondo

 

1958: Con la morte di Pio XII giunge alla fine anche il secolo dell’eccessivo culto di Maria promosso dai papi “Pii“. Il suo successore Giovanni XXIII è contrario a nuovi dogmi e la maggioranza del Concilio decide con una votazione aperta di non promulgare un proprio decreto su Maria, anzi, mette in guardia da manifestazioni esagerate di devozione mariana.

 

1965: Nella costituzione pastorale sulla Chiesa si trova – capitolo III sulla gerarchia – l’articolo 25 sull’infallibilità, che però sorprendentemente non viene affatto discusso. Tanto più che di fatto il Vaticano II ha proceduto a un allargamento sconcertante, estendendo espressamente e senza motivazione all’episcopato quell’infallibilità che il Vaticano I aveva attribuito solo al papa.

citta?? del vaticano città del Vaticano

 

1968: Appare l’Enciclica Humanae Vitae sulla regolazione delle nascite. L’enciclica, che vieta come peccato grave non solo la pillola e i mezzi meccanici, ma anche l’interruzione del rapporto sessuale per evitare una gravidanza, viene percepita come un’enorme provocazione. Con essa il papa si pone in contrasto, per così dire, con tutto il mondo civilizzato, richiamandosi al suo infallibile magistero e a quello dell’episcopato. Certo, le proteste formali e le obiezioni materiali sono importanti, ma questa pretesa di infallibilità delle dottrine papali non può proprio essere riesaminata a fondo? Ne faccio un tema di discussione nel mio libro Infallibile? Una domanda, del 1970.

 

I PAPI SANTI IN VATICANO CANONIZZAZIONE DI WOJTYLA E RONCALLI I PAPI SANTI IN VATICANO CANONIZZAZIONE DI WOJTYLA E RONCALLI

1979/1980: Revoca della mia abilitazione alla docenza in teologia cattolica. Che si trattasse di un’azione segreta preparata nel minimo dettaglio, dimostratasi contestabile sul piano giuridico, infondata su quello teologico e controproducente su quello politico, è ampiamente documentato nel secondo volume delle mie memorie, Verità contestata. A quel tempo il dibattito si soffermò a lungo su questa revoca della mia missione sulla infallibilità. Tuttavia, la mia considerazione nella comunità religiosa non poté essere distrutta.

 

E, come avevo previsto, le discussioni sui grandi compiti della riforma non sono cessate. Mi riferisco al dialogo interconfessionale, al reciproco riconoscimento delle funzioni e delle celebrazioni eucaristiche, alle questioni del divorzio e dell’ordinazione sacerdotale delle donne, al celibato ecclesiastico e alla drammatica crisi delle vocazioni, e soprattutto alla guida della Chiesa cattolica. Posi la questione: «Dove state portando questa nostra Chiesa?».

 

I PAPI SANTI IN VATICANO CANONIZZAZIONE DI WOJTYLA E RONCALLI RATZINGERRATZINGER

Dopo 35 anni, questi interrogativi sono attuali ora come allora. Ma la ragione decisiva dell’incapacità di realizzare riforme a tutti questi livelli continua ad essere la dottrina dell’infallibilità del magisterio, che ha portato alla nostra Chiesa un lungo inverno. Come allora Giovanni XXIII, anche oggi papa Francesco cerca con tutte le forze di far soffiare un vento fresco sulla Chiesa. E deve scontrarsi con una forte resistenza, come in occasione dell’ultimo sinodo mondiale dei vescovi dell’ottobre 2015. Non ci si faccia illusioni, senza una “re-visione” costruttiva del dogma dell’infallibilità un reale rinnovamento sarà ben difficilmente possibile.

 

giubileo san pietro giubileo in san Pietro

Tanto più sorprendente, allora, è che la discussione su questo tema sia scomparsa dallo schermo. Molti teologi cattolici, temendo sanzioni come quelle che hanno colpito me, hanno quasi rinunciato a esprimere posizioni critiche sull’ideologia dell’infallibilità, e la gerarchia cerca, per quanto possibile, di evitare un tema così impopolare nella Chiesa e nella società. Solo poche volte Joseph Ratzinger vi si è richiamato, nella sua veste di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Ma, tacitamente, il tabù dell’infallibilità ha bloccato tutte le riforme che, a partire dal Concilio Vaticano II, avevano sollecitato una revisione di precedenti definizioni dogmatiche.

 

giubileo la messa a san pietro 3 giubileo e la messa a san Pietro

2016: È il mio ottantottesimo anno di vita, e posso dire di non essermi risparmiato per raccogliere i numerosi testi compresi nel quinto volume delle mie opere complete. Ora, con questo libro in mano, vorrei rivolgere di nuovo al papa un appello che ho più volte inutilmente lanciato nel corso di una discussione pluridecennale in materia di teologia e di politica della Chiesa.

 

Imploro papa Francesco, che mi ha sempre risposto in modo fraterno: «Riceva questa ampia documentazione e consenta nella nostra Chiesa una discussione libera, non prevenuta e aperta su tutte le questioni irrisolte e rimosse legate al dogma dell’infallibilità. Non si tratta di banale relativismo, che mina i fondamenti etici della Chiesa e della società. E nemmeno di rigido e insulso dogmatismo legato all’interpretazione letterale. È in gioco il bene della Chiesa e dell’ecumene.

 giubileo la folla a san pietro giubileo la folla a san Pietro

Sono ben consapevole che a lei, che vive “tra i lupi“, questa mia preghiera potrà sembrare poco opportuna. Ma lo scorso anno lei ha coraggiosamente affrontato malattie curiali e perfino scandali, e nel suo discorso di Natale del 21 dicembre 2015 alla curia romana ha ribadito la sua volontà di riforma: “Sembra doveroso affermare che ciò è stato – e lo sarà sempre – oggetto di sincera riflessione e decisivi provvedimenti. La riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché Ecclesia semper reformanda”.

 

papa a san pietro papa Francesco a san Pietro

Non vorrei accrescere in modo irrealistico le aspettative di molti nella nostra Chiesa; la questione dell’infallibilità nella Chiesa cattolica non può essere risolta dal giorno alla notte. Ma per fortuna lei è più giovane di me di quasi dieci anni e, come tutti ci auguriamo, mi sopravvivrà.

 

E certamente comprenderà che io, da teologo alla fine dei miei giorni, sostenuto da una profonda simpatia per lei e per la sua azione pastorale, abbia voluto, finché sono in tempo, esporre la mia preghiera per una libera e seria discussione sull’infallibilità, motivata come meglio posso nel presente volume: non in destructionem, sed in aedificationem ecclesiae, “non per la distruzione, ma per l’edificazione della Chiesa“. Per me personalmente sarebbe la realizzazione di una speranza mai abbandonata».




la guerra non risolve nessun problema! occorre alzare la voce contro

sul precipizio!

di Tommaso Di Francesco
in “il manifesto” del 2 marzo 2016

Tommaso Di Francesco

 

la guerra altro non è che seminagione d’odio. Nessuno dei conflitti proclamati dall’Occidente dal 1991 ad oggi — Iraq, Somalia, Balcani, Afghanistan, Libia, Siria — ha benché minimamente risolto i problemi sul campo, anzi li ha tragicamente aggravati

Senza l’intervento in Iraq del 2003, ha confessato «scusandosi» lo stesso ex premier britannico Tony Blair, tanto caro al rottamatore Matteo Renzi, lo Stato islamico nemmeno esisterebbe. Gli «Amici della Siria», vale a dire tutto lo schieramento occidental-europeo più Arabia saudita e Turchia, hanno fatto l’impossibile per fare in tre anni in Siria quel che era riuscito in Libia, alimentando e finanziando milizie e riducendo il Paese ad un cumulo di macerie alla mercé di gruppi più o meno jihadisti e con così tanti errori commessi da permettere alla fine il coinvolgimento in armi e al tavolo negoziale perfino della Russia di Putin.guerra1

I rovesci in Libia tornano addirittura nelle elezioni statunitensi, con il New York Times che, con focus su Hillary Clinton, ricorda la posizione favorevole alla guerra di fronte ad un recalcitrante Obama. Senza dimenticare la tragedia americana dell’11 settembre 2012 a Bengasi. Quando Chris Stevens, l’ex agente di collegamento con i jihadisti che abbatterono Gheddafi grazie ai raid della Nato, cadde in una trappola degli integralisti islamici già alleati e venne ucciso con tre uomini della Cia. Hillary Clinton, allora Segretario di Stato uscì di scena e venne dimissionato l’allora capo della Cia David Petraeus. Perché la guerra ci ritorna in casa. Avvitandosi nella spirale del terrorismo islamista. Dalle «nostre» guerre fuggono milioni di esseri umani. Quando partirono i primi raid della Nato sulla Libia a fine marzo 2011, cominciò un esodo in massa di più di un milione e mezzo di persone, tante quelle di provenienza dall’Africa centrale che lavoravano in territorio libico, ne fu coinvolta la fragilissima e da poco conquistata democrazia in Tunisia. Quell’esodo, con quello da Iraq e Siria, prova disperatamente ogni giorno ad attraversare la barbarie dei muri della fortezza Europa. Tutto questo è sotto la luce del sole. Come il fatto che l’alleato, il Sultano atlantico Erdogan, da noi ben pagato, preferisca massacrare i kurdi che combattono contro l’Isis piuttosto che tagliare gli affari e le retrovie con il Califfato. Eppure siamo di nuovo in procinto di innescare un’altra guerra in Libia. Dopo che il capo del Pentagono Ashton Carter ha schierato l’Italia sostenendone la guida della coalizione contro l’Isis e per la sicurezza dei giacimenti petroliferi. Il ministro Gentiloni si dichiara «pronto».guerra

In altri tempi si sarebbe detto che un Paese dalle responsabilità coloniali non dovrebbe esser coinvolto. Adesso è motivo d’onore: siamo al neo-neocolonialismo. Motiveremo questa avventura nel più ipocrita dei modi: sarà una «guerra agli scafisti». Sei mesi fa quando venne annunciata, Mister Pesc Mogherini mise le mani avanti ricordando, com’è facile immaginare, che ahimé ci sarebbero stati «effetti collaterali». Nasconderemo naturalmente il business e gli interessi strategici ed economici. Ormai siamo alla rincorsa della pacca sulle spalle Usa e delle forze speciali francesi, britanniche e americane già sul terreno. L’Italia ha convocato nei giorni scorsi il suo Consiglio supremo di difesa e prepara l’impresa libica. Con un occhio all’Egitto sotto il tallone di Al Sisi, ora in ombra per l’assasinio di Giulio Regeni. C’è da temere che la giustizia sulla morte di Giulio Regeni venga ulteriormente ritardata e oltraggiata, e di nuovo silenziata la verità sul regime del Cairo, criminale quanto l’Isis. Perché l’Egitto — anche con i suoi silenzi? — resta fondamentale per la guerra in Libia: è la forza militare diretta o di supporto al generale Haftar, leader militare del governo e del parlamento di Tobruk che
ancora ieri ha rimandato il suo assenso (che alla fine arriverà) ad un esecutivo libico «unitario». È una decisione formale utile solamente a richiedere l’intervento militare occidentale. Perché la Libia resta spaccata almeno in tre parti, con Tripoli guidata da forze islamiste che temono che un intervento occidentale diventi un sostegno alle forze dello Stato islamico posizionate a Sabratha, Derna, Sirte, già impegnate nella propaganda anti-italiana prendendo senza vergogna in mano la bandiera e le gesta di Omar Al Muktar, l’eroe della resistenza al colonialismo fascista italiano. Mancano pochi giorni al precipizio. Chi ha a cuore l’articolo 11 della Costituzione, chi è contro la guerra, una delle ragioni per ricostruire e legittimare lo spazio della sinistra, alzi adesso la voce.




in memoria di Domenico Maselli

Maselli

una vita per il dialogo.

“Il sogno? L’unità dei protestanti”

lunedì 7 marzo i funerali dello storico e pastore valdese nella basilica di San Frediano

il suo impegno per l’ecumenismo e l’esperienza da deputato

 




il frate cappuccino e cardinale a proposito del film ‘Spotlight’

‘Spotlight’

il cardinale  O’Malley: “Film importante per aprire gli occhi sulla tragedia degli abusi”

il presidente della Commissione tutela minori e arcivescovo di Boston, diocesi al centro degli scandali narrati nella pellicola, spiega come i media hanno aiutato la Chiesa a riconoscere i propri ‘peccati’

Card. O'Malley -Centre for Child Protection

non poteva non esprime il suo punto di vista il cardinale Sean O’Malley su Il caso Spotlight, la pellicola vincitrice del premio Oscar 2016 come miglior film e miglior sceneggiatura. Il porporato, uno dei membri del C9, è doppiamente coinvolto dal lungometraggio di Tom McCarthy: sia come presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, istituita dal Papa nel 2014 per combattere il cancro della pedofilia e degli abusi nella Chiesa; sia come arcivescovo di Boston, proprio l’arcidiocesi al centro degli scandali di cui tratta il film che avvennero sotto la guida del cardinale Bernard Law, poi trasferito a Roma e di cui attualmente si sono perse le tracce

In un comunicato pervenuto a ZENIT, il cardinale cappuccino afferma: “Spotlight è un film importante per tutti coloro che sono stati colpiti dalla tragedia degli abusi sessuali da parte del clero”. “Fornendo dei report dettagliati sulla storia della crisi degli abusi sessuali del clero, i media hanno portato la Chiesa a riconoscere i crimini e i peccati dai suoi membri e cominciare ad affrontare le proprie debolezze, il danno arrecato alle vittime e alle loro famiglie, le esigenze dei sopravvissuti”.

“In una democrazia come la nostra, il giornalismo è essenziale per il nostro modo di vivere”, afferma O’Malley, che fu posto nel 2003 alla guida dell’arcidiocesi statunitense, esattamente un anno dopo lo scoppio degli scandali. “Il ruolo dei media nel rivelare la crisi degli abusi sessuali ha aperto una porta che la Chiesa ha oltrepassato per rispondere ai bisogni dei sopravvissuti”, sottolinea nel testo.

Il porporato lo sa bene essendosi trovato di fronte ad un clero ferito e demoralizzato, a gente arrabbiata che trovava difficile fidarsi ancora delle autorità e che aveva abbandonato di colpo la Chiesa, facendo collassare anche i bilanci delle parrocchie e delle scuole cattoliche. Il cardinale volle, peraltro, risarcire con i soldi dell’arcidiocesi le vittime dei crimini, poi avviò una paziente opera di ricucitura che partiva dalla richiesta personale di perdono e proseguiva con la creazione di nuove e più rigide regole, specie nella formazione del clero, fino alla diffusione di una “cultura vocazionale” utile anche alla prevenzione dei casi di abusi.

Tutto questo perché “proteggere i bambini e fornire assistenza alle vittime e alle loro famiglie deve essere una priorità in tutti gli aspetti della vita della Chiesa”, ribadisce il cardinale nel comunicato. Illustra quindi il lavoro attualmente condotto nell’arcidiocesi che, di fatto, riflette quello che passo dopo passo sta cercando di costruire insieme ai 15 membri della Commissione vaticana per la tutela dei minori.

“Siamo impegnati nell’attuazione di politiche e procedure di vigilanza per prevenire il ripetersi della tragedia di abusi su minori”, dice O’Malley, “queste includono programmi completi di educazione per bambini, il controllo obbligatorio di eventuali precedenti penali e la sicurezza degli ambienti di formazione, segnalazioni obbligatorie e collaborazione con le autorità civili per quanto riguarda le accuse di abusi, la cura dei sopravvissuti e delle loro famiglie, attraverso l’Ufficio di sostegno pastorale”.

L’arcidiocesi di Boston, aggiunge il prelato, “fornisce costantemente consulenza e assistenza medica per i superstiti e i familiari che cercano il nostro aiuto e restiamo saldi in tale impegno”. “Noi – soggiunge – continuiamo a chiedere perdono a tutti coloro che sono stati danneggiati dalla tragedia degli abusi sessuali del clero e pregare che ogni giorno il Signore ci guidi sul cammino verso la guarigione e il rinnovamento”.




la chiesa francese non può più star ferma

giungla di Calais

chiesa francese in campo

“non possiamo, né dobbiamo dimenticare che gli esseri umani non possono essere spostati come pezzi di un gioco strategico”

 

Il vescovo di Arras, Jean-Paul Jaeger, parla dello sgombero della “giungla di Calais, la baraccopoli in cui alloggiano migliaia di migranti provenienti soprattutto da Siria, Afghanistan e Sudan ricordando che bisogna sempre rispettare la dignità umana. In questo tempo di Quaresima, sottolinea monsignor Jaeger, “mancherebbe una dimensione alla nostra preghiera se non vi includessimo i nostri fratelli e sorelle rifugiatisi vicino a noi”.

“Sappiamo, purtroppo – scrive il presule in una nota ripresa da Radiovaticana – che il dramma di Calais non è che il riflesso di una tragedia che colpisce altrettanti uomini e donne in tutto il mondo”. Di qui, la sottolineatura forte della “incapacità dimostrata dalle forze internazionali, europee e nazionali, nel risolvere efficacemente le situazioni che costringono le persone a sradicarsi dal proprio Paese per cercare la sicurezza e la sopravvivenza altrove”. Il vescovo di Arras mette, inoltre, in risalto “la capacità di accoglienza” dei profughi stessi, che lottano per conservare la “loro umanità” anche “in condizioni di vita incredibilmente precarie”. Di qui, l’appello del presule a tutelare, in particolare, i bambini e le donne bisognose, perché “l’avvenire passa certamente attraverso il rispetto dell’umanità”.

Infine, Jaeger rende omaggio ai cittadini di Calais ed alla loro generosità, capace di andare incontro “alle sofferenze del mondo” e di “superare gli ostacoli” per salvaguardare “la dignità” del prossimo.




dipende! un approccio di maggior discernimento di fronte all’utero in affitto

i diritti dell’amore e quelli dei bambini

una belle e delicata riflessione di Concita De Gregorio in riferimento alla nascita del bambino di Nichi Vendola e di Ed Testa avuto col metodo dell’utero in affitto:

De Gregorio

la Repubblica, 1 marzo 2016

DIPENDE!

Vorrei vivere in un mondo dove fosse ancora possibile rispondere così a chi ti chiede — continuamente qualcuno ti chiede — cosa pensi della medicina naturale della riforma del Senato dell’accesso ai tracciati telefonici di un morto, delle donne che portano in grembo un bambino che sarà poi figlio di altri. Dipende, vorrei poter rispondere e invece non si può perché non c’è tempo, non c’è voglia di capire e di ascoltare, di distinguere: puoi solo votare adesso, mettere un mi piace, un pollice verso, scrivere un wow — oppure tacere. Finché un Salvini non dice «disgustoso egoismo» del fatto che Nichi Vendola e il suo compagno Ed Testa hanno avuto un figlio.

Vendola e compagno
E ALLORA cosa pensate dell’opinione di Salvini, su quale spalto sedete, in quale tifoseria vi iscrivete. Avanti, votate. No, non voto, vorrei poter dire. E poi non essere obbligata a tacere, il silenzio unico riparo superstite dal circo osceno delle opinioni sempre nette, sempre urlate, sempre senza dubbio e quasi sempre ignoranti delle ragioni ultime delle cose — ma domandare e ascoltare, piuttosto. Perché dipende. La complessità e la delicatezza delle scelte che riguardano la vita merita ascolto, prima di tutto, e uno sforzo grande di comprensione. Ciascuno di noi si è trovato almeno una volta a dover decidere se mettere al mondo o no un figlio, se mettere fine o no alla vita di un malato terminale, se rivelare o no un segreto, un tradimento, una passione. Ciascuno fa i conti con la legge certo, ma prima e soprattutto con la sua coscienza. Allora vorrei — lo vorrei per me, poi per gli altri — che ci fosse la capacità di provare a capire, conoscere, mettersi nei panni. Il giudizio, se proprio è necessario, dopo. Che poi non sempre è necessario. Il tribunale permanente delle coscienze altrui potrebbe ogni tanto anche prendersi un turno di riposo e considerare magari, nel silenzio del foro interiore, la propria.

De Gregorio C.
«Ognuno dal proprio cuor l’altro misura», ha detto Nichi Vendola di fronte al rigurgito del web. Ha ragione. Vi piace? Mettete un like. Se proprio è indispensabile dare un’opinione prima di esaminare i fatti dirò che sono sempre felice della felicità altrui. Per una ragione egoista e non altruista, aggiungo: perché mi rallegra, mi contagia. Sono dunque davvero e semplicemente felice di sapere che due persone che si amano abbiano il figlio che desideravano. Sono contenta di sapere che sia nato Tobia, e che la sua famiglia viva ore di meraviglia.
I fatti poi, finalmente: l’ex governatore della Puglia ha avuto un figlio in California da una donna che lo ha generato nel rispetto della legge. Il padre biologico del bambino è il suo compagno, Ed Testa. «La donna che lo ha portato in grembo e la sua famiglia sono parte della nostra vita», ha detto Vendola. In America, Paese che continuamente e a buon diritto portiamo ad esempio di libertà e democrazia, esistono delle regole in base alle quali una coppia dello stesso sesso può non solo sposarsi ma avere un figlio. Se sono due uomini, naturalmente da una donna. La quale deve avere alcune caratteristiche che riassumo brutalmente, me ne scuso, così: deve essere benestante e volontaria. Non in condizioni di necessità, non costretta. Una libera scelta. Lo schiavismo, la tratta delle donne, la sopraffazione, lo sfruttamento non hanno casa in questa storia. Siete dunque favorevoli o contrari all’utero in affitto, come lo abbiamo chiamato con orrenda formula? Dipende. Se la donna è prigioniera, indigente, schiava, costretta dalle condizioni di vita o dal sopruso di altri a vendere il tempo della sua gravidanza e poi suo figlio: sicuramente contrari. Se è una sua libera scelta, regolata dalla legge del Paese in cui vive, seguita e controllata da cento e cento occhi che vigilano su di lei sulla sua decisione chi sono io, chi siamo noi per giudicare?
Sull’adozione del figlio dell’altro ho letto e ascoltato parole sensatissime, competenti, chiare. Dal magistrato Melita Cavallo, per esempio, una vita spesa al servizio delle adozioni e dei bambini. Da Stefano Rodotà, giurista e uomo integro. Ma il bene del bambino?, sento però chiedere. È giusto che un bambino nato dal ventre di una donna debba essere separato dalla madre, non allattato da lei, portato a vivere in un altro Paese per assecondare il desiderio di una coppia che vuole un figlio? Istintivamente no, viene da dire. È qualcosa che ci mette a disagio, che crea malessere. Però dipende. Da un’infinità di variabili: chi sono quelle persone, che relazione avranno tra loro, se manterranno o meno il legame con le origini. Di che natura sarà quel legame. Dipende da quanto amore ci sarà, in definitiva. Viviamo in un Paese dove i tribunali dei minori tolgono i figli alle madri per darli in affido in numero triplo rispetto ad altri Paesi europei. Un racket dell’affido, hanno mostrato alcune inchieste. Conviene toglierli, qualcuno si arricchisce. È dunque sempre il bene del bambino, quello che orienta le decisioni? È sempre vero che per un bambino stare con sua madre è meglio che stare con una coppia di genitori che lo accoglie e lo ama diversamente da come il suo destino avrebbe deciso? Dipende. Caso per caso, bisogna andare a vedere. Avere testa e cuore. Tobia Antonio è un bambino strappato a sua madre? Tecnicamente, giuridicamente no. È un bambino nato in un cerchio di amore di cui la madre farà parte? Una vita ricca e complessa e difficile come quella di tutti, la sua vita? È possibile. Probabilmente sì.
In altre circostanze — moltissime altre — questo su Tobia non sarebbe un dibattito pubblico. Le coppie eterosessuali vanno a fare l’eterologa all’estero, le donne sole li concepiscono dove possono. Decine di bambini nascono così ogni mese da quelli che hanno soldi per farlo, questa sì è la vera discriminazione. Solo chi ha denaro può farlo, in Italia. In altri Paesi le donne e gli uomini soli — star, attrici, cantanti celebri — adottano e concepiscono in un batter di ciglia, poi occupano le copertine dei rotocalchi. Altri mentono: è il figlio naturale di mio marito, la madre lo ha abbandonato. Ci sono casi celebri, tutto lo sanno ma nessuno lo dice.
La nascita del figlio di Nichi Vendola è un fatto pubblico perché lui è un uomo pubblico. Il suo gesto e quello di Ed, all’indomani dell’approvazione della legge sulle unioni civili orfana dell’adozione del figlio dell’altro (stepchild adoption, lo abbiamo detto in inglese) è un gesto anche politico. È un modo per incarnare una battaglia. Per dire: eccomi, io sono qui. Quello che penso sia giusto è questo, faccio della mia vita un manifesto. È perciò legittimo il dibattito. Certo per chi lo patisce faticoso, ma legittimo. Se e quando l’Italia arriverà a scrivere una legge che prende atto della realtà è qualcosa che non sappiamo. Difficile, in questo clima, adesso. Ciascuno continuerà a fare come crede, e come può.
Secondo coscienza. E se sia giusto o sbagliato non possiamo davvero dirlo al posto di altri, è già molto difficile decidere per sé. Certo non possiamo farlo al posto di Tobia, che è senz’altro benvenuto al mondo. Potremmo chiederglielo quando sarà grande, se avremo la pazienza di aspettare. Pensa che sorpresa se fra vent’anni, con un sorriso, rispondesse: mah, dipende.




chi è Gesù?

COSA SIGNIFICA CHE GESÙ È IL DIO-CON-NOI?

di Alberto Maggi

maggi
che con Gesù, Dio non è più da cercare, ma da accogliere e con Lui e come Lui andare verso gli uomini. Mentre prima di Gesù la direzione degli uomini era orientata verso Dio, e tutto quello che si faceva si faceva per Dio e Dio era al primo posto e l’uomo al secondo: amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutto te stesso cioè l’amore a Dio era totale, l’amore al prossimo no: amerai il prossimo tuo come te stesso perciò un amore limitato, un amore relativo. Quindi prima di Gesù l’umanità era orientata verso Dio: tutto quello che faceva lo faceva per Dio; con Gesù tutto questo cambia. Con Gesù l’uomo non vive più per Dio ma vive di Dio e con Lui e come Lui non andrà più verso Dio, perché Dio è con noi, ma andrà verso gli uomini. Quindi nei Vangeli l’unico valore assoluto, l’unico valore veramente non negoziabile è il bene dell’uomo. Non c’è altro valore più importante del bene dell’uomo, questo è il significato del Dio-con-noi



l’utero in affitto è vecchio quanto la bibbia

Sara e Rachele l’utero in affitto ai tempi dei patriarchi

di Riccardo Di Segni*

stralci dell’articolo tratto da «Pagine Ebraiche»

Riccardo di Segni

Nella animata discussione che si sta sviluppando sul tema della maternità surrogata è stata tirata in ballo la matriarca Rachele come modello antico e sacro. La storia biblica racconta che la moglie prediletta del patriarca Giacobbe non riusciva ad avere figli e questo la faceva molto soffrire, fino al punto di offrire al marito la serva Bilhà: «unisciti a lei, che partorisca sulle mie ginocchia, e anche io possa avere figli da lei» (Gen. 30:3). Giacobbe obbedisce, Bilhà partorisce e Rachele dice: «il Signore mi ha giudicato e ha anche ascoltato la mia voce e mi ha dato un figlio» (v. 6)

Il paragone con la maternità surrogata starebbe nel fatto che una donna che non riesce ad avere figli ricorre a un’altra donna per averli. Ma fino a che punto il paragone regge? Intanto bisogna ricordare ai frequentatori casuali della Bibbia che la storia di Rachele che citano è la seconda di questo tipo, essendo preceduta da quella di Sara, moglie di Abramo, nonno di Giacobbe. Al capitolo 16 della Genesi si racconta che Sara non avendo figli consegna al marito Hagàr, la sua serva con la speranza di avere figli da lei; Abramo obbedisce, la mette incinta e a questo punto si scatena un dramma tra le due donne che porta alla cacciata di Hagàr, poi al suo ritorno e alla nascita di un figlio: «Abramo chiamò il nome di suo figlio che aveva generato Hagàr, Ismaele» (v. 15; si noti l’attribuzione della paternità e maternità). Anche qui c’è una situazione di sterilità che viene gestita con l’aiuto di una seconda figura femminile. L’analogia con la maternità surrogata ci sarebbe solo nel primo caso, ma con una fondamentale differenza: nella surrogata («in affitto») la madre biologica scompare del tutto di scena, nella storia biblica la madre affronta diverse vicende: Bilhà resta in famiglia, fa un altro figlio e alla morte di Rachele diventa la favorita; Hagàr entra in contrasto definitivo con Sara che la caccia via di nuovo e per sempre (almeno finché vivrà Sara); quanto ai figli, altra differenza essenziale: quelli di Bilhà, benché Rachel dica «mi ha dato un figlio», restano figli della madre biologica, divenuta «moglie» (Gen. 37:2), e quello di Sara rimane legato al destino di Hagàr e per questo vittima di una violenta reazione di rigetto («caccia via questa amà e suo figlio», ibid. 21:10). Nel caso di Rachele, quindi, il tentativo di appropriarsi di un figlio altrui sottraendolo alla madre biologica riesce solo in parte e questa madre non scompare; nel caso di Sara tutta la procedura sembra essere piuttosto una cura contro la sterilità, e il legame naturale tra madre e figlio non si interrompe. Tutto molto diverso dalla maternità surrogata. E ovviamente non si può dimenticare l’altra differenza: l’inevitabile necessità – in tempi biblici – di ricorso alle vie naturali di procreazione, mentre, e solo ai nostri giorni, queste possono essere sostituite dalla più asettica e certo meno appassionante soluzione della provetta. In più il modello biblico è quello di una famiglia patriarcale dove c’è un uomo fecondo con la sua signora sterile, diverso da alcune situazioni di single o di coppia in cui oggi si ricorre alla maternità surrogata; nella Bibbia in queste storie si apprezza il desiderio di maternità, non quello di paternità. Il messaggio biblico poi insegna una morale: nel caso di Bilhà il dramma si ricompone integrando in famiglia madre e figli, che però restano con una connotazione un po’ secondaria, come figli di una madre meno importante; nel caso di Sara c’è solo dramma, e addirittura, secondo la spiegazione di Nachmanide, questo dramma starebbe all’origine del risentimento storico dei discendenti di Ismaele nei confronti dei discendenti del figlio naturale di Sara, Isacco. Come a dire: andiamoci piano con certe procedure. Un’ultima considerazione: le persone che vengono usate per questo «esperimento» biologico sono delle serve. Se si fanno confronti tra maternità surrogata e storia di Rachele e Sara, per dire che c’è un precedente che la giustifica, va tenuto ben chiaro che si tratta di sfruttamento di persone non libere. Il che non è un bel modo per giustificare moralmente una procedura attuale.
*Rabbino capo di Roma Vicepresidente del Comitato nazionale di Bioetica




una voce così ‘altra’ da interpellare tutti, anche i non credenti

nella chiesa una voce che è “altra”

di Francesco Jori
in “Trentino”

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quando Francesco mette costantemente al centro gli ultimi, lo fa perché li conosce da vicino, e perché crede che la dignità della persona di qualsiasi fede e razza venga prima di ogni altra cosa. Non è questa in fondo l’essenza del Vangelo? In realtà, …la Chiesa proposta da Bergoglio interpella in primo luogo un Occidente ripiegato sull’illusoria difesa delle proprie sicurezze, a partire da quelle economiche. E chiama in causa tutti, compreso chi non crede

Tremate fratres. Il Papa venuto dalla fine del mondo porta con sé l’inizio della fine di un piccolo mondo antico proprio dell’Occidente cattolico; e che ha radici robuste soprattutto a Roma, nei palazzi vaticani. Dove c’è chi è rimasto fermo a una concezione di Chiesa molto più vicina alle pur legittime logiche del potere che alle questioni concrete della vita reale; più attaccata alla forma che alla sostanza; più attenta alle regole che alle persone. Il nuovo corso di Francesco evidenzia una distanza profonda da queste prassi. Lasciamo stare le polemiche spicciole, che rischiano di far perdere di vista la questione vera: a confronto sono due visioni non solo diverse ma opposte di essere Chiesa. Per anni, anzi di più, la voce plurale dei vescovi italiani è stata compressa e costretta nella posizione ufficiale della Cei, la conferenza episcopale. I cui vertici hanno scelto come via preferenziale il rapporto con il potere politico, facendosi paladini di un’unità dei cattolici che nei fatti si era dissolta da tempo: già da quando la Dc era ben viva e vegeta, come segnalato dai referendum sul divorzio e sull’aborto. Una linea non necessariamente adottata (salvo malandrine eccezioni…) per riceverne favori o comunque per scopi poco trasparenti, ma nella convinzione che questo corrispondesse alle esigenze del mondo cattolico; con larghi strati del quale i vertici della Chiesa italiana, ma pure non pochi vescovi, avevano peraltro perso la sintonia. E’ una strategia che ha avuto a lungo come interprete principale il cardinal Ruini, ma che non si è certo esaurita con la conclusione della sua presidenza della Cei nel 2007: come conferma l’attuale scottante dibattito sulle unioni civili. Solo che la vecchia unanimità di facciata non regge più, e per la Chiesa non può essere che un bene: c’è una sostanziale differenza tra i Bagnasco e i Bertone da una parte, i Parolin e i Galantino dall’altra. E non solo di stile pastorale. D’altra parte, le recenti scelte di tanti nuovi vescovi ridimensionano sempre di più le vecchie logiche di quella parte della Cei che non a caso nell’elezione del nuovo pontefice si era maldestramente sbilanciata sul cardinale Scola, fino a dare quasi per fatta la sua successione a papa Ratzinger. Anche qui, tuttavia, bisogna stare molto al di sopra delle polemiche di giornata. Non è in gioco solo la fede. Sta cambiando il baricentro del pianeta, con un Occidente in vistosa decadenza e un Sud che sta affacciandosi alla ribalta della Storia: dove c’è un’altra Chiesa, vitale nei numeri ma soprattutto nella sostanza. Che è poi quella più autentica: quando Francesco mette costantemente al centro gli ultimi, lo fa perché li conosce da vicino, e perché crede che la dignità della persona di qualsiasi fede e razza venga prima di ogni altra cosa. Non è questa in fondo l’essenza del Vangelo? In realtà, al di là delle singole e magari controverse questioni, la Chiesa proposta da Bergoglio interpella in primo luogo un Occidente ripiegato sull’illusoria difesa delle proprie sicurezze, a partire da quelle economiche. E chiama in causa tutti, compreso chi non crede. Non è un papa venuto dalla fine del mondo, come si era descritto egli stesso la sera dell’elezione; ma da un altro mondo. Che facciamo fatica a vedere. Ma al quale, che ci piaccia o no, dovremo abituarci.