i frati cappuccini e l’emergenza profughi

Giustizia, Pace, Integrità del Creato

I cappuccini tentano di rispondere all’emergenza profughi

“Quanti pani avete?” Il Ministro Generale intitola così la lettera circolare sull’emergenza dei migranti e rifugiati in Europa. La lettera segue l’incontro svoltosi lo scorso 15-16 ottobre a Frascati. 35 frati provenienti da 17 paesi, in particolare dall’Europa, Medio Oriente e Africa sono stati introdotti all’argomento da esperti di Caritas Internationalis, del Jesuits Refugee Services e da due sorelle della UISG, competenti in materia. Hanno ascoltato testimonianze particolarmente toccanti su esperienze già in atto nell’Ordine, specialmente nei luoghi più coinvolti come il Libano, Malta, Grecia e Italia.   Qui puoi leggere tutta la lettera 

QUANTI PANI AVETE

Lettera circolare del Ministro generale

dopo l’incontro indetto a Frascati1

sui migranti e i rifugiati in Europa

1. La domanda di Gesù

“Quanti pani avete?”2 Con questa domanda Gesù si rivolge ai suoi discepoli dopo che questi avevano manifestato lo smarrimento e l’impotenza di fronte ad una folla affamata e stanca. Erano davvero in tanti, cinquemila uomini senza contare le donne e i bambini, e ciò che si poteva recuperare erano qualche pane e pochi pesciolini.

Il nostro sguardo raggiunge con altrettanto smarrimento l’incalcolabile numero di migranti e rifugiati che tentano di entrare in Europa, dopo aver attraversato il Libano, la Turchia e altri paesi e ci rendiamo conto che la situazione è drammatica. Non è solo l’Europa ad essere coinvolta in questo flusso migratorio, pensate a quella massa di gente che, in cerca di un futuro migliore, tenta di varcare i confini tra il Messico e gli Stati Uniti, e a coloro che da vari paesi africani affrontano il mare Mediterraneo. Mentre vi scrivo, le agenzie di stampa diffondono la notizia di un naufragio al largo delle coste Turche dove sono morti sei bambini. In questo momento l’attenzione è portata soprattutto sull’Europa, ma sarebbe sbagliato pensare che si tratti di una questione solo europea.

Le persone che fuggono sono tante, tantissime, molte di più di quei cinquemila che Gesù abbracciava con il suo sguardo. Incutono paura e da più parti si erigono muri per impedire il loro cammino; c’è anche chi vorrebbe ricacciarli da dove sono venuti. Coloro che sono disposti ad accogliere si chiedono cosa fare di fronte ad un’emergenza così grande. Pare quasi di sentire la stessa domanda dei discepoli a Gesù: “Come possiamo trovare nel deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?”

2. Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo: la compassione.

Fratelli, vi ho richiamato il brano evangelico della moltiplicazione dei pani affinché lo sguardo sugli eventi drammatici dei migranti sia illuminato dalla fede, e questo deve suscitare i sentimenti di Gesù: “Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino.” Gesù prova “compassione”, si lascia toccare dal loro stomaco vuoto, dalla loro sofferenza, a tal punto che chiama a sé i discepoli: bisogna fare qualcosa! Pensiamo a San Francesco che si lascia toccare dalla sofferenza dei lebbrosi e poi “fa misericordia” con loro.

Cari fratelli Cappuccini, in qualsiasi parte del mondo ci troviamo, non fingiamo di non vedere, di passare oltre, di erigere i muri della paura e dell’ipocrisia benpensante. La sofferenza vissuta da questa gente, la disperazione che sta scritta sui loro volti, possano davvero muoverci a compassione interpellando la nostra carità e la nostra minorità. Non cadiamo nei luoghi comuni che generano l’indifferenza, oppure fanno affiorare sulle labbra espressioni tipo: “perché non sono rimasti a casa loro?” La nostra vocazione alla sequela di Gesù Cristo, sostenuta dal carisma di Francesco d’Assisi, ci chiede di immedesimarci nel cuore compassionevole di Gesù. Lui, il Signore, ci chiederebbe oggi come allora: “Quanti pani avete?”. La domanda attualizzata oggi potrebbe essere “Quanti posti e quanti spazi inutilizzati avete? Quanti mezzi e quanto denaro potete mettere a disposizione?” La nostra risposta non sarà molto diversa da quella dei discepoli: “Abbiamo un convento vuoto e abbiamo qualche spazio inutilizzato nelle case dove abitiamo attualmente, ma che cosa è questo per un’emergenza così grande? Siamo già coinvolti in tante attività e ora arriva anche questa urgenza da affrontare!” Gesù avrebbe detto: “Fateli sedere”, “fateli entrare!” La condivisione porterà un’altra volta a compiere un miracolo!

Il nostro sguardo di fede, il nostro desiderio di fare qualcosa, spesso deve fare i conti con le normative e le leggi delle autorità dei singoli Stati. Allora potrà accadere che per un semplice difetto strutturale, per esempio, a motivo delle prese dell’energia elettrica poste troppo in basso sul muro, le autorità competenti per l’accoglienza dei migranti rifiutino l’offerta di un convento che ha tutte le qualità essenziali per accogliere. Nonostante gli imprevisti e le sorprese burocratiche, credo sia profondamente evangelico osare con insistenza a porre dei segni e usare tutte le occasioni a nostra disposizione per creare una mentalità accogliente nei confronti dei migranti e dei rifugiati.

3. L’incontro di Frascati

Tutto ciò che ho descritto fino ad ora mi ha provocato a convocare un incontro a Frascati per ragionare, condividere e ipotizzare scelte per il futuro. L’incontro si è tenuto nei giorni 15-16 ottobre u.s. e ha riunito 35 frati provenienti da 17 paesi, in particolare dall’Europa, Medio Oriente e Africa. I frati presenti sono stati introdotti all’argomento da esperti di Caritas Internationalis, del Jesuits Refugee Services e da due sorelle della UISG, competenti in materia.

Abbiamo ascoltato testimonianze particolarmente toccanti su esperienze già in atto nell’Ordine, specialmente nei luoghi più coinvolti come il Libano, Malta, Grecia e Italia. Fr. Abdallah della Custodia del Libano ha riferito che il suo Paese accoglie 1,2 milioni di rifugiati siriani, i quali costituiscono il 25% della popolazione del paese. Ciò indubbiamente pone problematiche notevoli per il Paese, sia di tipo economico come la penuria di cibo, che di tipo sociale quale la competizione per garantirsi a qualsiasi costo un posto di lavoro. I nostri frati, grazie anche ai contributi giunti dalla Curia generale, hanno iniziato ad accogliere alcune famiglie, a provvedere alla scolarizzazione dei bambini cristiani e a garantire un supporto sanitario.

Fra Gianfranco Palmisani, Ministro provinciale della Provincia Romana, Italia, ci ha raccontato come la sua Provincia abbia messo a disposizione dei rifugiati più di un convento vuoto e lo abbia fatto in stretta collaborazione con le autorità competenti. Fra Gianfranco ha anche parlato del caso da lui affrontato in cui a fronte dell’offerta di un nostro immobile, l’autorità competente ha rifiutato la disponibilità a motivo della concentrazione troppo alta di rifugiati in una determinata zona.

4. Cosa possiamo fare?

L’emergenza continua e il nostro impegno non deve mancare. Gli organi di comunicazioni denunciano che non pochi Stati hanno fatto grandi proclami di accoglienza, che però, per ragioni di convenienza e di opportunità politica, tardano a concretizzarsi. È nostro compito stare vicino ai migranti e ai rifugiati; al fumo delle grandi parole e dichiarazioni occorre rispondere con la concretezza evangelica capace di sviluppare progetti di solidarietà. Inoltre usiamo le nostre energie per diffondere una mentalità che sia rispettosa della dignità di ogni persona, indipendentemente dalla religione e dalla razza. Favoriamo iniziative e luoghi, dove i residenti dei singoli Stati possono conoscere i rifugiati, per creare relazioni di amicizia e di sostegno.

Se disponiamo di strutture non usate e che sono in buono stato, non temiamo di offrirle alle autorità competenti per un servizio di accoglienza. Perché non accogliere singole persone oppure una famiglia in locali del convento non utilizzati?

Una proposta emersa durante l’incontro di Frascati è quella di costituire alcune fraternità internazionali che si pongano a servizio dei rifugiati nei luoghi di maggior passaggio come Lampedusa, la Grecia e l’Austria, solo per citarne alcuni. Questa proposta è impegnativa e molto valida ma va approfondita e elaborata ulteriormente.

Se dopo aver esaminato, pensato e operato il dovuto discernimento, giungiamo alla conclusione che non possiamo donare nulla a livello di strutture o di accoglienza concreta, ci rimane sempre ancora la possibilità di far pervenire un contributo in denaro al Fondo emergenze della Solidarietà economica del nostro Ordine o ad altre organizzazioni impegnate in questo ambito. Quando Gesù chiede ai discepoli di quanti pani dispongono, li invita a condividere non solo il superfluo, ma anche ciò che appare come strettamente necessario e indispensabile per la loro vita. Il Signore sta bussando con la stessa insistenza anche alle nostre porte! Facciamo la nostra parte e lui saprà fare la Sua. Vi chiedo di leggere, con cuore accogliente e compassionevole, il capitolo 25 del vangelo di Matteo, a partire dal versetto 31, che è il nostro vademecum per generare progetti di solidarietà; e non dimentichiamo mai, e sottolineo mai, le parole di Gesù: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.” (Mt 25,40).

5. In cammino con la nostra povertà

Fratelli carissimi camminiamo verso il Natale del Signore, facciamolo, portando ognuno la povertà di pochi pani e di qualche pesce, ma diamoli a Lui. Lo devo fare io che servo tra voi come Ministro generale, fallo tu che sei Ministro provinciale o Custode, fallo tu caro fratello in qualunque parte del mondo ti trovi a vivere e che in questo anno santo della misericordia, predicherai e testimonierai l’Amore di Dio per ogni uomo. Facciamolo insieme fratelli, per annunciare che la nostra Fraternità iniziata da San Francesco è capace di generare segni di speranza, di accoglienza, di gratuità, la stessa che Cristo ci ha usato dando la vita per noi. Facciamolo insieme testimoniando che non solo abbiamo ricevuto la Grazia di andare là dove nessuno vuole andare, ma di accogliere anche coloro che molti rifiutano. Non pochi ci insulteranno, ci diranno che portiamo pericoli, che dobbiamo difendere l’orgoglio nazionale, che questa gente ci ruba i posti di lavoro e altro ancora. La risposta a tutto questo è scritta nel Vangelo.

Vi confesso che porto nel cuore il desiderio di leggere presto che avete risposto a questo mio appello. Chiedo che questa lettera si recapitata ad ogni frate dell’Ordine.

Vi auguro un tempo colmo di misericordia donata e ricevuta. A tutti un buon e santo Natale e che l’anno 2016 vi porti il vigore e il coraggio che nascono dalla fede!

Fraternamente.

Fra Mauro Jöhri,

Ministro generale OFMCap

Dato in Roma, l’8 dicembre 2015

Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria,

Patrona del nostro Ordine

1 «Ero forestiero e mi avete accolto» (Mt 25,35) Prot. N. 00761/15

2 Mt 15, 34. Vedi complessivamente: Mt 14,22-33; 15,29-39; Mc 6,30-44; 8,1-10; Lc 9,10-17; Gv 6,1-15.

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la continua tremenda attualità del vangelo: “per loro non c’era posto nell’albergo”

gli auguri di Natale delle ‘piccole sorelle’ di Cosenza

il capitolo 2° del vangelo di Luca

la nascita di Gesù

In quei giorni uscì un decreto di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirino era governatore della Siria. Tutti andavano a dare il loro nome, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì nella Giudea, alla città di Davide , che si chiamava Betlemme … per dare il suo nome con Maria sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano là, giunse per lei il tempo di partorire diede alla luce il suo figlio primogenito. Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’albergo

il capitolo 2° del vangelo di Luca secondo le ‘Piccole Sorelle nomadi’ 

Cosenza Natale 2015

sorelle nomadi

In quei giorni, un decreto del Sindaco di Cosenza ordinò lo sgombero della “baraccopoli” situata tra il Crati e la ferrovia. Tutti i Rom dovevano lasciare il terreno nel quale vivevano da circa 10 anni. Anche Marius lasciò la sua baracca lungo il fiume per andare a farsi registrare con Claudia sua moglie che era incinta, nella tendopoli allestita dal comune poco lontano dal campo.

Ora mentre si trovavano in quel luogo si compirono per lei i giorni del parto : diede alla luce il suo terzo figlio e ritornò con lui sotto la tenda. Nel mese di agosto le giornate erano talmente calde sotto la tenda che Claudia cercava rifugio nei supermercati per trovare un po’ di fresco per il suo piccolino.

La vita era difficile, ma si era ancora tutti insieme.

Un giorno, arriva la notizia che le 100 famiglie presenti nella tendopoli debbono andar via perché un questa città non c’è più posto per loro. Claudia e Marius rifanno i loro bagagli e ripartono un po’ disorientati, non sapendo dove andare con i loro tre bambini.

Alcune famiglie, un po’ di nascosto, hanno trovato rifugio nelle case in disuso del vecchio centro città, altre hanno deciso di dormire nei propri furgoni in attesa di trovare un tetto in questa città divenuto inospitale, ma la maggiore parte come Claudia e Marius sono state costrette dalla situazione à ritornare in Romania.

Adesso diverse famiglie, non avendo in Romania reali possibilità di guadagnare la vita, sono ritornate a Cosenza alla ricerca di un tetto per questi mesi di inverno. In attesa dormono nei furgoni o a casa di uno a l’altro parente che li accoglie per la notte, dormendo gli uni sugli altri per fare posto a tutti nell’alloggio.

Quella notte si sente la voce d’un angelo dire : « Oggi nella città di Cosenza è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno : troverete un bambino avvolto in fasce, che dorme con la sua famiglia in un furgone. »

Anche noi ci siamo mese in cammino con tutte le famiglie, passando dal campo di baracche alla tendopoli, poi cercando un alloggio nel vecchio centro città e la settimana prossima traslocheremo in un appartamento messoci a disposizioni dalla Caritas.

A ssistiamo spesso impotenti a tutte le difficoltà che i nostri amici incontrano per ottenere l’affitto di una casa, che spesso gli è rifiutata a causa della loro origine. Come Maria conserviamo nel cuore tutti questi avvenimenti cercandone il senso, certe che Dio continua a nascere ancora oggi tra di noi.

Vi auguriamo un caro e buon natale !

Angela-Gabriela, Clémence, Paula-Takako, Rania

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parrocchie col presepe ma con le porte chiuse … per gli immigrati

porte chiuse agli immigrati

la solidarietà flop delle parrocchie

a tre mesi dall’appello di Papa Francesco solo poche centinaia di letti per i profughi

di JENNER MELETTI

 Porte chiuse agli immigrati: la solidarietà flop delle parrocchie

Viene subito in mente – sarà colpa delle luminarie – la poesia di Guido Gozzano. “La neve. Ecco una stalla. Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…”. Difficile, per Giuseppe e Maria, trovare un rifugio per la nascita di Gesù. Difficile – anche in questi giorni di nenie e presepi – per le famiglie di migranti trovare quell’ospitalità chiesta con forza – più di cento giorni fa, il 6 settembre – da Papa Francesco

“Ogni parrocchia – disse il pontefice all’Angelus – accolga una famiglia”. Non esiste un censimento ufficiale ma bastano pochi numeri per raccontare come sia stato e sia difficile, nelle 25.000 parrocchie italiane, rispondere all’appello. A Roma città (334 parrocchie) entro la fine di gennaio saranno accolti 170 migranti. A Milano (1.000 parrocchie perché la diocesi comprende anche Brianza, Lecco e Varese) sono a disposizione – o lo saranno presto – 400 posti letto. A Bologna su 416 parrocchie soltanto quattro hanno dichiarato la loro disponibilità. Assieme a cinque privati, due comunità religiose e due altri enti, nell’arcidiocesi bolognese sono offerti in tutto 30 posti letto. E nella quasi totalità dei casi l’accoglienza viene finanziata con i contributi delle prefetture.

Maria Cecilia Scaffardi, direttrice della Caritas di Parma, ammette le difficoltà ma ringrazia comunque il Papa. “Francesco ci ha obbligati a riflettere e ha messo in moto un grande processo di apertura. Anche noi ci siamo impegnati: una decina di parrocchie su 350 (che sono state accorpate in 56 “nuove parrocchie”) ci hanno detto che possono ospitare una famiglia di immigrati. Due di queste parrocchie comunque hanno deciso di accogliere famiglie italiane che erano state sfrattate. Per accogliere bene – questo il motivo del ritardo – non basta il buon cuore: serve professionalità. Non si tratta solo di trovare un appartamento o una canonica. Servono persone capaci di guardare negli occhi le altre persone. Se pensi solo a un tetto e a un letto, rischi di trasformare l’accoglienza in un concentrato di esclusione”.

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il racconto di una storia infernale

Profughi, incinta di 9 mesi sul barcone. Storia di Salem: “Vi racconto l’inferno di Asmara”

di ZITA DAZZI

Il centro delle suore di San Siro ha accolto Salem, 20 anni, e sua figlia Bethlem che oggi ha 25 giorni. “Grazie per l’accoglienza, ma ora parto di nuovo, voglio raggiungere mio fratello in Inghilterra””Non pensavo a niente in mezzo alle onde. Non pensavo a mio marito, né a mia mamma, né alla mia casa, né al mio Paese, che non vedrò mai più. Pensavo solo che dovevo arrivare in Italia. Avevo nausea, e avevo paura, certo. Tenevo stretta la mano di mia nipote e gli occhi chiusi per non vedere. Poi a un certo punto abbiamo sentito delle voci in una lingua che non capivo, ho guardato davanti al nostro barcone e ho visto una nave grande, di ferro. Un uomo con le mani grandi mi ha messo un salvagente arancione e una coperta addosso. Poi non ricordo più niente. Non so dove ho partorito, non so chi mi ha aiutato. A un certo punto mi hanno dato in braccio Bethlem, mia figlia, il mio amore”.

Conosce poche parole di inglese e nessuna di italiano, Selam, che nel Duemila aveva cinque anni. E se anche capisce le domande, non ha tanta voglia di raccontare da dove viene e perché. “Paura”, è l’unico vocabolo che pronuncia bene. Ma a sua figlia Bethlem, 25 giorni di vita, continua a cantare una ninna nanna in tigrino, una nenia che scioglie il cuore anche a chi non capisce il significato della canzone.

Selam è arrivata col barcone dalla Libia a Lampedusa un mese fa, accompagnata da sua nipote di 15 anni. Senza marito, col suo pancione di nove mesi. E un pensiero fisso in testa, quello che l’ha tenuta in vita durante la traversata in mare, madonna profuga dei giorni nostri. “Vengo dall’inferno di Asmara, ma vado in Inghilterra da mio fratello”. È la frase che Selam ha detto alla volontaria Susy Iovieno all’hub della stazione Centrale, quando è arrivata con quel fagotto di stracci all’interno del quale celava la neonata. Ed è quello che continua a ripetere agli educatori di Casa Suraya, centro d’accoglienza della cooperativa Farsi Prossimo, in via Padre Salerio, San Siro.

Selam e Bethlem qui hanno una stanza tutta loro. Una camera con i letti puliti, il riscaldamento, il bagno, le coperte e i vestiti di ricambio. Qui c’è sempre una volontaria pronta a cullare la piccolina quando dorme Selam, ancora stanca dal parto e dai mesi di viaggio attraverso il deserto del nord Africa.

Nell’ex scuola a Lampugnano la ragazza e la bambina potrebbero stare a lungo. Ma quello scricciolo di mamma sembra determinata mentre parla seduta in mezzo al gruppo delle eritree ospiti della casa: “Devo andare, devo partire”. Aldayeb, il mediatore culturale somalo, le spiega nel dialetto delle loro terre d’origine che in Gran Bretagna “è molto difficile riuscire ad entrare. Fermati qui, ti conviene. È un viaggio lunghissimo, le frontiere sono chiuse, è inverno, dove vuoi andare con la tua neonata?”. Selam annuisce, i grandi occhi neri e liquidi delle donne eritree che hanno visto tanta guerra e tanto dolore da non commuoversi quasi più per niente. “E va bene, se non mi faranno entrare in Inghilterra, allora mi fermerò in Olanda. Ho altri parenti che abitano lì”.

Le suore hanno provato a farsi raccontare dove è nata la piccola e come ha fatto ad arrivare alla Stazione Centrale. Ma la riservatezza totale di cui gli eritrei si fanno scudo per non mettere in pericolo chi rimane in patria, impedisce di ricostruire chiaramente dove sia il padre della neonata. “La storia di Selam, non è diversa da quelle di tante ragazzine eritree. Scappano tutte per non farsi arruolare dall’esercito – spiega Annamaria Lodi, dirigente della cooperativa Farsi Prossimo – La leva è obbligatoria in Eritrea. Chi si rifiuta, finisce in carcere; chi si lascia prendere, non torna per anni. C’è una dittatura durissima: chi non muore di fame, muore di miseria. È questo che ha convinto Selam a scappare. Non ha nulla da perdere”. Bethlem intanto dorme tranquilla nella sua culla di vimini, senza chiedersi dove passerà il Natale.

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il commento al vangelo della domenica

A CHE COSA DEVO CHE LA MADRE DEL MIO SIGNORE VENGA A ME?

commento al Vangelo di della quarta domenica di avvento (20 dicembre 2015) di p. Alberto Maggi

Lc 1, 39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed  sclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Con poche sapienti pennellate Luca è l’evangelista che più degli altri ci presenta la figura di Maria, la madre di Gesù. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista in questa quarta domenica di Avvento, 20 dicembre, nel capitolo 1, versetti 39-45.
Anzitutto il contesto. C’era stata l’annunziazione, l’angelo Gabriele aveva chiesto a Maria di collaborare al disegno di Dio diventandone la madre del figlio. Ebbene Maria fa qualcosa di assolutamente inconcepibile nella cultura dell’epoca. Nella cultura dell’epoca la donna non era autorizzata a prendere nessuna decisione senza prima aver consultato, e aver avuto l’approvazione, del padre, del marito o del figlio.
Ebbene Maria non chiede a nessun uomo. Maria decide da sola. E’ qualcosa di inconcepibile per la cultura. Ma quello che ora l’evangelista ci scrive è ancora più assurdo. Leggiamo. In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. L’angelo le aveva detto che la sua parente Elisabetta attendeva un bambino e lei, una volta che le è stato annunziato che Dio prenderà forma in lei, non si mette sotto una campana di vetro per essere riverita, per accogliere la venerazione o la devozione degli altri, ma si mette al servizio.         
L’evangelista vuol far comprendere che ogni autentica esperienza dello Spirito si traduce in servizio. Ma un servizio particolare perché qui l’evangelista dice che Maria si alzò, non dice che si unì ad una carovana. Ma si alzò e andò verso una città di Giuda. Dalla Galilea per andare in Giudea c’erano due strade: una che era più lunga però più sicura, quella della vallata del Giordano, l’altra era più breve, ma pericolosa perché passava attraverso la montagna della Samaria.
E noi sappiamo che tra ebrei e samaritani c’era un’inimicizia profonda. Era rischioso passare attraverso la zona montagnosa, c’era rischio di rimetterci la vita. Ebbene per Maria il desiderio di servire, il desiderio di comunicare vita, è più importante della propria incolumità. Quindi in fretta si mette in viaggio verso questa città. Entrata nella casa di Zaccaria, … e qui ci aspetteremmo “salutò il padrone di casa”. Nulla di tutto questo, “salutò Elisabetta”, la moglie. E’ inconcepibile, è il padrone di casa che va salutato per primo. Maria no, Maria saluta Elisabetta, è l’incontro tra due donne per le quali la gravidanza era qualcosa di impossibile: una perché era sterile l’altra perché era vergine.
Quindi Maria entra e saluta come l’angelo aveva fatto con lei. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria….
Non si tratta qui di una formalità, non si limita a desiderare il bene, ma a procurarlo, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo . L’evangelista anticipa qui quella che però poi sarà l’azione di Gesù, di battezzare nello Spirito Santo, immergere ogni persona nella pienezza dell’amore di Dio. Ed esclamò a gran voce …
nella casa del sacerdote incredulo – e che per questo è muto – è al donna colei che svolge il ruolo del profeta:  “Benedetta tu fra le donne”. E qui questo brano contiene una dozzina di citazioni bibliche. Questa parte è tratta dal libro dei Giudici dove si tratta della benedizione di Giaele, una delle grandi donne di Israele. “E benedetto il frutto del tuo grembo!”
Questo è clamoroso. Una sola volta nell’antico testamento si parla del frutto del grembo, ma si riferisce ad un uomo, l’uomo che è fedele al Signore. Questa volta  l’evangelista l’attribuisce a Maria. E si chiede: “A che cosa devo che la madre del mio Signore”, cioè del messia, “venga da me?” Qui l’evangelista scrive questa narrazione tenendo presente un grande episodio nella storia di Israele quando l’arca che conteneva le tavole dell’alleanza fece sosta in casa di una persona. E anche questa persona si meravigliò (il tale è Arauna) dicendo: “Perché il re mio Signore viene dal suo servo?” “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia”, letteralmente di
esultanza , “nel mio grembo”. Ed ecco la prima beatitudine del vangelo. “E beata colei che ha creduto … “
Se Elisabetta proclama beata Maria perché ha creduto, c’è anche un velato rimprovero al marito Zaccaria che invece non ha creduto. “E beata colei che ha creduto  nell’adempimento”, cioè nel compimento di ciò che il Signore le ha detto».
La vergine Maria ha creduto al disegno di Dio e viene proclamata “beata”.
E’ la prima beatitudine con la quale si apre il vangelo. L’ultima la troveremo nel vangelo di Giovanni: “Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno”. In queste due beatitudini si racchiude l’esistenza di Maria. Qual è il significato di questa beatitudine? Maria ha compreso – e se la chiesa ce la propone come modello di credente questo è valido anche per noi – Maria ha compreso di essere all’interno di un unico straordinario progetto d’amore. E che tutto che incontra nella vita, tutto quello che capiterà nella vita, sia nel bene che nel male, serve soltanto per realizzare questo progetto.
Ecco la Maria che la chiesa ci propone come modello dei credenti

 

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