fare memoria dei morti: il 2 novembre

Bianchi

 

memoria dei morti

2 novembre

commento di E. Bianchi

Con questa memoria, siamo al cuore dell’autunno: gli alberi si spogliano delle foglie, le nebbie mattutine indugiano a dissolversi, il giorno si accorcia e la luce perde la sua intensità. Eppure ci sono lembi di terra, i cimiteri, che paiono prati primaverili in fiore, animati nella penombra da un crepitare di lucciole. Sì, perché da secoli gli abitanti delle nostre terre, finita la stagione dei frutti, seminato il grano destinato a rinascere in primavera, hanno voluto che in questi primi giorni di novembre si ricordassero i morti.

Sono stati i celti a collocare in questo tempo dell’anno la memoria dei morti, memoria che poi la chiesa ha cristianizzato, rendendola una delle ricorrenze più vissute e partecipate, non solo nei secoli passati e nelle campagne, ma ancora oggi e nelle città più anonime, nonostante la cultura dominante tenda a rimuovere la morte. Nell’accogliere questa memoria, questa risposta umana alla “grande domanda” posta a ogni uomo, la chiesa l’ha proiettata nella luce della fede pasquale che canta la resurrezione di Gesù Cristo da morte, e per questo ha voluto farla precedere dalla festa di tutti i santi, quasi a indicare che i santi trascinano con sé i morti, li prendono per mano per ricordare a noi tutti che non ci si salva da soli. Ed è al tramonto della festa di tutti i santi che i cristiani non solo ricordano i morti, ma si recano al cimitero per visitarli, come a incontrarli e a manifestare l’affetto per loro coprendo di fiori le loro tombe: un affetto che in questa circostanza diventa capace anche di assumere il male che si è potuto leggere nella vita dei propri cari e di avvolgerlo in una grande compassione che abbraccia le proprie e le altrui ombre. Per molti di noi là sotto terra ci sono le nostre radici, il padre, la madre, quanti ci hanno preceduti e ci hanno trasmesso la vita, la fede cristiana e quell’eredità culturale, quel tessuto di valori su cui, pur tra molte contraddizioni, cerchiamo di fondare il nostro vivere quotidiano.

Questa memoria dei morti è per i cristiani una grande celebrazione della resurrezione: quello che è stato confessato, creduto e cantato nella celebrazione delle singole esequie, viene riproposto qui, in un unico giorno, per tutti i morti. La morte non è più l’ultima realtà per gli uomini, e quanti sono già morti, andando verso Cristo, non sono da lui respinti ma vengono risuscitati per la vita eterna, la vita per sempre con lui, il Risorto-Vivente. Sì, c’è questa parola di Gesù, questa sua promessa nel Vangelo di Giovanni che oggi dobbiamo ripetere nel cuore per vincere ogni tristezza e ogni timore: “Chi viene a me, io non lo respingerò!” (cf. Gv 6,37ss.). Il cristiano è colui che va al Figlio ogni giorno, anche se la sua vita è contraddetta dal peccato e dalle cadute, è colui che si allontana e ritorna, che cade e si rialza, che riprende con fiducia il cammino di sequela. E Gesù non lo respinge, anzi, abbracciandolo nel suo amore gli dona la remissione dei peccati e lo conduce definitivamente alla vita eterna.

La morte è un passaggio, una pasqua, un esodo da questo mondo al Padre: per i credenti essa non è più enigma ma mistero perché inscritta una volta per tutte nella morte di Gesù, il Figlio di Dio che ha saputo fare di essa in modo autentico e totale un atto di offerta al Padre. Il cristiano, che per vocazione con-muore con Cristo (cf. Rm 6,8) ed è con Cristo con-sepolto nella sua morte, proprio quando muore porta a pienezza la sua obbedienza di creatura e in Cristo è trasfigurato, risuscitato dalle energie di vita eterna dello Spirito santo.

E’ in questa consapevolezza, in questa visione che deriva dalla sola fede, che la morte finisce per apparire “sorella”, per trasfigurarsi in un atto in cui si riconsegna a Dio, per amore e nella libertà, quello che lui stesso ci ha donato: la vita e la comunione. Per questo la chiesa della terra, ricordando i fedeli defunti, si unisce alla chiesa del cielo e in una grande intercessione invoca misericordia per chi è morto e sta davanti a Dio in giudizio per rendere conto di tutte le sue opere (cf. Ap 20,12).

Certo, nel ricordo di chi vive ci sono anche i morti la cui vita è stata segnata dal male, dai vizi, dalla cattiveria, dall’errore; ma c’è come un’urgenza, un istinto del cuore che chiede di onorare tutti i morti, di pensarli in questo giorno come all’ombra dei beati, sperando che “tutti siano salvati”.

La preghiera per i morti è un atto di autentica intercessione, di amore e carità per chi ha raggiunto la patria celeste; è un atto dovuto a chi muore perché la solidarietà con lui non dev’essere interrotta ma vissuta ancora come communio sanctorum, “comunione dei santi”, cioè di poveri uomini e donne perdonati da Dio: è il modo per eccellenza per entrare nella preghiera di Gesù Cristo: “Padre, che nessuno si perda… che tutti siano uno!”.

 
 



il commento al vangelo della domenica

 

solennità di TUTTI I SANTI – 1 novembre 2015

RALLEGRATEVI ED ESULTATE, PERCHE’ GRANDE E’ LA VOSTRA RICOMPENSA NEI CIELI

commento al vangelo di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Mt 5,1-12

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

La nuova relazione d’amore tra Dio e il suo popolo ha bisogno di una nuova alleanza. E’ quanto ci presenta Matteo nel suo vangelo al capitolo 5 con le beatitudini di Gesù. L’evangelista presenta Gesù collocato su “il” monte. L’articolo determinativo indica che no né un monte qualunque, ma il monte già conosciuto. Vuole rappresentare il monte Sinai dove Mosè ricevette da Dio l’alleanza con il popolo di Israele. 1 Ebbene ora Gesù non riceve da Dio, ma lui – che è Dio e l’evangelista lo ha presentato come “il Dio con noi” – propone una nuova alleanza con il popolo. Mosè, il servo del Signore, ha imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore basata sull’obbedienza. Gesù, che non è il servo del Signore, ma il figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro padre basata sull’accoglienza e la pratica del suo amore. E poi Gesù apre bocca ed elenca le beatitudini. L’evangelista ha curato in maniera particolare questo testo, sia per il numero delle beatitudini che sono otto. Perché otto? Gesù è risuscitato il primo giorno dopo la settimana, cioè l’ottavo giorno e questo nel cristianesimo primitivo, questa cifra “otto” ha sempre indicato la vita capace di superare la morte. Il numero otto era il numero della risurrezione. Allora l’evangelista, che ha in mente il decalogo di Mosè, presenta l’alternativa delle beatitudini. Mentre l’accoglienza e la pratica del decalogo garantiva lunga vita in questa terra, l’accoglienza e la pratica delle beatitudini garantisce una vita talmente forte, talmente potente che non sarà interrotta neanche dalla morte. Ma non solo, l’evangelista addirittura calcola con quante parole, secondo lo stile letterario del tempo, comporre il suo scritto. Ebbene sono esattamente 72. Perché proprio 72? Perché secondo il libro del Genesi era il numero delle nazioni pagane conosciute. Mentre il decalogo era esclusivo per il popolo di Israele, le beatitudini sono per tutta l’umanità. Poi il decalogo si apriva con l’affermazione, la rivendicazione di Dio quale unico Signore del suo popolo, ecco perché la prima delle beatitudini non è uguale alle altre, ha il verbo al presente. E’ la scelta del Padre come unico Dio. Nel decalogo poi si proseguiva con tre comandamenti, che erano esclusivi del popolo di Israele, ed erano gli obblighi assoluti nei confronti di Dio. Nelle beatitudini non ci sono obblighi nei confronti di Dio, perché Gesù è il Dio con noi, Dio si è fatto uomo e c’è da andare con lui e come lui verso l’umanità. Ecco allora che al primo posto vengono elencate situazioni di sofferenza dell’umanità con la possibilità di soluzione e d’aiuto da parte di Dio e del suo popolo. Nel decalogo si continuava con sette comandamenti nei confronti degli uomini, ebbene nelle beatitudini non ci sono questi doveri nei confronti egli uomini, che sono già stati espressi, ma l’azione di Dio nella comunità che accoglie le beatitudini. E allora, accogliendo le beatitudini, sarà una fioritura di atteggiamenti diversi che emergeranno non come qualità di qualcuno, ma come atteggiamenti riconoscibili da parte di coloro che, mediante l’accoglienza delle beatitudini, saranno a loro volta misericordiosi come il Padre è misericordioso, saranno puri di cuore, saranno costruttori di pace. E, infine, l’ultima beatitudine, che ha il verbo al presente come la prima, l’accoglienza e la fedeltà alle beatitudini non porterà al plauso delle persone, ma porterà alla persecuzione. Ma come la scelta della prima beatitudine, quella della povertà, cioè la decisione di condividere gioiosamente e liberamente con gli altri, non comporta effetti negativi perché Dio si prende cura di queste persone, così ugualmente l’ultima beatitudine, quella della persecuzione, è attenuata dal fatto che Dio si prende cura di costoro. 2 La beatitudine iniziale si riallaccia all’ultimo dei comandamenti. L’ultimo dei comandamenti qual era? Non desiderare le cose degli altri. La prima beatitudine è “desidera che gli altri abbiano le tue stesse cose”.

Questa è la novità del regno che Gesù è venuto a proporre.

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».