ancora troppi bambini affogati

 altri 5 bimbi muoiono in un naufragio

“700 da inizio anno”

                mons. Perego

barcone

ennesima tragedia nel Mar Egeo, davanti alle coste della Turchia: un barcone carico di migranti è affondato stamani vicino all’isola greca di Farmakonissi provocando la morte di almeno 11 persone, tra cui 5 bambini. I dispersi sono 13. A bordo dell’imbarcazione, ha detto la Guardia Costiera, c’erano circa 50 persone, 26 sono state salvate.

l’ennesima tragedia all’indomani del naufragio costato la vita a 6 bimbi, tra cui un neonato, morti intorno alle 2.30 dell’8 dicembre. Erano a bordo di un gommone di profughi afghani al largo di Cesme, nella provincia di Smirne, sulla costa egea della Turchia. La Guardia costiera di Ankara ha salvato altre 8 persone

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«Continua una strage silenziosa nel Mediterraneo, con i morti che sono più che raddoppiati nel 2015 rispetto al 2014: da 1600 a oltre 3200. Continuano le morti di bambini, dimenticate: oltre 700 dall’inizio dell’anno», denuncia oggi il Direttore Generale della Fondazione Migrantes, Mons. Gian Carlo Perego. «L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti. L’operazione europea Triton non ha saputo rafforzare il salvataggio in mare delle vite umane rispetto all’operazione italiana Mare Nostrum – continua Mons. Perego -: una vergogna che pesa sulla coscienza europea. L’Europa sembra ora – a fronte della minaccia terroristica – giustificare i muri e la chiusura delle frontiere, oltre che il disimpegno nel creare canali umanitari che avrebbero potuto oltre che salvare vite umane, combattere il traffico degli esseri umani, una delle risorse del terrorismo».

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«L’accoglienza ai nostri porti, anziché in centri di accoglienza aperti sembra affidarsi ancora una volta a centri chiusi, gli ‘hotspots’, come dimostra il Centro di accoglienza di Lampedusa: più di 20.000 persone arrivate al porto e trasferite nel Centro, chiuso ad ogni ingresso e uscite. La paura insieme alla convenienza sembra far ritornare indietro di anni il cammino di protezione internazionale costruito in Europa». Continua invece l’accoglienza dei richiedenti asilo e protezione internazionale che, dopo l’appello di Papa Francesco del 6 settembre scorso, è cresciuta nelle strutture ecclesiali, nelle parrocchie e nelle famiglie, conclude il direttore della Migrantes realizzando «un’accoglienza diffusa, costruita insieme, senza conflittualità. Un’accoglienza intelligente che aiuta anche a conoscere volti e storie di sofferenza e a costruire, in questo tempo di Avvento, percorsi e progetti di cooperazione internazionale. Ancora una volta la Chiesa costruisce un gesto concreto, che supera pregiudizi e contrapposizioni ideologiche, che accompagna le persone, nella prospettiva di una ‘cultura dell’incontrò che sola rigenera le nostre città».

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Istituzioni Ue e Stati «devono correggere le lacune nel funzionamento degli hotspot, incluso stabilire le necessarie capacità ricettive per raggiungere gli obiettivi, e concordare rapidamente un preciso calendario affinché anche altri hotspot diventino operativi»: così la bozza di conclusioni del vertice Ue del 17 e 18 dicembre. «Nonostante il duro lavoro degli ultimi mesi il livello di attuazione di alcune decisioni» per affrontare la crisi migratoria «è insufficiente». «Schengen è sotto seria pressione», si legge. Istituzioni Ue e Stati «devono assicurare le registrazioni» dei migranti ed «adottare misure per scoraggiare il rifiuto» di quelli che non vogliono farsi identificare e sottoporre alla raccolta delle impronte, si legge ancora nella bozza.

da ‘il Messaggero’

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‘confino’ fascista per i rom

il confino fascista delle “spie” rom in Sardegna

dall’Istria a Perdas e Lula

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non campi di concentramento, ma un generico confino. Al resto, pensavano le pietre polverose delle campagne sarde, la miseria dei paesi: i più ricchi sull’asino, gli altri a piedi. La Sardegna è stata anche terra di deportazione tra il 1938 e il 1940, una manciata d’anni anni alla fine del Fascismo, in cui l’Isola è diventata la meta – obbligata – dei rom dell’Istria. Il vero inizio di una politica di repressione tutta italiana, rimasta per decenni una pagina fumosa, tutta da studiare. Le storie di Rosa Raidich, dei suoi figli tra cui Graziella (Lalla) nata a Perdasdefogu rientrano nel Porrajmos: termine romanesh che significa “divoramento”, di fatto: sterminio. 

leggi anche: IL MUSEO VIRTUALE. La memoria del Porrajmos in rete: i documenti, le voci e le ricostruzioni

I rom sinti erano infatti considerati “spie” da Mussolini, al pari degli ebrei: e quindi da isolare e neutralizzare, successivamente anche in veri lager nel Sud Italia (Molise e Abbruzzo) e in Emilia Romagna. Fino alla deportazione negli ultimi anni del regime in Germania  e Polonia con l’uccisione di migliaia di uomini, donne, bambini: la stima è di 500mila.

Il lavoro di studio e ricerca di documenti e testimonianze è stato portato avanti dal Centro studi zingari di Roma e da vari giornalisti e storici, tra cui Mirella Karpati. Una rete in parte ricostruita di storie, racconti e vite di passaggio. Dopo il 1945 delle ottanta persone confinate in Sardegna non c’è più traccia: sono tutte tornate nel continente, a caccia dei loro parenti che spesso non troveranno. Anche se è probabile che – in parte – alcuni siano rimasti. Ne è convinto Luca Bravi, dell’Università di Chieti, uno dei ricercatori che si è occupato dei rom in Sardegna. Autore, insieme a Matteo Bassoli, del “Porrajamos in Italia. La persecuzione di rom e sinti durante il fascismo”. Se ne è parlato in uno dei tanti appuntamenti della tre giornate del convegno organizzato dalla Caritas a Cagliari dal titolo “Da Zingaro a cittadino”.

L’ordine al confino, scritto, è stato dato nel 1941: una circolare arrivata dal ministro degli Interni, firmata dal capo della polizia Arturo Bocchini. Si ordinava: «gli zingari di nazionalità italiana certa aut presunta ancora in circolazione vengano rastrellati nel più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte a ciascuna provincia». Prima ancora c’era stato un rigido e dettagliato censimento. Poi, l’ordine delle partenze: fino a Civitavecchia, poi la nave. Ottanta persone sparpagliate in paesi minuscoli: nel Nuorese e nel Sassarese. A Lula, Perdasdefogu passaggi certi che si ritrovati anche nei documenti dell’Archivio di Nuoro e di Pasino, in provincia di Pola. Ma i movimenti verso l’Isola erano iniziati già prima, nel 1938: un’altra donna, Angela Levacovich: nessun reato a suo carico, solo l’essere rom. E così è arriva a Lula, poi spostata a Perdas. I cognomi sono soprattutto slavi: Levacovich, Poropat, Raidich, Stepich, Carri. Ma secondo gli studiosi non erano gli unici presenti in Istria in quegli anni. Le altre famiglie in quanto “zingari autoctoni nazionali” non subirono il confino, almeno fino al 1940, quando la persecuzione arrivò anche per i rom italiani.

Sulla nave per la Sardegna salirono anche molti bambini: anche se a conti fatti il viaggio per il confino sarebbe stato più costoso rispetto all’affidamento all’Opera maternità e infanzia.  All’arrivo lo smistamento a chilometri e chilometri di distanza: una o massimo due famiglie per paese, in alcuni casi anche donne sole. Una a Urzulei, una a Bortigali e così via: Ovodda, Talana, Loceri, Nurri, Posada, Padria, Martis, Chiaromonti e Illorai.

Della loro vita di tutti i giorni poche tracce scritte, nei racconti di chi riesce a tornare in Istria soprattutto la fame nera, gli stenti vissuti nella miseria sarda. Condizioni condivise e familiari con gli abitanti: “C’era una fame terribile – racconta Rosa Raidich – Un giorno, non so come, una gallina si è infilata nel campo. Mi sono gettata sopra come una volpe, l’ho ammazzata e mangiata dalla fame che avevo. Mi hanno picchiata e mi sono presa sei mesi di galera per furto”.

Partono tutti di nuovo verso il continente solo dopo il 1945, quando la guerra è di fatto finita e si smantellano pure i lager tedeschi. “Non esistono più testimoni diretti del confino, ma è di fatto un racconto corale e vivo nella tradizione orale delle famiglie rom”, spiega il ricercatore Bravi. I documenti scritti portano anche a una bimba rom, nata proprio a Perdasdefogu: Graziella detta Lalla, figlia di Rosa Raidich. Ed è un’eccezione quasi nazionale, perché di fatto venivano evitate le registrazioni. È la stessa Rosa Raidich a darne testimonianza: “Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdasdefogu il 7 gennaio 1943, eravamo lì in un campo di concentramento”. Nessun lager è stato, poi, accertato. Anche se non si esclude – spiega Bravi: “che esistessero zone recintate”, o aree in cui i confinati rom non potessero attraversare sempre “per motivi di sicurezza”.

Eppure Lalla di Perdas ebbe anche una madrina per il battesimo, come racconta Giacomo Mameli, in un articolo sui rom di Foghesu. Tra la miseria di quegli anni e qualche pezzo di pane diviso le donne spiccavano rispetto ai paesani: sapevano anche leggere e scrivere. Come dimostrano i documenti e le stesse lettere inviate dalla Raidich alle autorità: scrittura sghimbescia ma ferma soprattutto nelle intenzioni. Negli anni di confino scrive per reclamare l’indennizzo previsto per gli internati dal regime: “Ma che – spiega Bravi – lo Stato non corrispondeva praticamente a nessuno”. E ancora, ormai dopo molti anni dal ritorno nella penisola chiede i documenti di quella figlia nata a Perdas. E di cui, a dispetto di tutti, è rimasto segno nelle carte, del Comune e pure della parrocchia.

Monia Melis

 

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700 bambini affogati in meno di un anno

 “nel 2015 raddoppiati i migranti morti: 700 sono bambini” 

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monsignor Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, ha esposto un quadro drammatico: “L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti

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di Davide Falcioni

parla di “strage silenziosa” monsignor Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, nell’esporre i numeri delle tragedie dell’immigrazione, che da mesi ormai si verificano con cadenza quotidiana a largo del Mar Mediterraneo, spesso nel silenzio più totale, nell’indifferenza quando non nell’odio. I morti del 2015 sono più che raddoppiati rispetto al 2014, passando da 1.600 a 3.200 e dimostrando che la commozione all’indomani della strage di Lampedusa non ha sortito, purtroppo, azioni positive. Impressionante il dato riguardante i bambini: in 700 hanno perso la vita in mare dall’inizio dell’anno.
Perego

Il direttore della Fondazione Migrantes attacca il Vecchio Continente: “L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti. L’operazione Triton non ha saputo rafforzare il salvataggio in mare delle vite umane rispetto all’operazione italiana Mare Nostrum: una vergogna che pesa sulla coscienza europea. L’Europa sembra ora – a fronte della minaccia terroristica – giustificare i muri e la chiusura delle frontiere, oltre che il disimpegno nel creare canali umanitari che avrebbero potuto oltre che salvare vite umane, combattere il traffico degli esseri umani, una delle risorse del terrorismo”.

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La situazione, insomma, sembra peggiorare di giorno in giorno, con il dramma che i naufragi sembrano essere anche spariti dalle prime pagine dei giornali, relegati tra le notizie “varie ed eventuali”. Ciò, inevitabilmente, non ha contribuito a al miglioramento delle condizioni di accoglienza che, insiste Pelago, “sembra affidarsi ancora una volta a centri chiusi, gli ‘hotspots’, come dimostra il Centro di accoglienza di Lampedusa: più di 20mila persone arrivate al porto e trasferite nel Centro, chiuso ad ogni ingresso e uscite. La paura insieme alla convenienza sembra far ritornare indietro di anni il cammino di protezione internazionale costruito in Europa”.

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Ai numeri forniti dalla Fondazione Migrantes si aggiungono quelli dell’Unicef: secondo il “Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia” da gennaio 2015 876mila persone hanno raggiunto le coste europee, con una percentuale di donne e bambini in continua ascesa da qualche mese a questa parte: se a giugno rappresentavano il 27% degli arrivi a novembre la quota è salita al 52%: un profugo su due ormai è un minore o una donna. Ne consegue che anche il numero di vittime sale: solo a ottobre 90 bimbi sono deceduti nel Mare Egeo, il 20% dei quali aveva meno di 2 anni. Una situazione drammatica che rischia di aggravarsi nelle prossime settimane e mesi, con l’arrivo dell’inverno. Marie-Pierre Poirier, Coordinatore speciale UNICEF per la crisi dei Rifugiati e dei Migranti in Europa, ha dichiarato: “Finora l’inverno in Europa è stato relativamente mite, ma ora la stagione sta cambiando. La nostra più grande preoccupazione è che il clima invernale e le imprevedibili restrizioni alle frontiere lascino migliaia di bambini in un limbo, esposti al rischio di naufragi e di gravi malattie respiratorie. Purtroppo c’è carenza di abiti pesanti, sciarpe e calzini da bambino. I bambini migranti e rifugiati hanno sperimentato guerra, privazioni e disagi di ogni genere. Ora hanno bisogno di stabilità, protezione e assistenza”. Per questo, nel tentativo di fronteggiare l’emergenza, l’Unicef ha predisposto nei luoghi di sbarco punti di assistenza specializzati, incapaci però per il momento di fronteggiare le richieste di tutti: occorrerebbero 14 milioni di dollari per garantire continuità alle attività di assistenza ai bambini migranti e rifugiati, ma al momento la comunità internazionale ne ha sborsati solo 3. Parliamo di numeri insignificanti rispetto ai bilanci degli stati.

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morto l’inventore della bandiera ‘bandiera arcobaleno’ del pacifismo

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