solo un Dio ‘folle’ riesce ad innamorarmi

natale

la “follia” di Dio

e il senso profondo della venuta al mondo di Gesù

di Alberto Maggi

p. Maggi

Solo un Dio pazzo poteva pensare di diventare un uomo. Ma chi gliel’ha fatto fare al Signore di lasciare il privilegio della condizione divina per assumere la debolezza della condizione umana?
In ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di diventare dèi, di elevarsi sopra di tutti (“Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo”, Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere Dio e di essere al suo pari mediante l’accumulo del potere per meglio dominare il popolo; le persone religiose aspiravano a unirsi a Dio attraverso l’accumulo delle preghiere per presentarsi quali modelli di santità.
Ma più l’uomo si separava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile.
Con Gesù si è capito perché. Con il Natale Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la “follia di Dio” (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a restarlo: “Svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,7). Non si era mai sentito parlare di un Creatore che si abbassava al livello delle sue creature.
Il Signore l’ha fatto, per amore della sua creazione, l’umanità. Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore. Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere. L’uomo non deve salire per incontrare il Signore, ma scendere verso gli altri uomini, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e non chiede di essere servito, ma lui si è messo a servizio di ogni uomo.
Per questo, che una persona sia in comunione con Dio non si vede da quel che crede, ma da come ama, non da quanto prega, ma da quanto presta ascolto ai bisogni degli altri, non dai sacrifici verso Dio, ma dal sapersi sacrificare per il bene dell’altro. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore: più l’uomo è umano e più scopre e libera il divino che è in lui, un Dio che non assorbe le energie degli uomini, ma gli comunica le sue, un Dio che non chiede di vivere per lui ma di lui, e, con lui e come lui, irradiare amore, tenerezza e compassione per ogni creatura, un Dio che non chiede di obbedire a un Libro ritenuto sacro, ma di considerare sacra ogni creatura.

image_pdfimage_print

il commento al vangelo di natale

NATALE 
IL VERBO SI FECE CARNE
E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

commento al Vangelo di p. Alberto MAGGI

p. Maggi

Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza  di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno  vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per  mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo  e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.  Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo  nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in  mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà  testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo  ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto:  il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Per il giorno di Natale la chiesa ci offre come riflessione i primi diciotto versetti del vangelo di Giovanni, conosciuti come “prologo” al suo vangelo. Nel prologo l’evangelista riassume e anticipa tutta la sua opera e ogni singola parola del prologo sarà poi sviluppata lungo tutta la narrazione.  E’ un prologo che inizia correggendo la sacra scrittura e termina smentendola. Vediamola nei suoi tratti più salienti.  In principio, l’evangelista si rifà al primo libro della Bibbia, il libro del Genesi, che inizia con queste parole: In principio Dio creò il cielo e la  terra.
Ebbene, l’evangelista non è d’accordo.  In principio era il Verbo, cioè prima ancora di creare il cielo e la terra Dio aveva in mente un progetto. “Verbo” (lÒgoj) significa una parola, una parola  creatrice che realizza il progetto di Dio nella creazione.  Quindi, prima ancora della creazione c’era questo Verbo, questo progetto di Dio. E questo Verbo  continuamente interpellava Dio perché arrivasse a realizzarlo. L’evangelista scrive che In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. Non c’è una luce esterna che deve guidare gli uomini – la luce, nella spiritualità  ebraica, era la legge – ma è la vita la luce degli uomini. E’ la risposta al desiderio di pienezza di vita quello che guida e illumina la via degli uomini. La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. L’evangelista assicura che la luce, man mano che allarga il suo splendore, vince le tenebre.  La luce non deve combattere le tenebre, non c’è nulla di bellicoso in questo progetto di Dio sull’umanità. La luce deve soltanto splendere. Nella misura  in cui splende, le tenebre restringeranno il loro influsso.  E poi arriviamo a quelli che sono i versetti centrali del prologo, quindi più importanti di tutto questo brano: Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno  accolto.  Com’è stato possibile?  E’ stato possibile perché proprio la casta sacerdotale al potere, in nome del Dio del passato, ha rifiutato il Dio che si manifesta nel presente.  Il Dio del passato l’avevano potuto manipolare presentandolo come un Dio di potere, per poter essi stessi esercitare il potere. Il Dio che si presenta,  che è un Dio-amore che si mette a servizio, scombinava tutti i loro piani, i loro progetti. Per questo lo hanno rifiutato.  Però, l’evangelista assicura, ed è questo il versetto principale di tutto il prologo, A quanti lo hanno accolto – quindi c’è chi ha accolto questo progetto  di Dio, questa parola – ha dato il potere di diventare figli di Dio. “Figli di Dio” non si nasce, ma si diventa, accogliendo questo progetto di vita, facendolo  proprio. Questo progetto, lo vedremo, si realizza nella figura di Gesù e possiamo accoglierlo come modello del proprio comportamento.  E il Verbo – questa parola creatrice – si fece carne.  L’evangelista non scrive, come ci saremmo aspettati, “si fece uomo”, ma “si fece carne!” La carne (sarx) indica l’uomo nella sua debolezza, la debolezza  dell’esistenza umana. E venne ad abitare … non “in mezzo a noi”, ma in noi (™n ¹m‹n).
L’evangelista sta indicando qualcosa di straordinario. Con la nascita Dio non è più da cercare, ma da accogliere. E’ un Dio che non solo è vicino, ma un  Dio che chiede a ogni uomo di diventare l’unico vero santuario dal quale irradiare il suo amore, la sua santità e la sua compassione. Quindi questo Verbo  si è fatto carne, nella debolezza dell’esistenza umana, il che significa che non esiste dono di Dio che non passi attraverso la carne, attraverso l’umanità. Il Dio di Gesù chiede di essere accolto per fondersi con l’uomo, dilatarne le capacità d’amore, e renderlo l’unico vero santuario dal quale si irradia  il suo amore. Questo è il progetto di Dio sull’umanità: ogni uomo diventa l’unico vero santuario.
Gesù un po’ più avanti in questo vangelo dirà che se uno lo ama osserverà la sua parola, il Padre e lui verranno nell’individuo e prenderanno dimora presso  di lui. Quindi questa è la grande novità. E’ finita l’epoca dei templi dove l’uomo deve andare, ma inizia l’epoca dell’unico vero santuario che è Gesù  e quanti lo accolgono, che non attende che le persone vadano verso di lui, ma è il santuario che si orienta verso le persone, specialmente verso gli ultimi,
verso le persone che sono state emarginate e rifiutate.  Dalla sua pienezza – questa pienezza d’amore – noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Questa espressione (carin ¢ntˆ caritoj) indica che l’amore  alimenta l’amore. C’è un amore ricevuto che va accolto e trasformato in amore comunicato. L’amore che l’uomo riceve da Dio, che accoglie e che poi trasforma  in amore comunicato all’altro, permette a Dio una nuova, più abbondante, risposta d’amore. E questo in un crescendo senza fine.  Ed ecco i versetti conclusivi e importanti.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè – parla di legge come di qualcosa del passato – la grazia e la verità – cioè l’amore generoso di Dio, l’amore  fedele – vennero per mezzo di Gesù Cristo.  L’evangelista qui anticipa quella che sarà la nuova alleanza di Gesù.  Mentre Mosè, il servo di Dio, ha imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza alla legge, Gesù, che è il Figlio di Dio,  propone un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, basata sull’accoglienza e somiglianza al suo amore.  Quest’amore fedele, questa grazia e verità, non nasce dal bisogno dell’uomo, ma lo precede. Infine – abbiamo detto che inizia correggendo la scrittura  e smentendola – Dio nessuno lo ha mai visto.
L’evangelista smentisce quello che è scritto nel libro dell’Esodo, dove si legge che Mosè ed altri hanno visto Dio. No, hanno fatto solo esperienze molto  limitate. Pertanto, la volontà di Dio che Mosè ha espresso, è una volontà limitata alla sua esperienza.
Dio nessuno l’ha mai visto, il figlio unigenito, che è Dio – ecco il progetto che si è realizzato – ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Quindi l’evangelista invita a centrare tutta l’attenzione su Gesù. Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Tutto quello che noi crediamo di sapere su  Dio adesso dobbiamo verificarlo ed esaminarlo in Gesù, quel Gesù che poi dirà a Filippo: “Chi ha visto me ha visto il Padre”.
Ecco, questo è l’annunzio del Natale: non un uomo che deve salire verso Dio per divinizzarsi, ma accogliere un Dio che è sceso verso gli uomini umanizzandosi.  Tanto più gli uomini saranno umani, tanto più si manifesterà il divino che è in loro.

image_pdfimage_print

il commento al vangelo della domenica

SANTA FAMIGLIA
GESU’ E’ RITROVATO DAI GENITORI NEL TEMPIO IN MEZZO AI MAESTRI 

commento al Vangelo della prima domenica di natale (27 dicembre 2015) di p. Alberto Maggi 

p. Maggi

Lc 2,41-52

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Ogniqualvolta leggiamo il vangelo dobbiamo sempre tenere presente, per comprenderlo, che non riguarda la cronaca, ma la teologia, cioè non ci riporta una serie di fatti, ma di verità. Quindi non riguarda tanto la storia, ma la fede. Ecco perché sono sempre molto attuali.
Questo è tanto più necessario per il brano del vangelo che abbiamo in questa domenica. Il capitolo 2 di Luca, versetti 41-52, conosciuti come lo smarrimento e il ritrovamento di Gesù nel tempio. Quindi bisogna seguire le indicazioni che l’evangelista ci dà per comprendere quello che ci vuole trasmettere. E  cosa ci vuole trasmettere? La grande resistenza e la grande delusione del popolo di Israele nei confronti di Gesù, perché Gesù non segue le tradizioni dei padri, ma instaura una relazione completamente nuova.
Ma vediamo il vangelo. I suoi genitori … Tutti i personaggi che sono in questo brano sono anonimi. L’unico che ha nome è Gesù. Quando un personaggio è anonimo significa che è rappresentativo. Allora l’evangelista non ci vuole indicare tanto Maria e Giuseppe, ma tutto il popolo di Israele.
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Sono le tre grandi feste nelle quali bisognava salire a Gerusalemme, la Pasqua, la Pentecoste e le Capanne. Quando egli ebbe dodici anni… perché questo particolare? Perché l’evangelista rivede nella figura di Gesù uno dei grandi profeti della storia di Israele, il profeta Samuele che, secondo la tradizione, anche lui incominciò a profetare all’età di dodici anni.
Vi salirono secondo la consuetudine alla festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Può sembrare strano: come è possibile che Gesù rimane e i genitori non se ne accorgono? Perché i genitori sono fortemente convinti che il figlio li segua; il figlio deve seguire le orme dei padri. Ma è questa la novità che vedremo che Gesù ci presenta.
Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; E non trovano Gesù. Non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Può sembrare appunto strano che questa famiglia non si accorga dell’assenza di Gesù. L’evangelista, all’inizio del suo vangelo, annunziando la nascita di Giovanni Battista, aveva detto che sarebbe venuto a portare il cuore dei padri verso i figli. Ed era una citazione del profeta Malachia, che continuava: il cuore dei figli verso i padri.
Luca omette questa seconda parte. E’ l’antico, il passato, che deve comprendere il nuovo, non il nuovo che deve seguire il passato.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri. Sono i maestri della legge. Il fatto che Gesù sia nel mezzo richiama la sapienza di Dio secondo il Libro del Siracide, dove si legge: la sapienza loda se stessa, si vanta in mezzo al suo popolo.
Quindi Gesù è immagine della sapienza di Dio. Mentre li ascoltava… E non solo, e li interrogava. A dodici anni lui interroga i maestri della legge.  E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore. Si traduce con “stupore”, ma l’evangelista adopera un’espressione che indica una meraviglia irritata, erano sconvolti dalle risposte di Gesù. Per la sua intelligenza e le sue risposte.
Ecco a quanto pare non solo interroga, ma fornisce risposte. Ed ecco l’incidente.  Al vederlo restarono stupiti, – letteralmente sbigottiti – e sua madre gli disse… qui Maria, la madre di Gesù, come dicevo non è presentata con il nome, ma è rappresentativa del popolo di Israele, commette due errori. Primo lo  chiama “figlio”, e il termine adoperata significa “bambino mio”, cioè qualcuno su cui io ho un diritto, un potere.
«Figlio, perché ci hai fatto questo? Ed ecco il secondo errore: “Ecco, tuo padre … quindi si riferisce alla figura di Giuseppe … e io, angosciati, ti cercavamo». Ora la risposta di Gesù. L’unica volta in cui Gesù, in questo vangelo, si rivolge alla madre, è per una parola di aspro rimprovero. E indubbiamente la madre avrà ricordato la profezia di Simeone nel tempio quando le disse: “A te una spada attraverserà la tua vita”, e la spada è la parola del Signore.
Infatti Gesù risponde: «Perché mi cercavate? Non sapevate – quindi è qualcosa che avrebbero dovuto sapere – che io devo … “ Il verbo “dovere” in questa particolare forma indica la volontà di Dio.
“Devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Mentre la madre gli ha detto: “Tuo padre e io angosciati ti cercavamo”, Gesù dice, no, io devo occuparmi del Padre mio. Suo padre non è Giuseppe. Cosa vuole dire Gesù? Che lui non segue i padri, il passato, ma segue il Padre, colui che fa nuove tutte le cose. Naturalmente essi non compresero ciò che aveva detto loro. Perché non comprendono? Chi guarda al passato non può comprendere il nuovo che avanza.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. E qui si apre uno spiraglio, una speranza per Maria, come già nell’episodio dei pastori, Maria non ha capito, anche lei è sconvolta da questa grande novità.
Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. Il cuore indica la mente, la coscienza. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Esattamente come il profeta Samuele che come scritto nella Bibbia, cresceva anche lui con questa sapienza.
Ebbene il brano termina con una speranza per Maria. Maria incomincia il suo processo di crescita che la porterà da essere madre di Gesù a discepola del Cristo.

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print