il possibile fallimento di papa Francesco

sta fallendo il papa?

José María CASTILLO

Castillo

c’è gente che si fa questa domanda. Anzi ci sono non poche persone che non se la pongono neanche. Perché sono quelle che hanno già la risposta. E ce l’hanno chiara e sicura, nel senso che, come pensano loro, effettivamente è così. Non si tratta, quindi, del fatto che Francesco sta per fallire. Si tratta del fatto che Francesco ed il modello di papato che rappresenta hanno già fallito. Ossia, questo papa non ha rinnovato la Chiesa. E non la sta neanche rinnovando

Per la semplice ragione – dicono i difensori del fallimento – che la teologia di Francesco è poca e povera. A questo si aggiunge il fatto che non ha cambiato neanche un solo canone del Codice di Diritto Canonico. E le nomine di alti incarichi nella Curia non sono state determinanti perché le cose cambino. E non ha potuto farla finita con le salde e solide convinzioni dei cardinali che si oppongono alla sua maniera di esercitare il ministero di Successore di Pietro. Allora, dopo quasi tre anni di papato, dove ci porta quest’uomo? A una nuova e più grande disillusione per la riforma della Chiesa, pensano o temono non poche persone.
Alla fine, non so se sto esagerando. Nè sono qualcuno per affermare con certezza se hanno o non hanno ragione i “profeti di sventura”, come direbbe Giovanni XXIII. La domanda che certamente credo che possa (e debba) porre è questa: chi sono quelli che affermano con certezza che questo papa ha fallito? Certamente una cosa simile non la dicono i poveri, gli ammalati, i bambini, quelli che sono rimasti senza lavoro, la gente che vive nei quartieri di periferia, coloro che scappano dalle guerre, dalle carestie, dai paesi nei quali si vedono sfruttati o in situazioni di insicurezza, di paura e di disperazione. Perché sarà così?
Affermare con certezza che questo papa ha fallito è, nè più nè meno, desiderare che fallisca. E quindi, desiderare che le cose continuino ad essere, nella Chiesa, come stavano nei papati precedenti. O forse – all’estremo opposto – quello che alcuni desiderano è che la Chiesa cambi, dal giorno alla notte, a colpi di decisioni dottrinali e legali, che obblighino un’infinità di persone a pensare in maniera diversa da come la pensavano fin da quando erano bambini. Ma un papa può fare una cosa simile in due o tre anni?
Mettiamo i piedi per terra. Il papa, chiunque sia, non può essere agente di divisione, ma modello di tolleranza, rispetto e comunione. Ma questo, in una Chiesa così divisa e frammentata come quella che abbiamo, non si consegue se non a partire dalla bontà e dalla misericordia. Esercitare il papato non è fare politica. E, men che mai, imporre decisioni che, nel migliore dei casi, si sopportano, ma non si integrano nella vita delle persone.
Le persone nelle loro vite integrano e fanno loro non quello che si impone loro per obbligo, ma quello che li attrae per seduzione. Il giorno che una notevole maggioranza vedrà nel Vangelo un “progetto di vita” che allevia pene, promuove felicità e dà senso alle nostre vite, in questo giorno la Chiesa adempirà al suo compito in questo mondo e sarà diversa. Ebbene, questo, nè più nè meno, è quello che papa Francesco sta tentando di fare. Ed è quello che ha l’intenzione di fare, se, tra l’altro, glielo permettiamo di fare.




un quasi complotto contro papa Francesco

dai petrolieri ai tradizionalisti ecco la rete internazionale che trama

contro papa Francesco

papa3

di Marco Ansaldo
in “la Repubblica”

una costellazione internazionale contro Papa Francesco. È questo il quadro che emerge, e dai contorni sempre più precisi, mentre gli inquirenti del caso Vatileaks procedono con le loro indagini sui corvi e sui vari filoni dell’inchiesta. Un’idra a più teste. Composta da una cerchia interna al Vaticano, ma attiva pure in Italia, che riunisce pezzi di ecclesiastici di mezzo livello «capaci di prendere la forma dell’acqua » (copyright di un anonimo cardinale), strati di massoneria, ombre di funzionari e faccendieri di vario tipo. E da un vasto gruppo internazionale, fatto di chierici conservatori legati alla dottrina, di confraternite tradizionaliste, di siti agguerritissimi, e di servizi segreti di alcuni importanti Stati. Un assembramento minaccioso, unito dall’avversione per l’azione riformista di Francesco, che lo giudica come fuori controllo e pericoloso per i propri interessi

Ci sono alcune domande che la Segreteria di Stato, cioè l’organismo di governo vaticano che coadiuva il Papa e presiede alle indagini attuali, si sta ponendo. Per chi lavorava, in realtà, Francesca Chaouqui? Chi l’ha mossa nel fornire informazioni, come si sospetta, a giornalisti interessati al Vaticano? E soprattutto, a quale risultato punta chi muove i corvi, il maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, e il monsignore spagnolo esperto di economia Lucio Vallejo Balda? Giù fino alle persone terminate ora sotto i riflettori, come il marito della Chaouqui, Corrado Lanino, e il funzionario di Palazzo Chigi con ottime conoscenze in Vaticano, Mario Benotti? C’è un disegno sempre più chiaro nelle diverse fasi dell’operazione anti-Bergoglio. Quello che alcuni definiscono “prove tecniche di golpe”. Ma per arrivare all’oggi occorre fare un passo indietro, e vedere come si è sviluppata l’azione dei corvi sotto Benedetto XVI. Allora, sempre con la scusa di «agire per aiutare il Papa», come aveva detto nel processo del 2012 il maggiordomo Paolo Gabriele, prefigurando le intenzioni della ventina di persone dietro di lui, uno degli obiettivi era la rimozione del Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, giudicato come troppo potente a discapito del Papa teologo. La successiva amarezza e la clamorosa rinuncia al Pontificato da parte di Benedetto XVI avevano rimescolato le carte, e l’arrivo di un Papa del tutto inatteso come Jorge Bergoglio aveva infine calmato l’azione dei corvi, alcuni già colpiti dalla Giustizia vaticana, altri però entrati nei meccanismi di governo della Santa Sede e forse in Italia. Da subito Francesco si è rivelato quello che nemmeno alcuni cardinali americani — fra i suoi grandi sponsor dopo le Congregazioni generali pre Conclave in cui si era distinto — avevano previsto: un riformista capace, magari facendo “lio” (cioè, casino, movimento, come rivendica lui stesso), di tentare la pulizia interna di uno Stato con non pochi gradi di incrostazione. La sua rivoluzione è passata attraverso decine di colpi di scena. Ma la mossa che in alcuni ambienti ha provocato la maggiore indignazione è stata l’Enciclica verde Laudato Si’, causa di malumori e insofferenze fra i conservatori e i petrolieri degli Stati Uniti. I gruppi di pressione hanno così ricominciato la loro azione. Prima in sordina, poi allo scoperto con i tentativi maldestri nel recente Sinodo dei vescovi: il cronometrico coming out pre-lavori del monsignor Charamsa, la lettera critica con il Papa di 13 cardinali, e il falso scoop della malattia nella testa di Bergoglio. Il salvataggio di Francesco al Sinodo si doveva alla maestria del Pontefice Emerito Benedetto, che dietro le quinte riusciva a mettere d’accordo porporati conservatori e riformisti nell’influente e decisivo Gruppo Germanicus sulla questione centrale della comunione da dare ai divorziati risposati (proposta vinta per un solo voto), e l’assemblea si chiudeva con un successo. Ma i corvi avevano cominciato a lavorare prima. Lo stesso gruppo, già sperimentato sul campo. La diffusione di documenti nei libri, per i tempi di lavorazione dei volumi, com’è ovvio era cominciata precedentemente alla convocazione del Sinodo. Gli effetti sono arrivati subito dopo.
Diverse organizzazioni influenti e vari gruppi all’interno di alcuni Paesi manovrano per far cadere Francesco. E non hanno l’intenzione di fermarsi. Ecco perché i viaggi all’estero di alcune delle persone sotto osservazione, fra Stati Uniti e Israele, America Latina ed Europa, sono al vaglio degli inquirenti: proprio per comprendere il filo rosso che a livello internazionale può chiarire il quadro di un tentativo che non è per nulla locale, ma la risultante di un’azione ampia con attori diversi. L’altro giorno, sul quotidiano Il Tempo, Luigi Bisignani, definito come “il manager del potere nascosto” e uomo sempre ben informato sugli intrighi politici, prefigurava uno scenario con “tre pontefici”. Come a dire: presto Bergoglio si dimetterà. Il quale Francesco, tuttavia, ha un’altra età rispetto al suo predecessore Benedetto, mostra un piglio più battagliero, e soprattutto gode di una cerchia di amici più solida di un Papa teologo alla fine rimasto isolato.




Dio non è rivale dell’uomo

QUALI BEATI?

di don Aldo Antonelli

Pegui

«Non mi piacciono i beati.

Quelli che credono di essere della grazia
perché non hanno la forza per essere della natura.

Quelli che credono di essere nell’eterno
perché non hanno il coraggio di essere nel tempo.

Quelli che credono di essere con Dio
perché non stanno con le persone.

Quelli che credono di amare Dio
perché non amano nessuno».
(Charles Peguy)

“essere della natura”, “essere nel tempo”, “stare con le persone”, “amare qualcuno”, non sono cose che possano essere bypassate in nome di Dio e/o della Fede 
NO!
 sono bensì, per noi credenti, il punto minimale di partenza, la base obbligata sulla quale impiantare il fuoco di Dio, la provocazione del suo “andare oltre”, la scommessa della Speranza che non produce evasione ma provoca la lotta.
Noi non possiamo chiudere gli occhi sul mondo degli uomini in quella che Naisbitt chiama la “civiltà della parentesi”, né ci è dato di ammorbidire la profezia con i trucchi di una religiosità a buon mercato.
Leggere questo discorso delle Beatitudini è come un nuotare controcorrente. A fatica ma con gioia.
Contro la stupidità propria di quanti amano ammutinarsi nei bunker delle felicità convenzionali queste beatitudini sono modulate sul registro della solidarietà con tutti gli oppressi, con tutte le vittime, con tutti gli emarginati.
Gesù non beatifica quelli che la società ha reso poveri, i disgraziati della terra, ma quelli che sono poveri per lo spirito… «L’invito di Gesù è alla condivisione, non all’elemosina. L’elemosina crea un benefattore e un beneficiato, la condivisione invece produce dei fratelli» (Alberto Maggi).
Come in un refrain si alternano, ritmicamente, i verbi: al presente e al futuro. Un presente con il quale fare i conti ma da non consacrare. Un futuro che non sia evasione ma che muova i passi dell’uomo.
Ivi è la beatitudine:
nella “con-passione”, non nella “in-differenza”;
nella ricerca, non nella difesa;
nel cammino, non nel domicilio;
nella relazione d’amore, non nell’isolamento del narciso.




per una conversione evangelica della chiesa …

il “patto delle catacombe”

per una chiesa serva e povera

 

in ricordo di dom Helder Câmara

(a 100 anni dalla nascita)

Camara

il 16 novembre del 1965, pochi giorni prima della chiusura del Vaticano II, una quarantina di padri conciliari hanno celebrato una Eucaristia nelle catacombe di Domitilla, a Roma, chiedendo fedeltà allo Spirito di Gesù. Dopoquesta celebrazione, hanno firmato il “Patto delle Catacombe”.Il documento è una sfida ai “fratelli nell’Episcopato” a portare avanti una “vita di povertà”, una Chiesa “serva e povera”, come aveva suggerito il papa Giovanni XXIII.I firmatari – fra di essi, molti brasiliani e latinoamericani, poiché molti più tardi aderirono al patto – si impegnavano a vivere in povertà, a rinunciare a tutti i simboli o ai privilegi del potere e a mettere i poveri al centro del loro ministero pastorale. Il testo ha avuto una forte influenza sulla Teologia della Liberazione, che sarebbe sorta negli anni seguenti.

uno dei firmatari e propositori del Patto fu dom Helder Câmara, il cui centenario della nascita è stato celebrato il 7 febbraio

ecco il testo:

Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II, illuminati sulle mancanze della nostra vita di povertà secondo il Vangelo; sollecitati vicendevolmente ad una iniziativa nella quale ognuno di noi vorrebbe evitare la singolarità e la presunzione; in unione con tutti i nostri Fratelli nell’Episcopato, contando soprattutto sulla grazia e la forza di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla preghiera dei fedeli e dei sacerdoti della nostre rispettive diocesi; ponendoci col pensiero e la preghiera davanti alla Trinità, alla Chiesa di Cristo e davanti ai sacerdoti e ai fedeli della nostre diocesi; nell’umiltà e nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con tutta la determinazione e tutta la forza di cui Dio vuole farci grazia, ci impegniamo a quanto segue:
– Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende. Cfr. Mt 5,3; 6,33s; 8,20.
– Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti), nelle insegne di materia preziosa (questi segni devono essere effettivamente evangelici). Cf. Mc 6,9; Mt 10,9s; At 3,6. Né oro né argento. Non possederemo a nostro nome beni immobili, né mobili, né conto in banca, ecc.; e, se fosse necessario averne il possesso, metteremo tutto a nome della diocesi o di opere sociali o caritative. Cf. Mt 6,19-21; Lc 12,33s.
– Tutte le volte che sarà possibile, affideremo la gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi ad una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli. Cf. Mt 10,8; At. 6,1-7.
– Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre. Cf. Mt 20,25-28; 23,6-11; Jo 13,12-15.
– Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (es. banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi). Cf. Lc 13,12-14; 1Cor 9,14-19.
– Eviteremo ugualmente di incentivare o adulare la vanità di chicchessia, con l’occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi altra ragione. Inviteremo i nostri fedeli a considerare i loro doni come una partecipazione normale al culto, all’apostolato e all’azione sociale. Cf. Mt 6,2-4; Lc 15,9-13; 2Cor 12,4.
– Daremo tutto quanto è necessario del nostro tempo, riflessione, cuore, mezzi, ecc., al servizio apostolico e pastorale delle persone e dei gruppi laboriosi ed economicamente deboli e poco sviluppati, senza che questo pregiudichi le altre persone e gruppi della diocesi. Sosterremo i laici, i religiosi, i diaconi o i sacerdoti che il Signore chiama ad evangelizzare i poveri e gli operai condividendo la vita operaia e il lavoro. Cf. Lc 4,18s; Mc 6,4; Mt 11,4s; At 18,3s; 20,33-35; 1 Cor 4,12 e 9,1-27.
– Consci delle esigenze della giustizia e della carità, e delle loro mutue relazioni, cercheremo di trasformare le opere di “beneficenza” in opere sociali fondate sulla carità e sulla giustizia, che tengano conto di tutti e di tutte le esigenze, come un umile servizio agli organismi pubblici competenti. Cf. Mt 25,31-46; Lc 13,12-14 e 33s.
– Opereremo in modo che i responsabili del nostro governo e dei nostri servizi pubblici decidano e attuino leggi, strutture e istituzioni sociali necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale dell’uomo tutto in tutti gli uomini, e, da qui, all’avvento di un altro ordine sociale, nuovo, degno dei figli dell’uomo e dei figli di Dio. Cf. At. 2,44s; 4,32-35; 5,4; 2Cor 8 e 9 interi; 1Tim 5, 16.
– Poiché la collegialità dei vescovi trova la sua più evangelica realizzazione nel farsi carico comune delle moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale – due terzi dell’umanità – ci impegniamo: – a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere;
– a richiedere insieme agli organismi internazionali, ma testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI all’Onu, l’adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non permette alle masse povere di uscire dalla loro miseria.
– Ci impegniamo a condividere, nella carità pastorale, la nostra vita con i nostri fratelli in Cristo, sacerdoti, religiosi e laici, perché il nostro ministero costituisca un vero servizio; così: – ci sforzeremo di “rivedere la nostra vita” con loro; – formeremo collaboratori che siano più animatori secondo lo spirito che capi secondo il mondo; – cercheremo di essere il più umanamente presenti, accoglienti…; – saremo aperti a tutti, qualsiasi sia la loro religione. Cf. Mc 8,34s; At 6,1-7; 1Tim 3,8-10.
Tornati alle nostre rispettive diocesi, faremo conoscere ai fedeli delle nostre diocesi la nostra risoluzione, pregandoli di aiutarci con la loro comprensione, il loro aiuto e le loro preghiere.
Aiutaci Dio ad essere fedeli.




300 teologi latinoamericani in sostegno a papa Francesco

lettera di sostegno a papa Francesco

questo testo è nato all’interno del II Congresso Continentale di Teologia “La Chiesa che cammina con lo Spirito a partire dei poveri”: si è svoltosi dal 26 al 30 ottobre nella città di Belo Horizonte, Brasile e c’erano circa 300 rappresentanti dall’America latina, dal Caribe, dall’Europa, dal Canada e dagli Stati Uniti

Boff L.

carissimo papa Francesco,

in America Latina, in Brasile e nel Caribe ed in altre parti del mondo siamo in molti che seguiamo preoccupati l’ottusa opposizione e gli attacchi che ti portano minoranze conservatrici, ma potenti, dentro e fuori la Chiesa. Abbiamo assistito, perplessi, a qualcosa di insolito negli ultimi secoli: la ribellione di alcuni cardinali conservatori contro il tuo modo di condurre il Sinodo e, soprattutto, la Chiesa Universale.
La lettera strettamente personale di un gruppo di cardinali, a te diretta, è trapelata alla stampa, come era successo prima con la tua enciclica Laudato Si’, in chiara violazione dei principi di un giornalismo etico.
Tali gruppi conservatori pretendono un ritorno al modello di Chiesa del passato, concepita come una fortezza chiusa piuttosto che come “un ospedale da campo con le porte aperte per accogliere qualsiasi persona che bussi”; Chiesa che dovrà “cercare e accompagnare l’umanità di oggi con le porte aperta, perché con le porte chiuse tradirebbe se stessa e la sua missione e, invece di essere un ponte, diventerebbe una barriera”. Queste sono state le tue parole coraggiose.
Gli atteggiamenti pastorali del tipo di Chiesa proposto nei tuoi discorsi e nei tuoi gesti simbolici si caratterizzano per l’amore caldo, per l’incontro vivo tra persone e il Cristo presente tra noi, per la misericordia senza limiti, per la “rivoluzione della tenerezza” e per la conversione pastorale. Questa implica che il pastore abbia “odore di pecora” perché convive con lei e l’accompagna lungo tutto il percorso.
Ci dispiace che tali gruppi conservatori sappiano al massimo dire no. No alla comunione dei divorziati risposati; no al riconoscimento degli omoaffettivi; no a qualsiasi apertura al mondo che comporti cambiamenti di sostanza. Vorremmo ricordare a questi fratelli le cose più ovvie del messaggio di Gesù. Lui non è venuto a dire no. Al contrario Lui è venuto a dire sì. San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi ci ricorda che “Il Figlio di Dio è stato sempre sì…perché tutte le promesse di Dio sono sì in Gesù” (2 Cor 1,20).
Nel Vangelo di San Giovanni Lui afferma esplicitamente: “Se qualcuno viene a me io non lo manderò mai via” (Gv 6,37). Poteva essere una prostituta, un lebbroso, un teologo pavido come Nicodemo: ha accolto tutti con il suo amore e la sua misericordia.
La caratteristica fondamentale del Dio di Gesù, “Abba”, è la sua misericordia illimitata (Lc 6,36) ed il suo amore preferenziale per poveri, per gli ammalati ed i peccatori (Lc 5,32; 6,21). Più che fondare una nuova religione con fedeli devoti, Gesù è venuto a insegnarci a vivere ed a realizzare il messaggio centrale del Regno di Dio, i cui beni sono: l’amore, la compassione, il perdono, la solidarietà, la fame e sete di giustizia e il farci sentire tutti figli e figlie amati da Dio.
I tentativi di delegittimare la tua maniera di essere Vescovo di Roma e Papa della Chiesa universale guidando la Chiesa più con la carità che con il Diritto Canonico, più con la collegialità e la cooperazione che con l’uso solitario del potere sacro non approderanno a nulla, perché niente resiste alla bontà e alla tenerezza delle quali ci dai uno splendido esempio. Dalla storia abbiamo imparato che. quando prevale il potere, sparisce l’amore e si estingue la misericordia, valori centrali della tua predicazione e di quella di Gesù.
In questo contesto, di fronte alla nuova fase planetaria della storia ed alle minacce che pesano sul sistema-vita e il sistema-Terra, coraggiosamente segnalate nella tua Enciclica Laudato Si’ sulla “Cura della Casa Comune”, vogliamo serrare le file intorno a te e mostrare il nostro totale appoggio alla tua persona, al tuo ministero, alla tua visione di Chiesa pastorale e aperta e alla forma carismatica con la quale tu ci fai sperimentare nuovamente la Chiesa come nostro focolare spirituale. E ci sono tanta gente di altre chiese, religioni e del mondo laico che ti appoggiano e ti ammirano per il tuo modo di parlare e agire.
Non è senza significato il fatto che la grande maggioranza dei cattolici viva nelle Americhe, in Africa e in Asia, dove si constata una grande vitalità e creatività in dialogo con le diverse culture, che mostrano vari volti della stessa Chiesa di Cristo. La Chiesa cattolica è oggi una chiesa del Terzo Mondo, poiché soltanto il 25 % dei cattolici vive in Europa. Il futuro della Chiesa si gioca in queste regioni dove soffia fortemente lo Spirito.
La Chiesa cattolica non può rimanere ostaggio della cultura occidentale, che è una cultura regionale, per quanto grandi siano i meriti che ha accumulato. C’è bisogno che si disoccidentalizzi e si apra al processo di mondializzazione che favorisce l’incontro delle culture e dei cammini spirituali.
Caro papa Francesco, tu partecipi dello stesso destino del Maestro e degli Apostoli, che anche loro furono incompresi, calunniati e perseguitati.
Ma siamo tranquilli perché sappiamo che tu accetti tali tribolazioni nello spirito delle Beatitudini. Tu le sopporti con umiltà. Tu chiedi perdono per i peccati della Chiesa e continui sulle orme del Nazareno.
Vogliamo stare con te, appoggiarti nella tua visione evangelica e liberatrice di Chiesa, darti coraggio e forza interiore perché prendiamo coscienza, nelle parole e nei gesti, della Tradizione di Gesù fatta di amore, di misericordia, di compassione, di intimità con Dio e di solidarietà con l’umanità sofferente.
Infine, caro papa Francesco, continua a mostrare a tutti noi che il Vangelo è una proposta buona per tutta l’umanità, che il messaggio cristiano è una forza ispiratrice per la “cura della Casa Comune” e generatrice di una piccola anticipazione di una Terra riconciliata con se stessa, con tutti gli esseri umani, con la natura e soprattutto con il Padre che ha mostrato di avere caratteristiche di Madre di infinita bontà e tenerezza. Alla fine, tutti insieme potremo dire: “Tutto è molto buono” (Gen 1,31).
Il sostegno può essere inviato a valecarusi@gmail.com dell’Ambasciata argentina presso a la Santa Sede




porpora cardinalizia rossa per la vergogna … le amare riflessioni di Vitaliano Della Sala


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rosso porpora

 di vergogna

tratto da: Adista Notizie n° 39 del 14/11/2015

Ancora Vatileaks. Ancora documenti trafugati in Vaticano che raccontano di scandali, cupidigia, speculazioni, ipocrisia, mancanza di carità. Un cardinale dovrebbe essere un “cardine” su cui poggia la Chiesa, uno dei prescelti a testimoniare il Vangelo fino all’estremo, fino al sangue, rappresentato dalla porpora che indossa; è un “principe” della Chiesa, ma essere principe nella Chiesa è diverso da essere potenti nel mondo: significa essere uno dei prìncipi di quel re, Gesù Cristo, che si è chinato a lavare i piedi ai suoi discepoli, prima di morire in croce.

Invece apprendiamo che molti cardinali assomigliano più a prìncipi mondani che a testimoni di Cristo; pavoneggiandosi nelle loro ricche porpore, hanno trasformato il Vaticano in una “spelonca di ladri”, usano le canonizzazioni per accumulare ricchezze, rubano i soldi destinati ai poveri.

Viene da chiedersi se questi cardinaloni appartengano alla stessa Chiesa della vecchietta che dona la sua offerta per l’obolo di san Pietro, togliendola dalla misera pensione, o del fedele che firma per destinare il suo 8 per mille alla Chiesa cattolica, perché lo spenda nel migliore dei modi. Anch’io mi sono più volte chiesto, indignato, se questi lupi travestiti da prelati appartengano alla mia stessa Chiesa: faccio i salti mortali per custodire e preservare le cinque antiche chiese presenti nel territorio della mia parrocchia, piene di opere d’arte da restaurare; cerco di racimolare soldi, in tutti i modi leciti, per pagare fitti, bollette e pacco alimentare alle tante famiglie in difficoltà che bussano alla porta della parrocchia; 150 bambini frequentano l’oratorio e durante l’inverno non possono usare il campo di calcetto perché non troviamo i soldi per coprirlo. E sono convinto che la maggior parte dei parroci del Sud Italia stiano nelle mie stesse condizioni.

È di un’attualità sconvolgente quanto scriveva don Lorenzo Milani a don Ezio Palombo il 29 aprile 1955: «Vengono onorati e elevati i preti che si distinguono nelle più corruttive attività e vengono destituiti i santi». Forse sono ingenuo, ma perché non cominciare ad immaginare una sorta di rotazione, se non tra vertici e base della Chiesa, almeno tra i suoi dirigenti apicali? Sarebbe bello se un cardinale o un vescovo, dopo alcuni anni di impegno ai vertici della Santa Sede andasse, o tornasse, a svolgere il proprio servizio in una diocesi.

Invece è triste pensare che il vero scontro ai vertici della gerarchia quasi immobile e inamovibile della Chiesa cattolica, non sia solo tra conservatori e progressisti, ma tra questi e i potenti vestiti da vescovi e cardinali, che non vogliono cedere né mettere in discussione il proprio potere, che anzi cercano di accrescere con ogni mezzo. Allora ben vengano queste rivelazioni giornalistiche che – lo spero tanto – alcuni sostengono essere i primi effetti della “rivoluzione” di papa Francesco di cui tanto si parla.

Nel XIII secolo lo scontro tra la Chiesa dei “poveri in spirito”, rappresentata da san Francesco, e quella del potere, rappresentata da papa Innocenzo III, si risolse in una sorta di tregua precaria. Morto il santo di Assisi, infatti, lo scontro si riaccese in modo sempre più cruento: il sangue era quello dei poveri e di chi li difendeva, schiacciati dalla maggior parte della gerarchia che, invece, pensava ad accumulare sempre più potere e ricchezze. Il potere, che forse per un momento solo era sembrato scosso dalle scelte evangeliche di Francesco, dopo di lui trionfa, come sempre, vendicativo e spavaldo più che mai. Resta l’esempio concreto del giullare di Dio, che comunque attraverserà tutta la storia. C’è da chiedersi se adesso che in Vaticano Francesco sembra aver preso il posto di Innocenzo, le scelte del poverello di Assisi possano finalmente diventare il programma del pontificato di un papa. Ce lo auguriamo in tanti. Ben sapendo – e lo sa bene anche papa Francesco – che scrostando e liberando il volto evangelico della Chiesa dal marciume, questo apparirà ancora più schifoso. Ma non bisogna aver paura della verità: anche il pavone quando apre la sua splendida coda diventa bellissimo, ma … necessariamente mostra il culo.

Vitaliano Della Sala è amministratore parrocchiale a Mercogliano (Av)




G. Ferrara fa la ramanzina a papa Francesco e gli insegna a fare il papa

 il Papa e i faraoni della Curia

Francesco critica i vescovi che spendono

“ma un trattamento grillino della chiesa è una cattiva idea. Il denaro non serve solo a fare l’elemosina, e il diavolo spesso usa mezzi pauperistici per farsi sentire”

di seguito la ramanzina che con piglio deciso e spavaldo, e con posa tanto più spavalda quanto più si accorge che dalla penna gli escono parole e giudizi e valutazioni cui egli stesso deve faticare per credere sensati, e ciò appunto per superare dentro di sé illogicità, assurdità e contraddizioni rispetto alla semplice e inequivoca proposta evangelica … 

di Giuliano Ferrara

Ferrara

Non mi rassegno all’idea che un Papa possa sbagliare. Sono irrazionale? Sì, lo sono. Non m’importa che la celebre pierre sia stata nominata con un chirografo, atto solenne di mano del Pontefice. Me ne infischio se nell’Opus Dei, prelatura personale del Papa secondo san Giovanni Paolo II, si poteva pescare di meglio che non monsignor Vallejo Balda. Lascio volentieri ai laicisti di pensare che un’istituzione mezzo umana e mezzo divina meriti l’orgia del pettegolezzo, i cardinali che si mordono gli uni gli altri (come disse Benedetto citando un padre della chiesa), polemiche da buggigattolo sanpietrino, che disonorano una grande e fatale tomba, o da Curia castale e lebbrosa. Considero gesti commerciali e malizie editoriali i libri fondati sul trafugamento proditorio di carte riservate e sul loro montaggio scandaloso all’insegna di Mafia Vaticana. Secondo me un cardinale alto uno e novanta, di centotrenta chili, tra i settanta e gli ottanta, posto che lavori bene e sia uomo di Dio, può benissimo viaggiare in business class, via. Credo alla metà della metà, come per il sesso i soldi e la santità, a tutte queste dicerie bellettristiche e fasulle

Però e perciò scongiuro umilmente Francesco, dalla mia cattedra di non credente, a quanto pare l’unica tipologia accademica rimasta in piedi nella chiesa post teologica e pastorale, di non fare sparate contro i preti che vivono come faraoni, di non considerare il denaro come sterco del demonio (lo è, in parte, ma il demonio ha molti altri mezzi, anche superbamente pauperistici, per farsi sentire), di non portare all’incandescenza profetica o apocalittica, decidete voi, la sua crociata francescana per una chiesa povera e dei poveri. Eliminare i lussi dalla vita del clero romano e di altri settori altrettanto sbrilluccicanti in tutto il mondo, è buona cosa.

Pastoralizzare la chiesa, come si pastorizza il latte per disinfettarlo e metterlo in sicurezza esponendolo ad alte temperature, va bene. Ma un trattamento grillino della chiesa, dopo quello scalfariano della dottrina, è una cattiva idea.

Intanto Francesco, l’alter Christus, agiva dal basso di un mondo infinitamente diverso da quello moderno. Francesco, il Papa che a lui si ispira secondo modelli ignaziani, sa meglio di chiunque altro che tra il poverello e noi c’è di mezzo il Cinquecento, la Riforma, la nascita del mondo moderno, grazie anche ai gesuiti. I poverelli scalzi e in saio possono ricostruire la chiesa con la testimonianza, salvo approfondimenti spirituali e storici della faccenda, ma i Papi la chiesa devono governarla. E se il suo santo programma pontificale è letteralmente “rimettere la chiesa all’onor del mondo”, seguendo la via di un individualismo mistico, di uno svuotamento al cospetto di un Dio misericordioso che perdona attraverso il sacrificio del suo unico Figlio, programma sacro in sé, i mezzi impiegati per realizzarlo non possono confondersi con le falsità dissacranti del pauperismo, dello scandalismo, dell’importazione nella madre e maestra dei credenti dei metodi facilisti dell’antipolitica laica, che oggi è una religione dell’irreligione pronta a divorare la riforma o rivoluzione di Francesco con il suo spiritaccio canaille e anticristico.

Sono papista, non curiale. Me ne sono sempre straimpipato delle cordate, delle lobby, degli umani troppo umani di quell’istituzione così fatalmente romana. Ma non posso sopportare un linguaggio scadente, la convergenza con la linguacciuta e delatoria tendenza a vedere mali mondani anche dove non ci sono. Se un giornale romano divenuto giornale di riferimento della rivoluzione di Francesco, come Repubblica, insiste sul fatto che Bertone vive come un faraone, ride dei bambini malati del Bambin Gesù, insomma il male assoluto, e poi porta come prove quattro fregnacce imprecise e calunniatrici, il capo della Santa Sede, autorità civile e morale oltre che spirituale, deve reagire con severità. Faccia una telefonata a Mauro, per una volta salti il colloquio di conversione con il grande spinoziano. A me Bertone non è mai piaciuto nonostante fosse stato scelto da un Papa che amavo incondizionatamente per il suo pensiero teologico; me lo ricordo da Vespa che insieme al vecchio Andreotti attribuiva ai trafficanti di droga, invece che a Yuri Andropov e al suo pistolero inabile, il destino del Papa Giovanni Paolo sotto attentato; mi ricordo quanto leccaculismo lo circondava, tra una cenetta e l’altra, tra un incarico e l’altro, tra quelli, e non faccio i nomi per carità di patria ecclesiastica, che ora si affollano sotto i patiboli mediatici tollerati da Francesco. Ma non si sgozzano i cardinali sulla pubblica piazza, se si voglia un po’ di bene alla chiesa com’è, com’è stata e come sarà sempre.

Il denaro non serve solo a fare l’elemosina, questa è un’utopia regressiva. Il denaro è un mezzo decisivo di comunicazione tra gli umani, da sempre, e non c’è bisogno di tornare a una chiesa costantiniana e al regime di cristianità per capire che il denaro serve a garantire l’indipendenza dell’istituzione, la libertas ecclesiae, oltre che il funzionamento delle opere misericordiose che costituiscono il grosso delle spese e degli investimenti della casa madre in tutto il mondo. La chiesa certo è spossessamento, in ogni senso, certe cose non devono essere tollerate dalla gerarchia e dal suo custode, ma il denaro come facoltà e facoltosità ha commissionato le grandi opere di Michelangelo e tutto il resto, cose che Francesco per primo riconosce come patrimonio non della sola chiesa ma dell’umanità. La storia non deve essere semplificata e compressa in interviste da teologia del popolo che possono compiacere un’immaginetta che il mondo è pronto a idolatrare, il santino così poco laico di una chiesa spoglia di influenza e di potere se non spirituali. Questo potere e questa influenza c’è chi se li andrà a cercare negli interstizi e negli spazi lasciati vuoti dalla cultura di impianto cristiano e occidentale. Lo spirito va e viene dove vuole, anche nella cassetta delle indulgenze e nelle opere costose della misericordia o nella creazione di un mondo divino parallelo, quello delle immagini e delle opere d’arte. La chiesa è padrona di niente, è operaia dello spirito, è evangelica, d’accordo, ovvio, ma la sua dignità povera e per i poveri non sopporta gli ipocriti arabeschi, questi sì farisaici nel senso peggiore del termine, dei populismi d’accatto e delle guerre intestine all’insegna della logica anti istituzionale. Magari mi sbaglio, ma per me è così.




le minacce sgangherate del responsabile di ‘radio Maria’

 

vatileaks

il direttore di Radio Maria don Livio Fanzaga: “Nuzzi e Fittipaldi… quasi quasi li impiccherei”

le ha pronunciate davvero queste parole, p. Livio, e non in ‘camera charitatis’ parlando del più e del meno tra un caffè e una sigaretta, ma in diretta dalla sua emittente dalla quale sembra possa dire e fare di tutto, dalla politica più sfacciata alle espressioni razziste, agli insulti a chi non incarna il suo modello di famiglia o di sessualità, alla apologetica più vieta e controproducente … fino anche a insultare nel modo più stravagante e sgangherato giornalisti che fanno il loro mestiere in modo più professionalmente corretto del suo

Livio Fanzaga

 

  06/11/2015

RADIO MARIA

 

Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi? “Quasi quasi li impiccherei…”. La frase shock, denuncia l’Espresso, appartiene al direttore di Radio Maria Don Livio Fanzaga, che durante il suo programma quotidiano ha attaccato duramente Fittipaldi e Nuzzi, autori di “Avarizia” e “Via Crucis”, i due libri che hanno terremotato il Vaticano in questi giorni.

“Gli autori di questi libri, le case editrici, diventeranno milionari. Poi vengono a far le prediche, dite che l’avete fatto per guadagnare! Voglio semplicemente dire, a chi ha venduto i documenti, a chi li ha comprati… dico loro che Giuda dopo aver concluso l’affare andò ad impiccarsi. Andò a cercare l’albero dove si impiccò. Mi dispiace per lui, per tutti i suoi… diciamo i suoi discendenti, a cui auguro di pentirsi. Quello che mi scandalizza sono i Giuda di ieri e di oggi”.

 
 

E ancora:

“Giornalisti cattolici che dicono delle cattiverie…. che hanno la lingua biforcuta, la penna biforcuta. È una cosa che mi fa rimettere… Mi fa nausea, mi fanno stomacare. E devo fare fatica a pregare per loro, perché io li impiccherei quasi quasi…”.
Don Fanzaga definisce i libri ““sterco”, “letame di mucche”. “Ti fan sudare sangue, a leggerli. Ma siccome il Papa ieri a parlato di perdono, per carità perdoniamoli”.




commento al vangelo della domenica

“QUESTA VEDOVA, COSI’ POVERA, HA GETTATO NEL TESORO PIU’ DI TUTTI GLI ALTRI”

 commento al vangelo della domenica trentaduesima del tempo ordinario (8 novembre 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi
Mc  12, 38-44

[In quel tempo], Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete.
Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.
Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Nel tempio di Gerusalemme, dopo aver attaccato la dottrina degli scribi – gli scribi erano i teologi ufficiali, il magistero infallibile dell’istituzione religiosa giudaica – dopo aver attaccato la loro dottrina, Gesù attacca la loro condotta. E’ quanto ci scrive l’evangelista Marco nel capitolo 12 dal versetto 38 al 44.
Vediamo. Diceva loro… Gesù sta insegnando alla folla … nel suo insegnamento. Ecco è importante questa indicazione, è un insegnamento che è sempre valido per le comunità dei credenti. Quella che segue non è tanto una polemica contro un mondo giudaico dal quale la comunità dei credenti si era ormai distaccata, ma un monito – purtroppo inascoltato – perché all’interno della comunità cristiana non rinascano gli stessi perversi atteggiamenti che Gesù denuncia.
Nel suo insegnamento Gesù diceva: “Guardatevi…” Guardatevi significa state attenti, state in guardia. E’ strano, Gesù mai invita a stare in guardia dai peccatori, dai miscredenti, ma sempre dalle persone religiose. Sono queste pericolose per la fede delle persone.
E da chi mette in guardia Gesù? Dagli scribi. La loro parola era considerata come avente lo stesso valore della parola di Dio, le massime autorità religiose. Ebbene Gesù dice: “State in guardia da questi tipi, da questi individui”. E poi Gesù offre tre indicazioni per saperli riconoscere, in modo che questo resti valido per le comunità di tutti i tempi.
La prima: amano passeggiare in lunghe vesti. Sono persone che sono nulla. Hanno il vuoto dentro, ma allora mascherano questo loro nulla, questo loro vuoto con addobbi, indumenti, paramenti religiosi per coprire la nullità che sono.
Gesù aggiunge “Ricevere i saluti nelle piazze” che significa essere ossequiati, riveriti, essere riconosciuti per il loro grado religioso, “avere i primi seggi nelle sinagoghe”. Nelle sinagoghe il primo seggio era quello più lontano dal popolo, e soprattutto era in alto, una posizione dalla quale controllare soprattutto dominare la popolazione con la loro dottrina. E, quando c’è da stare con la gente si prendono le distanze, stanno lontano e in alto, quando c’è da mangiare sono ai primi posti, infatti “i primi posti nei banchetti”, dice Gesù, cioè quelli più vicini al padrone di casa, dove si viene serviti prima e nutriti meglio.
E poi ecco l’accusa, “Divorano”, cioè spogliano, “le case delle vedove”. Per vedova si indica tutti coloro che non hanno un uomo che le protegga, le persone bisognose. Anziché comunicare vita alle persone più bisognose, loro le spogliano, quindi comunicano morte.
Attenti a queste persone che, anche se apparentemente, con tutti i loro paramenti, abiti religiosi, distintivi, sembrano indicare una vicinanza al Signore, il Dio della vita, in realtà sono agenti di morte. E l’unica volta che Gesù condanna delle persone lo fa con queste autorità religiose. Gesù continua: “Essi riceveranno una condanna più severa”.
Qual è la condanna? Che Gesù toglierà la vigna che Dio aveva loro affidato, cioè toglierà il popolo dalle loro grinfie, dalla loro avidità. E poi l’evangelista ci presenta un Gesù che spiega quello che ha anticipato verbalmente. Seduto di fronte al tesoro, che è in vero Dio del tempio, il luogo dove venivano poste le offerte, il vero Dio adorato dagli scribi, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte.
I ricchi sostengono un’istituzione che non denuncia l’ingiustizia della ricchezza, ma addirittura l’appoggia. Quindi i ricchi sostengono un sistema del genere. Ma, venuta una vedova povera … per comprendere quello che segue dobbiamo sapere che, secondo il libro del Deuteronomio, nel capitolo 14, dal versetto 28, leggiamo che con i proventi del tempio bisognava mantenere le vedove e gli orfani, cioè le persone che più avevano bisogno.
Qui adesso vedremo che succede il contrario, sono stati gli scribi che, nella loro avidità, fanno sì che siano le vedove a mantenere questo tempio, questa sanguisuga che è il tesoro del tempio contrabbandato come luogo della presenza di Dio.
Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo, le monete minime, di infimo valore. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli… Gesù i suoi discepoli li deve sempre chiamare, sono lontani. Non è tanto una distanza fisica, quanto spirituale. E disse loro: “In verità … “ Se prima l’evangelista ha parlato di insegnamento, ora mette la parola “verità”, quindi sono insegnamenti che sono validi per sempre anche per la comunità cristiana.
E Gesù non fa un elogio della vedova, ma piange questa vittima dell’istituzione religiosa, dell’avarizia, della cupidigia dell’autorità religiosa, che sfrutta il popolo per i propri interessi. Certo non lo dà a vedere, sono furbi, sembra che tutto si faccia a gloria di Dio, in realtà si fa soltanto per la sua pancia.
“In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”, cioè la sua vita intera.
La donna, la vedova, è immagine del popolo sfruttato in nome di Dio. Quindi non è una lode, ma un lamento. Poi, non c’è nel brano liturgico, ma bisogna leggerlo per completarlo. Poi uno dei discepoli attira l’attenzione di Gesù sulla magnificenza del tempio e dice: “Maestro, guarda che splendide pietre, che splendide costruzioni”. E poi la sentenza di Gesù: “Un’istituzione che sfrutta i poveri per il proprio interesse, un’istituzione che, anziché comunicare vita la toglie, non ha diritto di esistere”.
Ed ecco le parole di Gesù: “Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia distrutta”.




la cattiva accoglienza dei migranti

centinaia di migranti ammassati nel degrado

e nessuno controlla

il Consorzio “Maleventum” incassa fino a 30 mila euro al giorno per occuparsi, nel Beneventano, di 1.000 richiedenti asilo in strutture spesso fatiscenti e sovraffollate. Il gestore: “Le istituzioni premono perché ne prendiamo quanti più possibile”. Accardo: “Colpa anche delle prefetture”

 

alcune immagini della struttura che accoglie i migranti
Benevento struttura accoglie i migranti

 Uomini stipati in pochi metri quadrati. Le immagini non lasciano spazio ad immaginazione alcuna e il gestore conferma: “E’ vero, c’è sovraffollamento, ma non solo da noi. E non dipende tanto dai gestori delle strutture quanto dalle istituzioni, che premono affinché accogliamo quanti più migranti è possibile”.

Per raggiungere la palazzina a due piani gestita dal Consorzio Maleventum, il cui presidente è Paolo di Donato, bisogna letteralmente arrampicarsi su una stradina sterrata, nel cuore di Contrada Madonna della Salute, una piccola frazione di Benevento. È il beneventano, infatti, la zona nella quale il consorzio sembra essere attore protagonista sulla scena dell’accoglienza, arrivando ad accogliere circa 1.000 richiedenti asilo. Un giro d’affari notevole, con introiti che si aggirano intorno ai 30.000 euro al giorno, a fronte dei quali la cooperativa si impegna a rispettare quanto stabilito dalle convenzioni stipulate con la Prefettura di Benevento.

Benevento struttura accoglie i migranti 2

Tuttavia, che qualcosa nella contrada beneventana non funzionasse a dovere era emerso già il 6 ottobre scorso, quando una protesta dei migranti aveva evidenziato più di un problema, spingendo anche la Cgil locale ad intervenire. Il centro, infatti, pur essendo da un mese in attività, ha da poco ultimato i lavori di allaccio per l’acqua potabile. Per una trentina di giorni, i circa 120 “ospiti” hanno bevuto e si sono lavati con acqua di pozzo. Soltanto il 21 ottobre sono stati affissi degli avvisi, all’interno della struttura, con i quali si comunicava che da quel giorno l’acqua sarebbe stata potabile.

Benevento struttura accoglie i migranti 4

“Abbiamo fatto i lavori per allacciarci alla rete idrica e sotto quella stradina sono passati i tubi, per questo è in quelle condizioni. Però presto verrà riparata”, ci dice subito il gestore di questa struttura del Consorzio, mentre gli spieghiamo che, nella ricerca della struttura, l’unica stradina che avevamo evitato per un’ora, ritenendola non praticabile, era proprio quella. 

Come è possibile che la Prefettura affidi 120 migranti ad un consorzio che li colloca in una struttura non a norma, senza acqua potabile e con una capienza inferiore a quella necessaria? Non esistono controlli preventivi? “No”, è la candida risposta del gestore che sembra abituato ai meccanismi dell’emergenza. Difatti, il consorzio Maleventum, società costituita per atto notarile ed iscritta alla Cciaa di Benevento, opera all’interno del sistema di accoglienza dal 2010 e riceve, ormai da mesi, affidi diretti, senza alcun controllo preventivo né, evidentemente, successivo.

“Queste non sono mica strutture nostre – si giustifica il gestore – noi le prendiamo in affitto e poi dobbiamo adeguarle alle esigenze del caso. Così capita che a volte non si fa in tempo a fare i lavori necessari prima che arrivino i richiedenti asilo”. A sentir parlare il gestore del centro, escluso il “piccolo” problema dell’acqua potabile e quello che lui definisce un “leggero sovraffollamento nella norma”, tutto sembrerebbe andare bene in Contrada Madonna della Salute.

Benevento struttura accoglie i migranti 3

Quando a parlare sono i migranti, invece, le cose sono un po’ di diverse: condizioni di sovraffollamento insostenibili, 10 bagni con 8 water per 120 persone, poche docce e condizioni igieniche a dir poco discutibili. “Quelli che abbiamo addosso in questo momento sono gli unici vestiti che ci hanno dato ed inizia a fare freddo” – ci dice un ragazzo che incontriamo sulla stradina che porta verso il paese. L’unico al quale riusciamo a rivolgere qualche domanda, avendo ricevuto un tassativo divieto di rivolgerci ai migranti all’interno della struttura.

A confermare l’assenza di un mediatore culturale, poi, è lo stesso gestore nel momento in cui gli chiediamo di incontrarne uno: “No, oggi è domenica e non c’è perché appartiene ad un’altra struttura, quindi ci organizziamo tra di noi. Diciamo che io la domenica vengo per questo anche se devo dire che, una volta instaurato un rapporto con loro, non hanno grosse necessità”.

A tenere sotto controllo il consorzio Maleventum sono stati, in questi anni, anche gli attivisti della campagna LasciateCIEntrare: “Considerando che ci si trova di fronte ad una situazione di degrado più assoluto – ci dice Yasmine Accardo, attivista campana – con assenza di acqua potabile per molto tempo, sovraffollamento e discutibili condizioni sanitarie, non si comprende quali siano i criteri utilizzati dalle Prefetture nella scelta delle cooperative per le procedure di affido diretto. Già da tempo siamo sulle tracce di questo consorzio, essendoci arrivate numerose segnalazioni dalle diverse strutture di loro competenza. Siamo stati nei centri di Dugenta e Sant’Agata dei Goti, sempre nel beneventano, ed anche lì la situazione è allucinante: non esistono figure di mediazione ed alcun tipo di assistenza legale”.

“Oltre a un alloggio scadente e cibo di pessima qualità – continua Accardo – la gestione di questo consorzio non garantisce altro. Non di poco conto è anche la posizione delle strutture, spesso ubicate in campagne isolate o stradine di montagna. Insomma, con Maleventum siamo ben lontani dal raggiungimento degli standard minimi dell’accoglienza, previsti dalla legge, nonostante intaschino circa 30 euro al giorno per ogni migrante che gli viene affidato. In ogni caso siamo in contatto costante con i ragazzi del centro, ai quali abbiamo già assicurato tutto il nostro supporto per tirarli fuori da questa situazione invivibile. Purtroppo, nel nostro paese, i meccanismi dell’emergenza continuano a rappresentare una via privilegiata per speculatori ed affaristi sulla pelle dei migranti e, spesso e volentieri, le prefetture sono le prime responsabili di ciò. Di chi è la colpa quando 100 richiedenti asilo appena sbarcati a Lampedusa finiscono in un vecchio casale nel Sannio dove non c’è neanche l’acqua potabile? Credo che sia di chi quella struttura la gestisce guadagnando un bel po’ di soldi, ma anche di chi dovrebbe controllare e non lo fa.”

Duramente si è espressa anche Rosita Galdiero, segretario provinciale della Cgil, nell’intervista rilasciata a ottobre al giornale “ilquaderno.it” – “Un mese fa ho scritto una nota al Prefetto chiedendo un incontro per capire come sarebbero stati gestiti i nuovi arrivi, ma non ho ricevuto risposta. Sono amareggiata, scriverò una nuova nota al Prefetto e poi come Cgil ne invierò una al ministero dell’Interno, dove spiegherò come funziona a Benevento il sistema dell’accoglienza, compresa l’anomalia che vede in pratica gestire tutto al Consorzio Maleventum”. Sulle condizioni in cui vivono i migranti, conclude – “Non ci sono nemmeno docce sufficienti. I ragazzi sono costretti a fare i propri bisogni fuori, esiste una condizione degrado”. (Giulia Ambrosio-Luca Leva)

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