il commento al vangelo della domenica

 

 

DIO HA MANDATO IL FIGLIO PERCHE’ IL MONDO SI SALVI PER MEZZO DI LUI

commento al Vangelo della quarta domenica di quaresima (15 marzo 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 3,14-21

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo:  «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Nel dialogo con il fariseo Nicodemo, capo dei Giudei, Gesù si rifà ad un episodio conosciuto della storia di Israele contenuto nel Libro dei Numeri.
Al capitolo 3, versetto 14 l’evangelista scrive: “«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto»”; i serpenti erano stati inviati da Dio per castigare il popolo secondo lo schema classico di “castigosalvezza/perdono”. In Gesù invece c’è soltanto salvezza.
“«Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo»”, Gesù si riferisce alla sua futura morte in croce e parla del Figlio dell’uomo, cioè l’uomo che ha la pienezza della condizione divina. “«Perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna»” – credere nel Figlio dell’uomo significa aspirare alla pienezza umana che risplende in questo figlio dell’uomo.
Per la prima volta appare in questo vangelo un tema molto caro all’evangelista, cioè quello della vita eterna. La vita eterna non è, come insegnavano i farisei, un premio futuro per la buona condotta tenuta nel presente, ma una qualità di vita già nel presente. E si chiama “eterna” non tanto per la durata senza fine, ma per la qualità indistruttibile.

E questa vita eterna non si avrà in futuro, ma si ha già. Chiunque da adesione a Gesù, quindi aspira alla pienezza umana che risplende in Gesù.
“«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito»”, il Dio di Gesù non è un Dio che chiede, ma un Dio che offre, che arriva addirittura a offrire se stesso. “«Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna»”.
La vita eterna non si ottiene, come insegnavano i farisei, osservando la legge, cioè un codice esterno all’uomo, ma dando adesione al Figlio dell’uomo. E Gesù appare qui come il dono dell’amore di Dio per l’umanità. Dio è amore che desidera manifestarsi e comunicare. E Gesù è la massima espressione di questa manifestazione e comunicazione di Dio. “«Dio infatti non ha mai mandato il Figlio nel mondo per condannare»”, anche se il verbo qui non è condannare, ma “«giudicare il mondo»”.
Di nuovo qui Gesù sta parlando con un fariseo, demolisce le attese di un messia giudice del popolo. Quindi il Figlio non è venuto per giudicare il mondo, “«ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui»”. Dio è amore e in lui non c’è né giudizio né condanna, ma c’è soltanto offerta di vita.
“«Chi crede in lui non è giudicato»”, chi crede in lui non va incontro a nessun giudizio, “«ma chi non crede è già stato giudicato»”. E’ l’uomo che si giudica. E vediamo perché … “«Perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio»”. E’ l’uomo che si giudica rifiutando l’amore che Dio gli offre; colui che agisce contro la vita rimane nella morte.
E infatti Gesù continua, “«E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo»”, la luce è immagine della vita, “«ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce perché le loro opere erano malvagie»”. Chi opprime gli uomini non accetterà mai un messaggio che lo porterà poi a servire. Ma quello che è importante è che qui Gesù si riferisce – e sta parlando a un fariseo, all’osservante della legge, della dottrina – alle opere, non al credo o all’ortodossia.
Non è la dottrina che separa da Dio, ma la condotta. Per questo Dio non offre dottrine, ma pienezza di vita. “«Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate»”. Gesù si rifà a quella che è l’esperienza comune. Il delinquente, chi agisce male, non ama i riflettori, non ama la luce, ma si rintana nelle tenebre. Ebbene di fronte a un’offerta di pienezza di luce, chi fa il male si rintana ancora di più nelle tenebre e ne rimane intrappolato.
“«Chi invece fa la verità…»”. In contrapposizione a fare il male, Gesù parla di “fare la verità”. La verità non va creduta, diventando una dottrina, ma va fatta. Ecco perché Gesù in questo vangelo non dirà che lui ha la verità, ma che lui è la verità. Chi ha la verità, in base a questa verità, a questa dottrina, si sente in grado di giudicare, condannare e dividersi dagli altri, a differenza di chi è nella verità. Cosa significa invece “essere nella verità?”
Se è in contrapposizione con il “fare il male”, essere nella verità significa “fare il bene”, inserirsi nel dinamismo creatore di Dio che ama la sua creatura e vuole che il bene della sua creatura, il bene dell’uomo, sia il valore più importante nell’esistenza dei suoi figli. Quindi “«chi fa la verità»”, significa colui che ha messo il bene dell’uomo come valore principale della sua esistenza, “«viene verso la luce»”, più si ama e più la persona diventa luminosa perché risplende la stessa luce di Dio. “«Perché appaia chiaramente che le sue opere sono fatte in Dio»”.
Le sue opere sono fatte in Dio perché Dio è colui che fa il bene dell’uomo. Quindi invita a fare la verità, a inserirsi nel suo stesso dinamismo creatore che mette il bene dell’uomo come valore assoluto. Chi ha la verità si divide dagli altri; chi è nella verità si unisce e comunica vita a tutti quanti.

 




papa Francesco interpellato dalla bodonville

 

 

 

 

 il Papa venuto «quasi dalla fine del mondo», a due anni dall’elezione, ha concesso una intervista ai ragazzi della rivista La Cárcova news: scelta significativa, perché La Cárcova è una delle villas miserias nei sobborghi della Grande Buenos Aires 

 

La rivista di una bidonville argentina intervista il Papa. E Francesco risponde

Ecco lo straordinario dialogo

carcova
a cura di Alver Metalli

Lei parla molto di periferia. Questa parola gliel’abbiamo sentita usare tante volte. A che cosa e a chi pensa quando parla di periferie? A noi gente delle villas?
Quando parlo di periferia parlo di confini. Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso scopriamo più cose, e quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa.
Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa.
La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro. Compresa la realtà di una persona, la periferia esistenziale, o la realtà del suo pensiero; tu puoi avere un pensiero molto strutturato ma quando ti confronti con qualcuno che non la pensa come te, in qualche modo devi cercare ragioni per sostenere questo tuo pensiero; incomicia il dibattito, e la periferia del pensiero dell’altro ti arrichisce.

I nostri problemi li conosce. La droga avanza e non si arresta, entra nelle villas e attacca i nostri giovani. Chi ci deve difendere? E noi come possiamo difenderci?
E’ vero, la droga avanza e non si ferma. Ci sono paesi che ormai sono schiavi della droga. Quello che mi preoccupa di più è il trionfalismo dei trafficanti. Questa gente canta vittoria, sente che ha vinto, che ha trionfato. E questa è una realtà. Ci sono paesi, o zone, in cui tutto è sottomesso alla droga.
Riguardo all’Argentina posso dire questo: fino a 25 anni fa era ancora un paese di passaggio, oggi è un paese di consumo. E, non lo so con certezza, ma credo che si produca anche.

Qual è la cosa più importante che dobbiamo dare ai nostri figli?
L’appartenenza. L’appartenenza a un focolare. L’appartenenza si dà con l’amore, con l’affetto, con il tempo, prendendoli per mano, accompagnandoli, giocando con loro, dandogli quello di cui hanno bisogno in ogni momento per la loro crescita. Soprattutto dandogli spazi in cui possano esprimersi. Se non giochi con i tuoi figli li stai privando della dimensione della gratuità. Se non gli permetti di dire quello che sentono in modo che possano anche discutere con te e sentirsi liberi, non li stai lasciando crescere.
Ma la cosa ancora più importante è la fede. Mi addolora molto incontrare un bambino che non sa fare il segno della croce. Vuol dire che al piccolo non è stata data la cosa più importante che un padre e una madre possono dargli: la fede.

Lei vede sempre una possibilità di cambiamento, sia in storie difficili, di persone che sono provate dalla vita, sia in situazioni sociali o internazionali che sono causa di grandi sofferenze per le popolazioni. Cosa le dà questo ottimismo, anche quando ci sarebbe da disperarsi?
Tutte le persone possono cambiare. Anche le persone molto provate, tutti. Ne conosco alcune che si erano lasciate andare, che stavano buttando la loro vita e oggi si sono sposate, hanno una loro famiglia. Questo non è ottimismo. E’ certezza in due cose: primo nell’uomo, nella persona. La persona è immagine di Dio e Dio non disprezza la propria immagine, in qualche modo la riscatta, trova sempre il modo di recuperarla quando è offuscata; e, secondo, è la forza dello stesso Spirito Santo che va cambiando la coscienza.
Non è ottimismo, è fede nella persona, che è figlia di Dio, e Dio non abbandona i suoi figli.
Mi piace ripetere che noi figli di Dio ne combiniamo di tutti i colori, sbagliamo ad ogni piè sospinto, pecchiamo, ma quando chiediamo perdono Lui sempre ci perdona. Non si stanca di perdonare; siamo noi che, quando crediamo di saperla lunga, ci stanchiamo di chiedere perdono.

Come si può arrivare ad essere sicuri e costanti nella fede? Noi attraversiamo alti e bassi, in certi momenti siamo coscienti della presenza di Dio, che Dio è un compagno di cammino, in altri ce ne dimentichiamo. Si può aspirare ad una stabilità in una materia come quella della fede?
Sì, è vero, ci sono alti e bassi. In alcuni momenti siamo coscienti della presenza di Dio, altre volte ce ne dimentichiamo. La Bibbia dice che la vita dell’uomo sulla terra è un combattimento, una lotta; vuol dire che tu devi essere in pace e lottare. Preparato per non venir meno, per non abbassare la guardia, e allo stesso tempo godendo delle cose belle che Dio ti dà nella vita. Bisogna stare in guardia, senza essere né disfattisti né pessimisti.
Come essere costanti nella fede? Se non ti rifiuti di sentirla, la troverai molto vicina, dentro al tuo cuore. Poi, un giorno potrà capitare che tu non senta un bel niente. Eppure la fede c’è, è lì, no? Occorre abituarsi al fatto che la fede non è un sentimento. A volte il Signore ci dà la grazia di sentirla, ma la fede è qualcosa di più. La fede è il mio rapporto con Gesù Cristo, io credo che Lui mi ha salvato. Questa è la vera questione riguardo alla fede. Mettiti a cercare tu quei momenti della tua vita dove sei stato male, dove eri perso, dove non ne azzecavi una, e osserva come Cristo ti ha salvato. Afferrati a questo, questa è la radice della tua fede. Quando ti dimentichi, quando non senti niente, afferrati a questo, perché è questa la base della tua fede. E sempre con il Vangelo in mano. Portati sempre in tasca un piccolo Vangelo. Tienilo in casa tua. Quella è la Parola di Dio. E’ da lì che la fede prende il suo nutrimento. Dopotutto la fede è un regalo, non è un atteggiamento psicologico. Se ti fanno un regalo ti tocca riceverlo, no? Allora, ricevi il regalo del Vangelo, e leggilo. Leggilo e ascolta la Parola di Dio.

La sua vita è stata intensa, ricca. Anche noi vogliamo vivere una vita piena, intensa. Como si fa a non vivere inutilmente? E come fa uno a sapere che non vive inutilmente?
Beh, io ho vissuto molto tempo inutilmente, eh? In quei momenti la vita non è stata tanto intensa e tanto ricca. Io sono un peccatore come qualunque altro. Solamente che il Signore mi fa fare cose che si vedono; ma quante volte c’è gente che fa il bene, tanto bene, e non si vede. L’intensità non è direttamente proporzionale a quello che vede la gente. L’intensità si vive dentro. E si vive alimentando la stessa fede. Come? Facendo opere feconde, opere d’amore per il bene della gente. Forse il peggiore dei peccati contro l’amore è quello di disconoscere una persona. C’è una persona che ti ama e tu la rinneghi, la tratti come se non la conoscessi. Lei ti sta amando e tu la respingi. Chi ci ama più di tutti è Dio. Rinnegare Dio è uno dei peggiori peccati che ci siano. San Pietro commise proprio questo peccato, rinnegò Gesù Cristo… e lo fecero Papa! Allora io cosa posso dire?! Niente! Per cui, avanti!

Lei ha attorno a sè persone che non sono d’accordo con quello che fa e che dice?
Si, certo.

Come si comporta con loro?
Ascoltare le persone, a me, non ha mai fatto male. Ogni volta che le ho ascoltate, mi è sempre andata bene. Le volte che non le ho ascoltate mi è andata male. Perché anche se non sei d’accordo con loro, sempre – sempre! – ti danno qualcosa o ti mettono in una situazione che ti spinge a ripensare le tue posizioni. E questo ti arricchisce. E’ il modo di comportarsi con quelli con cui non siamo d’accordo. Ora, se io non sono d’accordo con qualcuno, smetto di salutarlo, gli chiudo la porta in faccia, non lo lascio parlare, e non gli domando le ragioni del disaccordo, evidentemente mi impoverisco da solo. Dialogando, ascoltando, ci si arricchisce.

La moda di oggi spinge i ragazzi verso rapporti virtuali. Anche nella villa è così. Come fare perché escano dal loro mondo di fantasia? Come aiutarli a vivere la realtà e i rapporti veri?
Io distinguerei il mondo della fantasia dalle relazioni virtuali. A volte i rapporti virtuali non sono di fantasia, sono concreti, sono di cose reali e molto concrete. Ma evidentemente la cosa desiderabile è il rapporto non virtuale, cioè il rapporto fisico, affettivo, il rapporto nel tempo e nel contatto con le persone. Io credo che il pericolo che corriamo ai nostri giorni è dato dal fatto che disponiamo di una capacità molto grande di riunire informazioni, dal fatto insomma di poterci muovere in una serie di cose virtualmente, ed esse ci possono trasformare in “giovani-museo”.
Un “giovane-museo” è molto ben informato, ma cosa se ne fa di tutto quello che sa? La fecondità, nella vita, non passa per l’accumulazione di informazioni o solamente per la strada della comunicazione virtuale, ma nel cambiare la concretezza dell’esistenza. Ultimamente vuol dire amare.
Tu puoi amare una persona, ma se non le stringi la mano, o non le dai un abbraccio, non è amore; se ami qualcuno al punto di volerlo sposare, vale a dire, se vuoi consegnarti completamente, e non lo abbracci, non gli dai un bacio, non è vero amore. L’amore virtuale non esiste. Esiste la dichiarazione di amore virtuale, ma il vero amore prevede il contatto fisico, concreto. Andiamo all’essenziale della vita, e l’essenziale è questo.
Dunque, non “giovani-museo” informati solo virtualmente delle cose, ma giovani che sentano e che con le mani – e qui sta il concreto – portino avanti le cose della loro vita…
Mi piace parlare dei tre linguaggi: il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. Ci deve essere armonia tra i tre. In modo tale che tu pensi quello che senti e quello che fai, senti quello che pensi e quello che fai, e fai quello che senti e quello che pensi. Questo è il concreto. Restare solamente nel piano virtuale è come vivere in una testa senza corpo.

C’è qualcosa che vuol suggerire ai governanti argentini in un anno di elezioni?
Primo, che propongano una piattaforma elettorale chiara. Che ognuno dica: noi, se andremo al governo, faremo questo e quest’altro. Molto concreto! La piattaforma elettorale è qualcosa di molto sano; aiuta la gente a vedere quello che ognuno pensa. C’è un aneddoto raccontato da dei giornalisti furbetti che si riferisce ad una delle elezioni di molti anni fa. Più o meno alla stessa ora questi giornalisti si sono incontrati con tre candidati. Non ricordo bene se erano candidati a deputati o a sindaci. E chiesero a ognuno di loro: lei cosa pensa riguardo a questa cosa? Ciascuno ha detto quello che pensava e ad uno di loro un giornalista disse: “ma quello che lei pensa non è la stessa cosa che pensa il partito che lei rappresenta! Guardi la piattaforma elettorale del suo partito”. Per dire che a volte gli stessi candidati non conoscono la piattaforma elettorale del proprio raggruppamento.
Un candidato deve presentarsi alla società con una piattaforma elettorale chiara, ben pensata. Dicendo “Se io verrò eletto deputato, sindaco, governatore, farò “questo”, perché penso che “questo” è quello che deve essere fatto”.
Secondo, onestà nella presentazione della propria posizione.
Terzo – è una delle cose che dobbiamo raggiungere, speriamo che ci si riesca – una campagna elettorale di tipo gratuito, non finanziata. Perché nel finanziamento della campagna elettorale entrano in gioco molti interessi che poi ti chiedono il conto. Quindi essere indipendenti da chiunque mi possa finanziare la campagna elettorale. Evidentemente è un ideale, perché sempre c’è bisogno di soldi per i manifesti, per la televisione… In ogni caso che il finanziamento sia pubblico. Io, come cittadino, so che finanzio questo candidato con questa precisa somma di denaro. Che tutto sia trasparente e pulito.

Quando verrà in Argentina?
In linea di massima, nel 2016, ma non c’è ancora niente di sicuro perché bisogna trovare l’incastro con altri viaggi in altri paesi.

Per televisione sentiamo notizie che ci preoccupano e ci addolorano; che ci sono fanatici che la vogliono uccidere. Non ha paura? E noi che le vogliamo bene che cosa possiamo fare?
Guarda, la vita è nelle mani di Dio. Io ho detto al Signore: Tu prenditi cura di me. Ma se la tua volontà è che io muoia o che mi facciano qualcosa, ti chiedo un solo favore: che non mi faccia male. Perché io sono molto fifone per il dolore fisico.

Traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún

QUI L’ORIGINALE <!-- -->

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

Francesco intervistato dal giornale delle favelas

Le domande dei fedeli raccolte con i bigliettini
di Gian Guido Vecchi
in “Corriere della Sera” del 11 marzo 2015
La prospettiva di Magellano. «Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa. La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro». Il Papa venuto «quasi dalla fine del mondo», a due anni dall’elezione, ha concesso una intervista ai ragazzi della rivista La Cárcova news: scelta significativa, perché La Cárcova è una delle villas miserias nei sobborghi della Grande Buenos Aires, una bidonville nata cinquant’anni fa intorno all’ultima stazione della ferrovia. È stato José María Di Paola, «padre Pepe», discepolo di Bergoglio che fu minacciato di morte da narcotrafficanti, a portare il mese scorso a Francesco le domande raccolte tra la gente della baraccopoli e a registrarne le risposte. Un’idea nata a gennaio alla fine di una processione religiosa, durante la festa popolare. «C’è di mezzo anche qualche bicchiere di vino, a volerla dire tutta, che nella giusta misura stimola le idee ardite», racconta su terredamerica.com il giornalista Alver Metalli, ispiratore del «giornale di strada». A gennaio la parrocchia organizza i campeggi estivi, bambini e adulti scrivono e raccolgono le domande, «di bigliettini ne sono arrivati un buon numero». Questioni che guardano alle urgenze del quotidiano. Come quando, in piena campagna elettorale, chiedono al Papa suggerimenti per i governanti: «Primo, che propongano una piattaforma elettorale chiara. Che ognuno dica: noi, se andremo al governo, faremo questo e quest’altro. Molto concreto!», spiega Francesco. Ci vuole «onestà nella presentazione della propria posizione». E soprattutto «una campagna elettorale di tipo gratuito, non finanziata», aggiunge: «Nel finanziamento della campagna entrano in gioco molti interessi che poi ti chiedono il conto. Quindi essere indipendenti da chiunque mi possa finanziare la campagna elettorale. Evidentemente è un ideale, perché sempre c’è bisogno di soldi per i manifesti, la televisione… In ogni caso che il finanziamento sia pubblico. Io, come cittadino, so che finanzio questo candidato con questa precisa somma di denaro. Che tutto sia trasparente e pulito». Bergoglio parla anche di droga: «Ci sono Paesi che ormai ne sono schiavi. Quello che mi preoccupa di più è il trionfalismo dei trafficanti». La cosa più importante da dare ai figli? «L’appartenenza a un focolare. L’appartenenza si dà con l’amore, l’affetto, il tempo, prendendoli per mano, giocando…». Poi ripete: «Mi addolora molto incontrare un bimbo che non sa fare il segno della croce. Vuol dire che non gli è stata data la cosa più importante: la fede». Bergoglio andrà in Argentina «in linea di massima nel 2016» anche se «non c’è ancora niente di sicuro». Alla fine gli domandano se non tema che dei fanatici lo uccidano. «Guarda, la vita è nelle mani di Dio», dice. «Io ho detto al Signore: Tu prenditi cura di me. Ma se la tua volontà è che io muoia o che mi facciano qualcosa, ti chiedo un solo favore: che non mi faccia male. Perché io sono molto fifone per il dolore fisico».



papa Francesco: il bilancio di due anni

Francesco, la Chiesa millenaria che vorrebbe tornare giovane

di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 9 marzo 2015

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Due anni dopo la sua elezione Francesco ha già reso irreversibile il volto nuovo del pontificato. Tornare ad un pontefice-icona, dottrinario, monarca assoluto, non sarà più possibile: pena una drammatica perdita di contatto con la società contemporanea, credente o non credente.

Linguaggio

È stato rivoluzionato il linguaggio. Quando Francesco dice che i cattolici non devono figliare “come conigli” o spiega al clero di Roma (giorni fa) che ci sono “persone disturbate che si rifugiano nelle istituzioni forti: Esercito e Chiesa”, usa il linguaggio di un parroco in grado di farsi ascoltare da tutti. Un papa-prete capace di parlare anche agli atei come nessun altro prima di lui. Papa Bergoglio ha aperto la transizione verso una Chiesa più comunitaria e partecipata. “Sinodale”, secondo l’espressione degli Ortodossi. Un modello di Chiesa in cui il capo non decide in solitudine imperiale, ma insieme ai vescovi.

papa-francescoIl concilio Vaticano II lo ha chiamato “collegialità”, indicando l’immagine di “Pietro insieme agli apostoli”. Collegialità L’avvio di questa riforma si è tradotto nella creazione di un consiglio cardinalizio, coordinato da Oscar Rodriguez Maradiaga e formato da otto porporati di tutti i continenti, cui si aggiunge il segretario di Stato. È il cosiddetto C9, incaricato di “consigliare (il Papa) nel governo della Chiesa universale”.

Un embrione di collegialità.

All’ultimo concistoro del febbraio scorso l’assemblea dei cardinali di tutto il mondo ha ribadito la necessità di un “sano decentramento” delle competenze, sin qui esercitate esclusivamente dalla Curia romana. E negativo però il ritardo della riforma del governo centrale della Chiesa. Il secondo passo in direzione della collegialità è rappresentato dalla nuova funzione del Sinodo dei vescovi (il parlamentino di Santa Romana Chiesa), non più destinato a rimanere una semplice arena di opinioni, ma – grazie a Francesco – diventato titolare di un potere propositivo per trovare soluzioni ai problemi pastorali più urgenti. L’avere scelto il vescovo teologo Bruno Forte come segretario speciale delle due sessioni sinodali dedicate ai problemi familiari segnala la volontà di “aggiornamento”, per usare lo slogan felice di Giovanni XXIII.

Divorziati e gay

Concedere democrazia – libertà di parola e di voto come durante il Concilio – significa tuttavia fare i conti con le opposizioni e la possibilità di perdere qualche battaglia: è accaduto al Sinodo del 2014. Francesco ha aperto su temi sin qui tabù: la comunione ai divorziati risposati, le convivenze, le coppie omosessuali, la transessualità ma le resistenze interne al mondo ecclesiastico hanno impedito finora un cambio ufficiale di atteggiamento della Chiesa. L’appassionato intervento sinodale del cardinale di Vienna Christoph Schoenborn sulla solidarietà di due partner gay non ha ricevuto – almeno per il momento – il consenso della maggioranza dell’episcopato. Due anni dopo l’elezione si avverte un solco tra Francesco e quella parte della gerarchia in Vaticano e all’estero, rimasta attaccata alla visione di un papato sacrale, giudice dottrinale inflessibile delle “deviazioni” dai comandamenti del catechismo. Il cardinale americano Francis George (ex arcivescovo di Chicago), quando chiede se “Francesco si rende conto dell’effetto di certe sue parole?”, evidenzia un’offensiva in atto contro il pontefice argentino. Un solco netto esiste anche tra la fascia di sacerdoti – spesso giovani – imbevuti di spiritualismo, dogmatismo e ideologia del potere sacerdotale, che resistono alla declericalizzazione auspicata da Francesco, e invece quei preti, secondo i quali annunciare il Vangelo nella società urbana globalizzata esige di fare i conti  con la mescolanza delle culture e – come invita a fare il segretario della Cei, mons. Nunzio Galantino di considerare il mondo “brutto, sporco e cattivo”.

Il ruolo delle donne

Francesco ha avuto il merito di mettere sul tavolo un argomento tabù come il ruolo delle donne nei luoghi decisionali della Chiesa, ma non ha incontrato una risposta entusiastica da parte degli episcopati nel mondo. Nemmeno le donne dell’associazionismo cattolico si sono per ora mobilitate. Colpa di una “certa sfiducia e un’antica abitudine a tacere”, commenta la storica Lucetta Saraffia, che vorrebbe vedere le donne partecipare ai sinodi. Non è detto che in tutti questi campi, su cui si è fatto sentire Francesco, si realizzino cambiamenti concreti già durante il suo pontificato. Lui è un seminatore, i sassi sul suo cammino sono tanti e i suoi avversari – nota il segretario della pontificia Commissione per l’America latina, professor Guzman Carriquiry – si comportano alla pari dei farisei che seguivano Gesù “con animo incattivito, scandalizzati dei suoi incontri con prostitute e peccatori, sempre male interpretando, sperando di poter intravvedere qualsiasi minima deviazione riguardo alla Legge, per giudicarlo e condannarlo…”. Lotta alla pedofilia In tre ambiti precisi il pontefice argentino ha già voltato pagina. Per la prima volta ha destituito, processato ecclesiasticamente e degradato (ridotto allo stato laicale) un vescovo pedofilo: l’ex nunzio nella Repubblica Dominicana Jozef Wesolowski. Per volontà di Francesco subirà inoltre un processo penale in Vaticano. Tuttavia nel comitato anti-abusi, da lui creato, sono emerse resistenze a proposito di nuove Linee guida internazionali più stringenti.

La banca vaticana

La banca vaticana è stata sottoposta ad una drastica ripulitura dei conti correnti, sono stati firmati accordi di cooperazione giudiziaria con Italia, Germania, Stati Uniti, è stata creato un comitato antiriciclaggio e una Segreteria per l’Economia, guidata dal cardinale George Pell, che vigilerà sugli appalti e la regolarità dei bilanci delle varie articolazioni della Santa Sede e che ha portato alla luce fondi riservati (benché regolari) di alcuni organismi, che non erano stati inseriti nel bilancio consolidato del Vaticano. Il presidente delle Ior, il francese Jean-Baptiste de Franssu, spinge per una gestione unica del patrimonio finanziario e immobiliare della Santa Sede. Il terzo settore in cui Francesco ha mostrato una forte impronta è quello geopolitico. Politica estera Ha ridato slancio alla presenza del Vaticano sulla scena internazionale, impedendo una catastrofica invasione occidentale della Siria, indicando a Israele e Palestina la via di una pace dei coraggiosi, denunciando il traffico di armi dietro ai conflitti in corso, impegnandosi contro le “moderne schiavitù” (la tratta sessuale, quella dei migranti, le fabbriche clandestine). Suo obiettivo, discusso con il presidente Barack Obama, è far dichiarare dall’Onu la tratta degli esseri umani un “crimine contro l’umanità”. I suoi interventi contro la corruzione, la criminalità organizzata, l’ideologia neoliberista del profitto senza regole, il primato assoluto del mercato che produce “scarti” vecchi o giovani, alimentando il precariato permanente, hanno suscitato un’eco vastissima a livello internazionale, ben al di là del mondo cattolico, ma le leadership politiche ed economiche non hanno mostrato nessuna intenzione di elaborare un modello economico ispirato al “bene comune”. Per molti aspetti Francesco è applaudito, ma resta solo. Dentro e fuori la Chiesa. La sua – benché non lo mostri – è un’autentica lotta contro il tempo. L’anno prossimo compirà già ottant’anni e i suoi amici latino-americani non dubitano che quando la vecchiaia si farà sentire, anche Jorge Mario Bergoglio sarà pronto a dimettersi come Benedetto XVI (magari tornando in Argentina). Lo ha anticipato lui stesso ai giornalisti, durante un viaggio. Il papato a termine è l’ultima (silenziosa)  riforma di questo pontificato.




incredibile ma vero: no carta igienica, no pasta al piccolo rom!

 “maestra, posso avere ancora un po’ di pasta?”

“no, per punizione!”

 

quale marachella ha combinato mai il piccolo rom da meritare il fermo diniego a un po’ di pasta che aveva appena gustato e che avrebbe rimangiato con gli occhi?
sentiamolo direttamente da p. Agostino che condivide quotidianamente da anni la vita col gruppo di rom cui appartiene questo bimbo:

agostino

 

“Maestra posso avere ancora un pò di pasta?”

Il piccolo Rom chiede alla sua maestra, alla mensa della scuola.

“No, perchè non porti la carta igienica a scuola, quante volte te l’ho detto..”
 
Può succedere anche questo..che fare? Questa mattina ho portato io 4 pacchi di carta igienica alla scuola con il messaggio alla maestra in allegato.
ciao Ago
 
 questa la letterina che p. Agostino ha messo in mano alla maestra:
carta igienica
  carta igienica1
 
di seguito il testo della letterina che p. Agostino ha messo nelle mani della irremovibile maestra (a fronte di altri insegnanti di ben altra sensibilità manifestata in circostanze di difficoltà vissute dai bambini rom che frequentano quella scuola):
“Pisa 10 Marzo 2015
Cara maestra dell’alunno Rom … ecco finalmente la carta igienica più volte richiesta da lei, perché l’alunno possa mangiare un piatto in più per sfamare il suo appetito!
Deduco: senza carta igienica non si ha diritto di mangiare mezzo piatto in più di pasta o spaghetti! sono rimasto esterrefatto …
Credo sia un aspetto di quella DISUMANIZZAZIONE che oggi vediamo proliferare con tanta facilità un po’ ovunque … e spesso coinvolge anche le donne (Ahimè), arrivando ad accantonare i loro sentimenti più genuini e belli, di donna e di madre!
Mi dispiace costatare questo, ma ne prendo atto, purtroppo.
Il mio è un gesto semplice e povero, le consegno ben quattro pacchi di carta igienica, non solo per le necessità dell’alunno … ma anche per altri che potrebbero rischiare di essere privati di mezzo piatto di pasta in più … e se ne fa uso anche lei non mi offendo proprio.
Distinti saluti
p. Agostino Rota Martir 
P.S.: è un’iniziativa del tutto personale, la famiglia dell’alunno ne è all’oscuro GRAZIE”

(la maestra non ha ancora risposto alla missiva di p. Agostino)

 



teologi da museo e teologi che odorano di strada

papa Francesco: no a teologi da museo, ma di frontiera, segno della misericordia di Dio

Francesco papaLa teologia viva sulle frontiere, facendosi carico di tutti i conflitti del mondo. Così Papa Francesco nella lettera al cardinale Mario Aurelio Poli, arcivescovo di Buenos Aires e gran cancelliere della Pontificia Università Cattolica Argentina (Uca), in occasione dei 100 anni della facoltà di Teologia del medesimo ateneo della capitale argentina

 

 il servizio di Giada Aquilino:

Teologi che odorano di strada

  Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, “odorano di popolo e di strada”. Lo ha ricordato Papa Francesco, salutando gli alunni e il personale della facoltà, nel centesimo di fondazione in coincidenza – ha aggiunto – con i cinquant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, che “ha prodotto un irreversibile movimento di rinnovamento che viene dal Vangelo”: adesso, ha sottolineato, “bisogna andare avanti”. La riflessione del Pontefice è partita dall’assunto che “insegnare e studiare teologia significa vivere su una frontiera”, quella in cui il Vangelo incontra le necessità della gente a cui va annunciato in maniera “comprensibile e significativa”.

Non una teologia da tavolino, ma da frontiera

Dobbiamo quindi “guardarci”, ha aggiunto, da una teologia “che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro”. Essa va “radicata e fondata” sulla Rivelazione, sulla Tradizione, accompagnando quindi i processi culturali e sociali, “in particolare le transizioni difficili”. L’idea di Francesco è dunque quella di una teologia che si faccia carico “anche dei conflitti”: non soltanto quelli “che – ha notato – sperimentiamo dentro la Chiesa”, ma anche quelli “che riguardano il mondo intero e che si vivono lungo le strade dell’America Latina”. L’invito è stato a non accontentarsi “di una teologia da tavolino”: il luogo di riflessione – ha scritto – “siano le frontiere”.

Costruire umanità

È tornata poi un’immagine cara al Pontefice, quella di una Chiesa “ospedale da campo”, per salvare e guarire il mondo, di cui la teologia sia espressione, attraverso la misericordia, che non è “solo un atteggiamento pastorale ma è – ha ricordato – la sostanza stessa del Vangelo di Gesù”. Senza di essa, teologia, diritto e pastorale “corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia, che – ha spiegato – di natura sua vuole addomesticare il mistero”. Comprendere la teologia, ha aggiunto, “è comprendere Dio, che è Amore”. L’auspicio finale del Pontefice è stato quello di formare all’Università Cattolica Argentina non un “teologo da museo”, non uno studioso che resta a guardare dalla finestra lo svolgersi della storia, non “un burocrate del sacro”, ma “una persona capace di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in dimensione veramente umana”.

(Da Radio Vaticana)




Benigni: i dieci comandamenti

i dieci comandamenti di Benigni:

https://www.youtube.com/watch?v=os-YJkKGfkU




commento al vangelo della terza domenica di quaresima

DISTRUGGETE QUESTO TEMPIO E IN TRE GIORNI LO FARO’ RISORGERE

commento al Vangelo della terza domenica di quaresima (8 marzo 2015) di p. Alberto Maggi:

maggi

 

 

Gv 2,13-25

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

L’analisi completa del brano della cacciata dei mercanti dal tempio nel vangelo di Giovanni, capitolo 2, versetti 13-25 è già stata fatta l’11 marzo 2012, quindi per chi la vuole può rivedere la registrazione, ma questa volta pensavo di analizzare il motivo profondo del gesto di Gesù nel tempio di Gerusalemme.
Quel motivo che nel brano in questione appare al versetto 21, dopo la replica dei Giudei, cioè dell’autorità, che chiedono “Questo santuario è stato costruito in 46 anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”

L’evangelista commenta: Ma egli parlava del santuario del suo corpo. E’ questo il motivo di fondo di tutta l’azione di Gesù. Il commento dell’evangelista, in una cultura che, per l’influenza della filosofia greca vedeva il corpo come una prigione dell’anima, addirittura come una tomba dell’anima, la dichiarazione dell’evangelista è esplosiva. Egli parlava del santuario del suo corpo.
Il corpo di Gesù, come il corpo di ogni persona, il corpo di ogni credente, non è una prigione dove l’anima sta in sofferenza e avverte l’anelito di ritornare verso Dio. Purtroppo questa è la concezione che ha influito anche su una certa spiritualità del cristianesimo, quindi con il disprezzo di tutto il corpo, e tutto quello che riguarda le funzioni, le manifestazioni del corpo, come se fossero negative. Invece qui l’evangelista dichiara che il corpo è un santuario.
Nel suo vangelo Giovanni, al termine del prologo dichiara che Dio nessuno lo ha mai visto, solo il figlio ne è la rivelazione, e questa nuova rivelazione che Gesù fa di Dio è che lui è venuto a proporre e a portare una nuova relazione tra Dio e gli uomini che comporta la scomparsa di tutte le istituzioni dell’Antico Testamento, quelle importanti. E tra queste la più importante era il tempio, il santuario di Dio, dove i fedeli dovevano andare per offrire a Dio, un Dio che assorbiva le energie degli uomini.
Ebbene Gesù, eliminando il tempio, cambia il concetto di santuario. Non c’è più bisogno per l’uomo di andare verso il tempio, dove non tutti potevano andare. C’erano determinate condizioni, alcuni erano esclusi. Perché il Dio di Gesù non è un Dio che chiede, ma un Dio che offre; non un Dio che assorbe le energie degli uomini, ma un Dio che comunica loro le sue.
Il Dio di Gesù è un Dio che ad ogni credente, ad ogni persona, chiede di essere accolto nella sua vita per fondersi con lui e dilatare la sua capacità d’amare in modo da rendere ogni persona e ogni comunità l’unico vero santuario dal quale si irradia e si manifesta l’amore, il perdono e la compassione di Dio. A questo santuario le persone non devono andare, ma è il santuario, l’uomo vivente che va verso di loro. E verso chi va? Verso gli emarginati, e gli esclusi.
E l’evangelista Giovanni già dalle prime battute del suo brano porta a compimento questa nuova sensazionale, straordinaria rivelazione di Dio, un Dio che non è lontano dagli uomini, un Dio che addirittura è loro intimo. Nel capitolo 14 al versetto 23 Gesù dichiarerà: “Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
L’uomo, il credente diventa la dimora di Dio. Questa di Gesù non è la promessa per l’aldilà, ma la risposta del Padre a un comportamento tenuto in questa vita. Chi orienta la propria vita per il bene e il benessere degli altri, il Padre prende dimora in questa persona. Nell’Esodo Dio aveva posto la sua dimora in una tenda in mezzo al suo popolo e camminava con esso guidandolo verso la libertà. Poi Dio venne come sequestrato dalla casta sacerdotale, dall’istituzione religiosa, e relegato in un tempio dove non a tutti era possibile l’accesso e soprattutto si era ammessi a determinate condizioni, con determinati cerimoniali.
Ebbene con Gesù Dio ha abbandonato il tempio e, come scrive Giovanni nel suo prologo, ha posto la sua tenda in mezzo a noi, in noi. E ha iniziato un nuovo esodo dove ogni discepolo di Cristo diventa la dimora della divinità. L’uomo aveva sacralizzato Dio; mediante la comunicazione del suo Spirito, Dio ora    sacralizza l’uomo. La portata e la comprensione di questa espressione cambia completamente il rapporto con Dio e con gli altri. Questo significa che non esistono ambiti sacri al di fuori dell’uomo. La sacralizzazione dell’uomo desacralizza tutto quello che prima veniva concepito come sacro.
Quindi Dio non è più una realtà esterna all’uomo e lontana da lui, ma interiore. E ha un nome. E questo nome è “Padre”. E, mentre la relazione con Dio aveva bisogno di mediatori, l’intimità con il padre rende le mediazioni superflue. Dio chiede dei sacerdoti incensanti, il Padre richiede dei figli assomiglianti.
Quando l’uomo comprende tutto questo, cambia il rapporto con Dio, comprende che Dio non chiede che l’uomo viva per lui, ma che vivendo di lui, sia come lui.
Quindi con Gesù l’uomo non vive più per Dio, ma vive di Dio e come Dio. Vivere come Dio significa fare della propria vita un dono, amore totale. Questo sarà poi l’unico comandamento che Gesù trasmetterà. Compiendo questo l’uomo sperimenta che l’adesione a Dio non lo diminuisce, ma lo potenzia. E l’uomo sperimenta cosa significa essere il santuario di Dio. Poi San Paolo svilupperà quest’idea nella Lettera ai Corinzi e dirà: Non sapete che siete il santuario di Dio?

“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire..”

il commento di p. Agostino Rota Martir:

p. agostino

Il Vangelo di questa domenica narra del “casino” di Gesù al  tempio santo di Gerusalemme. Siamo poco abituati a considerare i tratti spigolosi  di un Gesù arrabbiato, anzi infuriato..più disposti  ad abbracciare quelli di Gesù misericordioso, dolce  e compassionevole:  quando si intrattiene a parlare con l’ emarginato, il peccatore, il malato, quando gioca con i bambini  o interviene alla festa di un matrimonio, come aveva fatto a  Cana, appena qualche giorno prima.

Ci  è un pochino difficile conciliare atteggiamenti così diversi, diciamolo pure: del tutto opposti. Forse ci piace poco questo Gesù al tempio di Gerusalemme, poco edificante ai nostri occhi religiosi..lo vorremmo più “diplomatico”, con i piedi per terra, realistico cioè capace di  accettare la realtà dei fatti, insomma un buon moderato.

Il Vangelo è moderato?

La vita è più importante della religione. A maggior ragione se il tempio diventa ormai privo di relazione con Dio, anzi si confonde e si identifica esclusivamente con scambi di carattere  sacro-economico, gestito da imprenditori religiosi. Già i profeti dell’A.T. avevano sollevato  la tentazione di un culto a Dio slegato dalla vita e il rischio di dimenticare il Dio che libera dalla schiavitù, che accompagna Israele in una tenda e che lo segue nel suo peregrinare, che manifesta il suo volto nel rispetto dei più deboli. E’ un Dio nomade che vive in una tenda, fuori l’accampamento, ma ben impiantato nella vita del suo popolo.                                                           Il tempio, invece stabilizza Dio, allontanandolo dalla vita della gente, un tempio magnifico, ma con vetri oscurati!

Dio ha bisogno di uscire, proprio come ha fatto uscire Israele dall’Egitto, mentre il tempio rischia di rinchiuderlo in spazi sacri, accessibili solo a chi gestisce il potere sacerdotale..perché anche Dio và controllato! E spesso, a ben guardare succede anche nella nostra società, che tende sempre di più a chiudere spazi, a privatizzarli in nome dell’economia, del profitto. Così come si controllano i poveri Cristi di oggi..

Gesù con il suo annuncio del Regno, intende proprio far uscire Dio dal tempio, per farlo entrare nella vita degli uomini lo fa con gesti semplici, vivendo relazioni con gli esclusi, i peccatori, gli emarginati gli stessi che si sentivano abbandonati o castigati dalla legge del tempio santo, sussurrando alle loro orecchie che il Regno di Dio è in loro!  Gesù parla di Dio non dal tempio santo, dal luogo preposto per eccellenza, ma attraverso la sua stessa itineranza, è dal cammino che è possibile capire meglio, non solo la Scrittura ma anche discernere la presenza di Dio nella storia.

E’ un Gesù che attraverserà i confini, migrante del Padre, incurante anche delle prescrizione sacre del Tempio, che proibiva di calpestare frontiere pagane, perché tutta la terra è santa agli occhi di Dio suo Padre. Bello quel Tempio che non trattiene per sé Dio e gli uomini, ma raccoglie il loro respiro per poi spingerli sempre fuori, nella vita di nuovo insieme sulle strade di questo mondo, per “bene dire” le speranze e le lacrime degli uomini. Perché la vita di ogni essere umano diventi l’unico Tempio, dove Dio posa fiducioso il suo sguardo.

p. Agostino Rota Martir

6 marzo 2015

 




il dio nel quale è bene non credere

IL DIO IN CUI NON CREDO

di don Carlo Molari

Molari
1. Non credo nel Dio della “pura ragione”: non merita fiducia e non è sufficiente. Si può credere in Dio attraverso la riflessione filosofica, ma non giungere alla FEDE in Dio, cioè a considerare Dio come riferimento delle proprie decisioni, per giungere a conoscere e ad amare in un modo nuovo. Se non scopri che c’è un Dio che ti ama e che ti consente di giungere a una forma nuova di vita a che ti serve?

2. Non credo nel Dio che opera nella creazione e nella storia intervenendo, modificando le situazioni, completando le creature, rimettendo in funzione i meccanismi della creazione e della storia quando si inceppano. L’azione di Dio è un’azione creatrice che offre possibilità, che alimenta il processo, ma che non si sostituisce mai alle creature, proprio perché fa esistere ed operare le creature. […] Dio è provvidente non nel senso che risolve tutti i problemi, ma nel senso che, ovunque l’uomo si venga a trovare, il suo amore è tale che può condurlo al suo compimento. Dio non può risolvere alcun problema storico se non ci sono creature che, aprendosi alla sua azione, indicano e realizzano la soluzione. Il “dio tappabuchi” non può essere il Dio della fede.

3. Non credo nel Dio che punisce i peccati, che manda le pestilenze per far ravvedere gli uomini. Per moltissimo tempo si è pensato così.

4. Non credo nel Dio che cambia atteggiamento per la preghiera degli uomini. Come se noi pregando sollecitassimo Dio a fare qualcosa di nuovo. È una pretesa insensata, un modello antropomorfico. La preghiera ha un grande valore perché mette in moto in noi dinamiche di novità e di cambiamento, non perché modifica l’atteggiamento di Dio […] ma perché noi accogliamo la sua azione in modo molto più profondo e ricco.

5. Non credo in un Dio che può fare le cose perfette dall’inizio perché la creatura è tempo e può accogliere il dono solo a frammenti, nella successione. Dio è eterno, è pienezza di vita, è perfezione compiuta, ma la creatura è tempo e non può accogliere l’offerta divina tutta in un solo istante. Non ci può essere una creatura perfetta all’inizio. Nella prospettiva evolutiva si capisce bene che Dio alimenta il processo continuamente, cioè la creazione continua tuttora. Il compimento è il traguardo del cammino, la perfezione piena è solo alla fine.

6. Non credo nel Dio che vuole la riparazione del male attraverso la croce di Cristo o per mezzo di coloro che si uniscono alla sua sofferenza. Dio non vuole che gli uomini siano nel dolore, e quando qualcuno soffre Dio è dalla sua parte per sostenerlo nel suo cammino, perché possa giungere ad amare anche in quella condizione. I santi che hanno attraversato grandi sofferenze si sono santificati per l’amore a cui sono pervenuti. Lo stesso Gesù è giunto ad un amore supremo sulla croce e per questo è risorto. Amando Gesù ci ha salvato: è redentore non perché ha sofferto, ma perché la sofferenza è stata l’ambito in cui l’amore è fiorito in forme sublimi.

7. Non credo al Dio che parla all’uomo con parole umane. Dio parla nel silenzio perché non pronuncia parole umane, bensì divine, per noi silenziose. La sua Parola però alimenta la nostra vita come forza creatrice. Il contatto con Lui ci rigenera. Ma questo contatto non diventa parola, non diventa idea, non diventa immagine, bensì diventa esperienza vitale, evento di storia. Quando diciamo che la Scrittura è “parola di Dio” dobbiamo intendere la formula in senso analogico cioè di relazione. La Parola è quella forza di vita che ha suscitato gli eventi di salvezza, narrati dagli uomini secondo i modelli con cui li hanno vissuti e interpretati, e trascritta secondo i modelli culturali del tempo. Il processo che ci consente di cogliere il senso della Parola è rivivere le esperienze di fede che hanno caratterizzato l’evento narrato, coglierne la trama divina, e percepire nel silenzio la presenza che le ha rese possibili.

8. Non credo nel Dio del Progetto intelligente (Intelligent Design) come lo presentano i gruppi statunitensi che si battono per introdurre nelle scuole l’insegnamento alternativo all’evoluzionismo neo-darwinista. Il Dio della fede non è semplicemente il Dio delle origini ma del processo nella sua interezza. Le cause dei processi cosmici sono imperfette e il male accompagna sempre lo sviluppo della vita sulla terra. Il caos e la complessità caratterizzano molti eventi, perché Dio non interviene con azioni puntuali nelle situazioni della storia. L’azione divina in ogni circostanza offre molte possibilità per cui la casualità ha una parte importante nel divenire cosmico e negli eventi della storia. Il progetto salvifico si può realizzare anche attraverso fallimenti, vicoli ciechi, eventi casuali e imprevedibili che costellano il cammino evolutivo

(Carlo Molari).




frati in cammino …

nove frati con la reliquia di s. Francesco a piedi da Assisi a Roma

 sarà sicuramente una bella esperienza ma personalmente penso che non sia precisamente questo ciò che papa Francesco intende per andare nelle ‘periferie’ ,,,
sul web il diario quotidiano

I nove frati francescani che da domani a giovedì 12 marzo saranno protagonisti del pellegrinaggio a piedi «Con san Francesco da papa Francesco» chiedono a tutti di camminare con loro. «Vogliamo essere accompagnati in questo percorso. Perché l’iniziativa non sia uno dei “fatti nostri” ma una via di condivisione e fraternità», sottolinea fra’ Marco Moroni. Giorno dopo giorno i religiosi racconteranno la loro esperienza sul web attraverso messaggi e fotografie che verranno pubblicati sui siti di Assisi dei quattro rami maschili dell’Ordine francescano (Minori, Minori Conventuali, Minori Cappuccini e Terz’Ordine Regolare): www.assisiofm.it; www.sanfrancescopatronoditalia.it; www.fraticappucciniassisi.it; www.provinciasanfrancescotor.it.

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La storia li ha separati. Un pellegrinaggio “penitenziale” tornerà a riunirli. Sui passi che il loro fondatore, san Francesco, percorse nel 1209 per andare da Assisi a Roma. I frati dell’Ordine francescano escono dai loro conventi che formano il polmone spirituale della cittadina umbra e si mettono in cammino dalla “patria” del Poverello al centro della cristianità. «Con san Francesco da papa Francesco» è il filo conduttore del viaggio a piedi che da domani porterà nove religiosi di Assisi fino a piazza San Pietro. Sette giorni di marcia per questa delegazione che idealmente tornerà a unire i quattro rami maschili scaturiti dal carisma del santo: i Minori, i Minori Conventuali, i Minori Cappuccini e il Terz’Ordine Regolare. «Sarà una sorta di predica senza voce per dire a quanti incontreremo l’amore di Dio e per testimoniare la nostra fede», spiega fra’ Marco Moroni in una nota che presenta l’iniziativa.Più dimensioni si legheranno in questo evento: il richiamo alla Quaresima, l’Anno della vita consacrata, il desiderio di confermare la fedeltà al Papa, l’omaggio a Bergoglio dopo la sua visita ad Assisi del 4 ottobre 2013. Ma il pellegrinaggio di 185 chilometri sarà soprattutto un’“anteprima” dell’itinerario quadriennale che vedrà insieme i rami maschili presenti ad Assisi. Una sfida che nella settimana di marcia sarà rappresentata da un segno: il cingolo di Francesco. È la reliquia che i “figli” del Poverello avranno con loro. «Non solo esso rimanda ai tesori della vita consacrata – afferma fra’ Pasquale Berardinetti, uno dei referenti del progetto e responsabile della comunicazione dei Frati Minori dell’Umbria –. Per la nostra famiglia religiosa ha anche un valore proprio: chi appartiene ai quattro rami ha abiti diversi ma il cingolo è identico. Ciò dice l’impegno comune a vivere lo spirito di Francesco». E la reliquia, aggiunge fra’ Moroni, «sarà conforto, protezione e simbolo di unità».Il pellegrinaggio partirà domani alle 8.45 dalla tomba del santo nella Basilica di Assisi. La benedizione verrà impartita dal custode del Sacro Convento, padre Mauro Gambetti. Nella prima tappa che avrà fra i suoi fulcri anche Santa Maria degli Angeli e che terminerà a Foligno il gruppo sarà scortato dai novizi. Poi il cammino toccherà Spoleto, Terni, Otricoli, Rignano Flaminio e infine Roma.

«Durante il percorso – sottolinea fra’ Berardinetti – i frati incontreranno le comunità anche grazie alla preziosa collaborazione dei parroci. E saranno ospiti delle famiglie che apriranno le loro case per dare un tetto ai pellegrini col saio». Il viaggio verrà scandito dalla preghiera. «Il gruppo – aggiunge fra’ Pasquale – pregherà nelle parrocchie davanti alla reliquia di Francesco. Ma raccoglierà anche le intenzioni di preghiera che chiunque vorrà affidare ai noi francescani». Anche in questo caso ci sarà un segno. «Per ogni intenzione che verrà chiesta – chiarisce il religioso – la persona che la domanderà lascerà un grano di incenso ai nove pellegrini. E quell’incenso sarà bruciato a Roma, a testimoniare l’unica invocazione che sale a Dio dalla Chiesa universale».

Nel tratto conclusivo i consacrati avranno al loro fianco anche i ministri generali. Fra il colonnato del Bernini entreranno giovedì 12 marzo, alla vigilia dell’anniversario dell’elezione di Francesco al soglio pontificio. «Avremo con noi – annuncia fra’ Marco – il sorriso, la fatica e la tenacia di un’esperienza di fraternità». E di unità.

Giacomo Gambassi




se sei povero … ti tirano le pietre!

mendicante

il modello consumista attuale sostiene la ‘cultura dello scarto’…. e la conseguente criminalizzazione del povero, come dice papa Francesco

La carità è sempre molesta

Nuove norme “nei confronti di comportamenti che, a mio avviso, hanno rilievo penale, come l’accattonaggio molesto o la carità molesta”

È quello che ha promesso il ministro dell’interno, Angelino Alfano, al termine della riunione del Comitato per la sicurezza che si è riunito a Roma. “Dopodomani incontrerò il presidente dell’Anci, Piero Fassino, per fare insieme una legge contro il degrado urbano e sulla sicurezza delle città”.

Degrado e sicurezza per chi? Secondo l’Istat le persone senza dimora in Italia sono circa 47.600, cioè lo 0,2 per cento della popolazione iscritta presso le anagrafi. A Roma, secondo una stima effettuata nel 2011, sono 7.800, di cui 2.760 trovano riparo durante l’inverno presso centri di accoglienza notturna del comune, di parrocchie, istituti religiosi e associazioni di volontariato. Circa 2.500 persone non trovano riparo per la notte e altre duemila vivono in alloggi di fortuna. A febbraio, dopo alcune giornate di pioggia, i vigili hanno dovuto portare in salvo le persone che dormivano sotto i ponti e lungo gli argini del Tevere. Dov’è il necessario decoro per queste persone?

La sicurezza? Sempre secondo Alfano, nel 2014 a Roma si sono registrati cinquemila reati in meno rispetto all’anno precedente. Eppure la scorsa notte, nel centro di Roma, un senzatetto italiano di 48 anni è stato aggredito da un gruppo di giovani, non ancora identificati, che lo hanno mandato in ospedale con un trauma facciale. Senza motivo. Dorme spesso sui gradini della chiesa di San Calisto, a Trastevere: la sua storia ricorda quella del giovane somalo bruciato e ucciso nel 1979 vicino a piazza Navona, o quella del cittadino indiano a cui hanno dato fuoco nel 2009 mentre dormiva su una panchina della stazione di Nettuno.

Sono aggressioni che non hanno smosso legislatori o ministri. Se per accattonaggio molesto Alfano intendeva i borseggi, non c’è bisogno di nuove figure di reato: il furto con destrezza è già presente nel codice penale.

mendic

La carità è sempre molesta, perché vedere la povertà importuna la nostra coscienza, ci impedisce di tornare a casa tranquilli, ci mette davanti alcune domande scomode. E intanto nessuno ha chiesto scusa agli accattoni per chi, nel Capodanno del 2013, è andato a letto augurandosi un anno “pieno di monnezza, profughi, immigrati, sfollati, minori, piovoso e magari con qualche bufera di neve”