una letterina per la mia ansia quotidiana

lettera aperta alla mia ansia


ANXIETY

cara ansia,

comprendo perfettamente la tua volontà di mettermi in guardia da quelli che sono i potenziali rischi a cui potrei andare incontro nel mondo. E ti voglio perciò esprimere tutta la mia gratitudine per il fatto che mi guardi le spalle. Se mai una tigre fuggisse dallo zoo e provasse a saltarmi addosso, è su di te che farei affidamento!

Il problema è che non ho bisogno di sentirmi sollecitata dai tuoi avvertimenti con la frequenza che credi tu. Tutti quei pensieri stressanti e quei film che mi faccio in testa grazie a te, per prefigurarmi tutto ciò che potrebbe andare per il verso sbagliato, finiscono per risultarmi più dannosi che d’aiuto. Fanno sì che io avverta dei sintomi di disagio fisico, e producono uno stress che va a logorare il mio corpo e ad esaurirmi. E dunque fanno esattamente il contrario di ciò che vorresti che facessero, cioè proteggermi.

Inoltre, succede spesso che ti sbagli. Il tuo curriculum non è certo senza macchia. Ricordi quella volta che mi hai detto d’aver lasciato accesa la piastra per i capelli, e che tutta la casa sarebbe andata a fuoco? Ne vogliamo parlare? Alla fine non era accesa, e la casa stava benone. Rammenti quell’altra volta in cui mi hai detto che la mia amica se l’era presa, visto che non aveva risposto al mio messaggio? Poi lei mi ha risposto dopo poco, e non era neanche leggermente irritata. Mi ha scritto: “Ti voglio bene, amica mia!”. E quella volta che secondo te il mio mal di stomaco avrebbe potuto essere un’appendicite? T’eri solo spaventata dopo aver letto Madeline in seconda elementare. Non c’era niente che non andava, stupidina!

Alcuni dei tuoi avvertimenti vanno bene e sono d’aiuto. Mi sta bene quando mi sproni a studiare tanto per superare un esame. Mi sta bene che mi consigli di guardare in entrambe le direzioni prima d’attraversare la strada. Questo sì che è essere costruttivi. Batti il cinque!

Una parte del tuo chiacchiericcio, però, risulta eccessivo. Mi distrae, ed è più dannoso che d’aiuto. La vita è una cosa preziosa, e sono preziose le persone che amo. Per loro vorrei esserci, stare con loro, in ogni momento. Vorrei potergli offrire una mente lucida e un cuore aperto. Ed è per questa ragione che ho scelto di non credere più a tutto ciò che dici. È per questo che ti dico: “Grazie per l’avvertimento, ma sto bene”, e “Non sono io, è solo la mia ansia!”, per poi cambiare argomento.

Indipendentemente dalla quantità di tempo che io posso trascorrere in tua compagnia a meditare sulle cose brutte che potrebbero succedere, ciò non impedirà mai che esse accadano. Non farà altro che rattristarmi e farmi sprecare tempo ed energie che potrei adoperare per aiutare gli altri e creare bellezza nel mondo!

Inoltre, vorrei vivere una vita divertente e avventurosa. Quando cerco di programmare qualcosa come un viaggio in Italia, e tu mi dici: “Non farlo! E se poi accadesse ‘questo’?”, sappi che in viaggio in Italia io ci andrò comunque. Più riuscirò a fare delle cose belle — e le “cose cattive” che prevedi non accadranno — meglio finirai per sentirti in vista delle nostre avventure! Inoltre ho una sola parola per te: gelato [in italiano nel testo originale, ndt].

Perciò, per quanto io apprezzi la tua costante preoccupazione, risparmiamocela per i pericoli veri. E adoperiamo la tua energia per creare cose belle nel mondo, e meno angosce per me. Adoro la nostra splendida e vivace immaginazione. Adoro il nostro entusiasmo, la creatività, lo spirito imprenditoriale, e il flusso costante d’idee e progetti. Ma tiriamo un bel respiro profondo, e prendiamoci un tè. Dallo zoo di New York non è fuggita alcuna tigre pronta a bussare alla nostra porta per unirsi a noi. È tutto OK.

Con amore, la tua persona

Questo post è apparso per la prima volta su Huffington Post America ed è stato tradotto da Stefano Pitrelli




M. Cacciari si scaglia contro l’utero in affitto

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utero in affitto

Cacciari:

“sembra fantascienza, ma il peggio deve ancora venire”

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continua a tenere banco la polemica relativa al cosiddetto “caso Vendola”. Dopo il botta e risposta di ieri tra uno dei leader della sinistra italiana e il leghista Salvini sono arrivate anche le prese di posizione di Laura Boldrini, Beppe Grillo ed Emma Bonino.IntelligoNews ne ha parlato con il professor Massimo Cacciari… 
Beppe Grillo esprime sul Corriere della Sera le sue perplessità circa l’utero in affitto. Allora perché, canguro a parte, erano pronti a votare il ddl Cirinnà? C’è anche chi fa notare come il Movimento 5 Stelle sia arrivato a parlare con il Corriere, sono dunque lontani i tempi dell’allergia verso la stampa…
“Su quest’ultimo aspetto è evidente il cambio di immagine del M5S, ormai anche loro devono porsi su un piano di azione politica e non possono più fare eccezione. Dunque è un aspetto che conta poco. Non credo poi che vi sia una contraddizione perché nella legge Cirinnà non era implicito l’utero in affitto. Con la tematica delle adozioni o della legge sui matrimoni per coppie omosessuali non c’entra niente”. 
L’intervento invece di Laura Boldrini l’ha sorpresa?
“No, tantissime donne comprese le più accanite femministe hanno secondo me giustamente messo in evidenza le conseguenze direi proprio atroci che può avere una libertà di fare in una materia simile. A meno di non essere degli assoluti ipocriti è evidente che al 99% una legge che permettesse simili pratiche sarebbe una totale mercificazione del corpo della donna. Una cosa che avviene per motivi di guadagno da parte di poverette semi disperate”. 
 
Utero in affitto, Cacciari: 'Sembra fantascienza, ma il peggio deve ancora venire'

Emma Bonino ha preso una posizione opposta. La stupisce?

“Sì, molto. Non si possono ignorare le conseguenze di questa pratica. Io comunque ho una posizione molto realistica: la crisi dell’istituzione matrimoniale è talmente grave che si arriverà all’utero in affitto, ma anche peggio. Arriveremo ad interventi durante la gravidanza per magari modificare determinati tratti del bambino, siamo solo all’inizio di cose che ci sembrano fantascientifiche, ma come sempre avviene la fantascienza finisce poi per realizzarsi”. 
Un Cacciari dunque disincantato?
“Sì, ma questo non mi impedisce di capire che pratiche di questo genere producono una mercificazione pazzesca e orrenda del corpo umano”. 
Emma Bonino ha paragonato la donazione dell’utero a quella di un rene. Come commenta?
“Ma che vada a donare l’utero! Per carità di Dio! Non prendiamoci in giro. Con rispetto parlando, sia chiaro è una battuta. Avverrà pure che un caso su diecimila sia una donna che dona il proprio utero come i reni, ma che la madre doni l’utero al figlio perché non riesce ad avere figli con la moglie? Se lo immagina? Ma cosa stiamo dicendo. Ci sono le adozioni, adottino dunque! Si semplifichino le procedure di adozione. Stabiliamo che l’unione tra una coppia omosessuale è come un matrimonio? Bene, benissimo, perfetto. Allora adottino i figli, ci sono milioni di bambini che muoiono di fame”. 
 
In un’intervista a Repubblica la scorsa settimana ha definito un “dibattito tra ubriachi” quello sul ddl Cirinnà. Cosa dice invece dell’utero in affitto e del caso Vendola?  
“Siamo sempre lì, il mio discorso non voleva e non vuole essere offensivo ma per ubriachi intendo persone che non riescono a collegare un’idea con le sue conseguenze. Fanno senza comprendere in quali nessi logici si pongono i propri pensieri e le proprie azioni, quello mi scandalizzava del dibattito sulla legge Cirinnà. Tutto impostato in astratto sui diritti senza collocarlo in un contesto storico, senza discutere della crisi del matrimonio. Anche nel caso dell’utero in affitto il dibattito continua ad essere questo, cioè non se ne calcola il contesto. Arrivo fino a questo punto, posso farlo? Bene, lo faccio. Questo è il discorso tremendo, letteralmente tremendo. Uno spettacolo sconvolgente, una mutazione antropologica e culturale”. 
 
Cosa intende quando parla di crisi del matrimonio?
“Da quando mondo è mondo, nella storia non è mai esistito che il matrimonio è quando due stanno insieme e basta. Questo sradicamento dell’istituto matrimoniale da ogni ordinamento culturale ed etico avrà un peso o no? In questo senso ubriachi: si parla senza cognizione di causa”. 



l’importanza del portafoglio per valutare la mia fede

la fede e il portafoglio

(Mt 5,20.6,19-34) 

di Alberto Maggi

articolo pubblicato su NIGRIZIA n.3/2011

quali sono i parametri per verificare la fede, per sapere se si è credenti o no? Per molti, i criteri di giudizio riguardano la pratica religiosa. Ma questi sono criteri poco obiettivi. Come si fa a misurare il grado di fede di una persona dalla sua partecipazione alle cerimonie liturgiche o dalle sue devozioni?

Nella Chiesa si è sempre stati unanimi nell’individuare, come fondamento della fede del credente, la risurrezione di Gesù, perché, “Se Cristo non è risorto, vuota allora la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (1 Cor 15,14).

Ma testimoniare la fede nella risurrezione del Cristo è arduo. Come è possibile essere i garanti di una realtà che non può essere mostrata? Eppure, negli Atti degli Apostoli si legge che la testimonianza della risurrezione del Cristo si doveva a una realtà che tutti potevano toccare con mano, e non esigeva pericolose acrobazie teologiche o violenze dell’intelletto: “Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù… Nessuno infatti tra loro era bisognoso…” (At 4,34). La prova che il Cristo non solo è risorto, ma è vivo e operante all’interno della sua comunità, è che nessuno dei suoi componenti è bisognoso, perché ciascuno si sente responsabile non solo del bene, ma anche del benessere del fratello. Una comunità dove nessuno è bisognoso, dove non esistono creditori e debitori, è la prova evidente che in essa c’è qualcosa di speciale: la presenza viva e vivificante del Signore.

l’indicatore della propria fede è il portafoglio

Non certo per quel che contiene, ma per quel che è capace di dispensare. Avere fede significa fidarsi talmente del Padre da non preoccuparsi più per i propri bisogni, ed essere liberi di occuparsi delle necessità dei fratelli, certi che nel momento della necessità il Padre provvederà in maniera più abbondante di quel che si può desiderare, perché il Signore regala vita a chi comunica vita e, con chi è generoso, il Padre sarà abbondantemente generoso (Mt 10,8; Lc 6,38).

Ma l’insegnamento di Gesù sull’importanza del fare della propria vita un dono generoso, condividendo non solo quel che si è, ma anche quel che si ha, sembra essere disatteso proprio da quanti pretendono di essere suoi seguaci. Per questo Gesù ammonisce che “Nessuno può servire due padroni… non si può servire Dio e mammona” (Mt 6,24). Ma il più delle volte sono proprio le persone religiose quelle che riescono a servire Dio e i propri interessi (Lc 16,14), arrivando a usare Dio per il proprio lucro, come gli scribi, denunciati da Gesù come coloro che, con il pretesto delle preghiere, “divorano le case delle vedove” (Mc 12,40).

Gesù è molto chiaro: la fede nel Padre non si vede da ortodossi attestati di fedeltà alla dottrina, e neanche dal rispetto delle regole religiose, ma dalla capacità di essere generosi, di donare senza calcolo.

Quanti accumulano ricchezze, quanti speculano, quanti agiscono in base alla loro convenienza non credono in Dio, ma confidano nel suo rivale, mammona (vocabolo aramaico che indica il patrimonio, ed è passato a significare la ricchezza come base per la sicurezza dell’uomo).

L’istinto alla sopravvivenza, fa sì che l’uomo pensi di assicurare la sua esistenza mediante l’accumulo di beni. Ma Gesù avverte i suoi che la sete di possesso anziché portare serenità è causa di ansia, fonte inesauribile di inquietudine che divora l’animo della persona, così come le tarme e la ruggine consumano i tesori ammassati. La ricchezza infatti è paradossalmente fattore di apprensione, sia perché non sembra mai sufficiente, sia perché si teme il suo calo e la sua perdita (le tarme, la ruggine e i ladri, che minacciano il capitale, oggi hanno il nome di inflazione, di banche, di borsa). E comunque, anche se un uomo riuscisse ad accumulare e a conservare tutto quel che è riuscito ad ammassare, a che gli serve? A che giova, ammonisce Gesù, “guadagnare il mondo intero” e poi smarrire se stessi? (Mt 16,26; Lc 12,20). Per Gesù il valore della persona sta nella sua generosità: “La lampada del corpo è l’occhio; perciò se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso: ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso” (Mt 6,22-23). Nel linguaggio dell’epoca l’occhio limpido indicava la generosità della persona, in contrapposizione all’occhio cattivo, immagine della sua taccagneria (Dt 15,9; Mt 20,15). Nel rapporto che ha con il denaro si gioca l’esistenza dell’uomo: la generosità, espressa nella condivisione, lo porta a essere luce, l’egoismo che si manifesta nell’avarizia a essere tenebre.

Gesù dà molta importanza alla capacità dell’uomo di essere generoso, perché è da questo atteggiamento che dipendono la sua felicità o l’infelicità, la sua riuscita o il suo fallimento. Perché ciò sia ben compreso, Gesù lo insegna con argomenti a tutti accessibili: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre” (Mt 6,25). Di tutti gli animali che nel Talmud venivano benedetti dagli uomini, gli uccelli erano esclusi, perché ritenuti insignificanti oltreché nocivi. Eppure, dichiara Gesù, anche gli elementi irrilevanti della creazione sono oggetto della premura del Creatore amante della vita.

L’altro esempio Gesù lo prende dalla bellezza dei “gigli del campo”, e arriva a dichiarare che neanche l’ambizioso re Salomone, con tutta la sua boria, “vestiva come uno di loro” (Mt 6,28-30).

L’assicurazione di Gesù, che il Padre si occupa degli uccelli, che non “seminano, non mietono e non raccolgono nei granai” (Mt 6,26), e dei fiori, che “non faticano né filano” (Mt 6,28), non è un invito al fatalismo e all’inattività, ma alla fede nell’azione provvidenziale del Signore, che sarà ancora tanto più efficace negli uomini, che seminano e mietono, filano e faticano. Gesù non invita a non occuparsi, ma a non preoccuparsi. È questo che per Gesù differenzia il credente dal pagano. Quanti sono sempre in ansia per la loro vita (Che mangeremo? Che berremo?) e cercano nell’accumulo dei beni la risposta alla loro inquietudine sono la chiara dimostrazione che non credono nel Padre, ma negli idoli, nelle false divinità che, come mammona, ingannano, promettendo quel che non possono dare e, non avendo la capacità di trasmettere vita, comunicano solo morte.

Gesù offre un’alternativa a questo comportamento che è causa di rovina per l’uomo e di ingiustizia nella società. E invita gli uomini a sostituire l’affanno dell’accumulo dei beni con la scoperta gioiosa del dare (“Si è più beati nel dare che nel ricevere”, At 20,35). Per Gesù si possiede veramente solo quel che si dona. La vera ricchezza, quella che rimane per sempre e non può essere distrutta, consiste in quel che si è donato, e il bene fatto è l’unico bagaglio che l’uomo porta con sé entrando nella vita definitiva (Ap 14,13).

Quel che si trattiene non si possiede, ma possiede l’uomo, come insegna l’episodio del ricco, che ha rifiutato l’invito di Gesù a sbarazzarsi dei suoi beni perché “possedeva molte ricchezze” (Mt 19,22). Credeva di possedere le ricchezze, in realtà erano queste a possederlo. E per questo era triste. Quel che doveva dargli serenità era invece causa di afflizione.

L’invito di Gesù è di porre nella propria vita, come valore prioritario, “il regno e la sua giustizia” (Mt 6,33). Scegliere il regno significa aderire al programma di Gesù di cambiare le basi stesse della società e offrirle un’alternativa. Si tratta di rinunciare alla bramosia di possedere e scoprire la gioia del condividere. Questa è la scelta del regno, quella che può cambiare radicalmente la vita della persona e farle sperimentare che, quando si vive per il bene degli altri, si permette al Padre di prendersi cura del bene dei suoi figli. Allora, all’ansia per il domani si sostituisce la profonda fiducia nel presente, sperimentando che sarà “il domani a preoccuparsi di se stesso”, togliendo dalla vita del credente ogni ansia, inquietudine e aprendolo a una fiducia sempre più grande nel Padre.