rom e sinti contro chi elabora soluzioni ‘per loro’ ma ‘senza loro’

LA CAMPAGNA DELL’ASSOCIAZIONE 21 LUGLIO CONTRO LE LEGGI REGIONALI PER O CONTRO ROM E SINTI ?

rom Torre del Lago

 

 

 

la ‘Federazione nazionale Rom e Sinti ‘, in rappresentanza di 27 associazioni costituite da Rom e Sinti, esprime le proprie riserve verso quelle Associazioni – in specie la ’21 luglio’ – che pretendono di risolvere i problemi offerti dai ‘campi nomadi’ o ‘campi rom’ a partire da criteri unilaterali e generalizzanti e a prescindere da un vero dialogo con le popolazioni che abitano tali aree per ascoltare le varie singole esigenze: anche a fin di bene, “commettono lo stesso errore che pretendono di correggere”:

credere di far bene

 

L’associazione ’21 luglio’ commette lo stesso errore che pretende di correggere. Tutti i Rom e Sinti sono uguali: o sono tutti nomadi o sono tutti stanziali. La realtà è molto diversa e ben lo sanno Rom e Sinti stessi e le loro associazioni.

Le leggi regionali non si possono mettere tutte in un calderone e buttar via. Certo sono nate in tempi diversi dagli attuali, rispecchiano esigenze in parte diverse dalle attuali, ma una questione così importante e delicata meriterebbe almeno un dibattito e un approfondimento serio tra Rom e Sinti prima di fare qualsiasi proposta. Le diverse comunità di Rom e Sinti non hanno le medesime esigenze. Il mondo dello spettacolo viaggiante dei Sinti merita una attenzione particolare, così come i Sinti della MEZ che non trovano ospitalità dai Comuni, o i Camminanti che vengono al Nord e non trovano aree attrezzate, infine perfino l’idea stessa di famiglia, di comunità dei Rom e dei Sinti è profondamente diversa da quella della popolazione maggioritaria.

Tra l’altro una campagna come quella proposta da 21 luglio non tiene conto del problema fondamentale: le comunità rom e sinte di questo paese per affrontare e risolvere il problema dei campi nomadi, quelli costruiti alle periferie fisiche e spirituali delle città italiane, hanno bisogno di risolvere prima di tutto il problema dell’emarginazione sociale ed economica che le perseguita. Non è un caso che le stesse comunità, sia dei campi regolari, sia di quelli spontanei sviluppino forme di solidarietà e di mutuo sostegno che la dispersione delle famiglie renderebbe impossibile.

Infine e soprattutto le soluzioni, qualunque esse siano, devono essere costruite insieme a noi e non per noi. Come diceva Gandhi: chi fa qualcosa per me senza di me è contro di me. Un difetto di presunzione che caratterizza in fondo tutte le associazioni non rom che si occupano di Rom e Sinti: pensano di spiegarci come si deve vivere, ma non chiedono il nostro parere. Sintomatica e grave è stata l’iniziativa di 21 luglio sulla legge di riconoscimento della minoranza rom e sinti organizzata a Roma il 17 settembre con tanto di ministro Kyenge, di presidente di commissione per i diritti umani del Senato e altri illustri personaggi: aveva solo un difetto non c’era neppure un rom o un sinto che potesse dire la sua. Noi non ci sentiamo e non siamo inferiori, abbiamo la nostra cultura, le nostre tradizioni, abbiamo il nostro punto di vista sulla vita e sul mondo. È ora che tutti quelli che si occupano di noi ne tengano conto e soprattutto ci facciano i conti.

La Comunità europea nelle sue direttive e nei suoi programmi mette al primo posto la partecipazione di Rom e Sinti e la stessa Strategia nazionale, costruita con un confronto con le nostre federazioni, ha saputo tener conto delle diverse articolazioni che il nostro mondo rappresenta.

Quindi prima di lanciare campagne a senso unico, confrontatevi con noi e forse riusciremo a fare cose più utili per le nostre comunità.

Altrimenti con amarezza possiamo dire che lavorate contro di noi e che non è una grande novità.

La Federazione nazionale Rom e Sinti insieme

in rappresentanza di 27 associazioni costituite da Rom e Sinti




il commento al vangelo della domenica

 NESSUNO HA UN AMORE PIU’ GRANDE DI QUESTO: DARE LA VITA PER I PROPRI AMICI 

commento al vangelo della domenica sesta di pasqua (10 magio 2015) di p. Alberto Maggi 

p. Maggi

 

 

 

 

Gv 15, 9-17

 

 

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Il segno distintivo di un credente, di un cristiano, è una gioia piena, traboccante, da poter essere comunicata agli altri. E Gesù, in questo brano del Vangelo, ce ne dice il perché.
Vediamo. Scrive l’evangelista: “Come il Padre ha amato me”. Dio ha amato il figlio, Gesù, comunicandogli il suo spirito, cioè la sua stessa capacità d’amore. “Anch’io ho amato voi”, lo spirito, l’energia, la capacità, la forza d’amore che Gesù ha ricevuto dal Padre, lui la comunica a quanti lo accolgono. “Rimanete nel mio amore”; l’amore Gesù lo ha manifestato nel capitolo 13 lavando i piedi ai suoi discepoli. Il servizio è l’unica garanzia di rimanere nell’amore del Signore. L’amore del Signore, è vero, è credibile, quando si trasforma in atteggiamenti di servizio nei confronti degli altri. L’amore, quindi, non rimane un sentimento, ma un atteggiamento concreto che rende più bella, più leggera la vita dell’altro.  
E qui Gesù afferma “Se osserverete i miei comandamenti”. Lui ha lasciato un unico comandamento, “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”. Le attuazioni pratiche, concrete di questo unico comandamento, quindi tutte le volte che questo comandamento diventerà realtà attraverso forme nuove, inedite, di servizio, di collaborazione, di condivisione, di generosità, questo per Gesù equivale ai ‘comandamenti’.
Ed ecco l’annunzio di Gesù “Vi ho detto queste cose”, cos’è che Gesù ha detto? Qui siamo al cap. 15, alla metà, nella prima metà Gesù ha paragonato il Padre al vignaiolo. Qual è l’interesse del vignaiolo? Che la vigna porti sempre più frutta abbondante. Quindi è il vignaiolo che ci pensa, che cura, protegge, elimina quegli elementi nocivi che impediscono al tralcio di portare più frutto. Allora “vi ho detto queste cose”, quali sono queste cose che Gesù ha detto? Di non preoccuparsi di nulla; l’unica preoccupazione del credente, del tralcio, è di portare più frutto, e amare sempre di più. Alla sua vita non ci deve pensare perché ci pensa – e qui il cambio è favorevole al credente – ci pensa direttamente il Padre. Quindi l’invito di Gesù è di camminare nella vita sentendo sempre alle proprie orecchie un Padre che ti sussurra: “Non ti preoccupare, fidati di me”.
Questa è la radice della gioia; “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia” – è la gioia stessa di Gesù, e Gesù è Dio, quindi una gioia divina – “sia in voi e la vostra gioia sia piena”. La caratteristica del credente è la gioia, una gioia che non dipende dalle circostanze della vita, se le cose mi vanno bene o mi vanno male, se gli altri mi vogliono bene o non me ne vogliono, questa gioia è interiore e viene da questa profonda esperienza. Il Padre si occupa di me perché io ho deciso di occuparmi degli altri.
Quindi l’esperienza di sentirsi profondamente amato, questa è la fonte della gioia.
E, torna a ripetere Gesù, “Questo è il mio comandamento”. Gesù sottolinea che è il SUO comandamento, per contrapporlo a quelli di Mosè. La norma di comportamento nella comunità di Gesù è l’unico comandamento, quello dell’amore e, infatti, ripete “che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato”.
E aggiunge: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. Qui non significa soltanto il gesto estremo, supremo, del dono fisico della vita per un altro, ma tutta la vita dell’individuo orientata al bene dell’altro. Quindi tutta l’esistenza dell’individuo è orientata verso il bene dell’altro.
A questo punto Gesù – ed è la prima volta nel Vangelo – dichiara che i suoi discepoli sono i suoi amici: “Voi siete miei amici”. Mosè, il servo di Dio, aveva instaurato una relazione fra dei servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza, Gesù, che è il Figlio di Dio, propone un’alleanza non tra dei servi, ma tra dei figli, e non con un Signore, ma con un Padre. Quindi la proposta che ci fa Gesù è una relazione di Figli con il Padre basata sulla somiglianza. Bene, questa relazione porta all’amicizia con Gesù. E Gesù in maniera enfatica dice “Non vi ho mai chiamato servi” – la traduzione dice “non vi chiamo più servi”, ma in realtà Gesù MAI ha chiamato i suoi discepoli ‘servi’, il testo greco è enfatico dice “no, non vi ho mai chiamato servi!”
La relazione di Gesù con i suoi discepoli non è quella del Maestro con dei servi, ma una relazione di amicizia. E, alla conclusione di questo brano, “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi perché 2
andiate e portiate frutto”. Il ‘portare frutto’ è condizionato dall’ ‘andare’. Non è un rimanere statici, rimanere fermi ad attendere che gli altri vengano da noi, ma è ‘andare’. E dove bisogna andare? Seguire Gesù. E Gesù è il santuario visibile dell’amore di Dio che si dirige verso gli esclusi da Dio. Quindi tutte quelle persone che dalla religione si sentono escluse e si sentono rifiutate, questo è il campo della missione del credente.
E’ lì che si porta molto frutto. Se c’è questo, ci assicura Gesù, tutto quello che chiederemo al Padre, nel suo nome – nel nome non significa usare la formula ‘per Cristo nostro Signore’, ma nella misura in cui ci identifichiamo con lui e che assomigliamo a lui – stiamo sicuri che il Padre ce lo concede.
Questa è la radice e la fonte della gioia.