le monache rispondono per le rime alla Littizzetto

 

 

 le suore di clausura contro Luciana Littizzetto:

“Noi represse? Se avessimo voluto abbracciare un uomo avremmo scelto un altro”

  

 Nel corso della puntata di domenica della trasmissione di Raitre “Che tempo che fa”, Luciana Lettizzetto ha ironizzato sulla scena memorabile delle suore di clausura che circondano Papa Francesco durante la messa nel Duomo di Napoli. Ma le Sorelle non ci stanno, rispondono prontamente a tono su Facebook. 

Indubbiamente il siparietto andato in scena sabato nella cattedrale di Napoli, quando tutte le monache hanno assalito Papa Francesco, ha fatto sorridere un po’ tutti. La scena del Cardinale Sepe che, in napoletano, le incitava a tornare al proprio posto, resterà memorabile. Eduardo De Filippo diceva che Napoli è “un immenso teatro, in cui tutto, anche la miseria, diventa spettacolo”. E questa scena rappresenta emblematicamente la loro innata capacità di recitare la vita vera.

 

Luciana Littizzetto, durante la puntata di domenica 22 marzo della trasmissione televisiva di Fabio Fazio “Che tempo che fa”, ha mandato in onda le immagini della giornata del pontefice nella capitale campana ironizzando: “Il momento supremo di comicità massima è stato quando il Papa ha conosciuto le suore di clausura – continua – Non si capisce se erano tutte intorno al pontefice perché non avevano mai visto un Papa o perché non avevano mai visto un uomo”.

Il commento non è affatto piaciuto alle suore di clausura del monastero Clarisse Cappuccine di Napoli. Hanno immediatamente espresso il proprio parere sulla pagina Facebook gestito dall’abadessa madre Rosa.

suore rispondono

“Ci dispiace che la sig. Littizzetto abbia pensato che le “represse” monache di clausura stessero aspettando il Papa per abbracciare un uomo…probabilmente per fare questo avremmo scelto un altro luogo e ben altri uomini..se avessimo voluto”, rispondo con tono polemico le monache. Concludono la loro protesta con un invito alla “cara Luciana” ad “aggiornare il manzoniano immaginario delle monache di vita contemplativa”.

In difesa delle suore sono arrivati numerosi commenti dei lettori dei social network che considerano “fuori luogo” l’intervento della Littizzetto.

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 il video delle monache clarisse che accolgono il papa con entusiasmo:

 

 

 

inutile dire che la risposta delle alla Littizzetto è diventata virale…

 le monache clarisse cappuccine di Napoli, ordine istituito da Maria Lorenza Longo nel 1535, hanno un profilo molto attivo su Facebook e a gestirlo ci pensa direttamente la Abbadessa, madre Rosa Lupoli che ha ideato una sorta di “i-clausura” «Il nostro essere sui social è solo una risposta ai tanti che, in qualche modo, vogliono essere in contatto con noi. Prima c’era la posta, poi il telefono, poi la mail, oggi facebook. Diciamo che cerchiamo di venire incontro alle richieste di preghiera, ascolto, amicizia, sostegno che ci vengono da ogni parte, tentando di essere aggiornate e in sintonia con i tempi» (Corriere del Mezzogiorno, 24 marzo).

 




demolizione!!! … ma all’orizzonte ‘europeo’ una speranza!

 

demolizione della vita!

dissacrazione della vita!

profanazione della vita!

vorrei capire quando i ‘pro vita’ decideranno una loro presenza ‘resistente’ a tutela integrale della vita!

 

 

 

 ma, nel momento della massima depressione, una bella notizia: forse tutto è sospeso!
così leggo in questa bella ricostruzione di Sergio Bontempelli: “di fronte all’imminente sgombero, però, alcune famiglie hanno deciso di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale – è notizia di queste ore – ha deciso di sospendere la demolizione del campo” :

Torino, sgombero bloccato

Sergio Bontempelli

24 marzo 2015

lungosturaÈ uno strano paese, l’Italia: l’unico, forse, in cui gli enti locali fanno progetti per «superare la logica degli sgomberi» e poi continuano a mandare le ruspe nei campi rom. E’ inoltre, se non proprio l’unico, il più pervicace – almeno in Europa – nel violare le norme internazionali sui diritti umani: soprattutto se quelle norme riguardano, per l’appunto, i rom e i sinti.

L’ultimo esempio viene da Torino: qui, il Comune ha promosso un programma di inserimento abitativo per le famiglie dei campi e, contemporaneamente, ha avviato un nuovo ciclo di sgomberi. Così, mentre decine di nuclei possono lasciare le loro baracche e entrare in vere e proprie case, per altre centinaia di persone è ricominciato l’incubo delle ruspe. Sembra un paradosso, eppure non è la prima volta che accade. Ma a questo punto sarà bene andare con ordine e vedere da vicino quel che è successo.

La Città Possibile
Dunque, si diceva, l’Amministrazione Comunale ha promosso, nel Dicembre 2013, un programma di «superamento dei campi» chiamato La Città Possibile. «Lo scopo del Progetto – si legge nella locandina di presentazione curata dagli enti gestori – è quello di realizzare percorsi efficaci di integrazione per circa 1300 persone di etnia rom». In pratica, gli interventi consistono nell’inserimento in alloggi, nell’aiuto per la ricerca di un lavoro, nella regolarizzazione delle pratiche di soggiorno e di residenza. Per i rom romeni che intendono tornare nel loro paese è previsto anche il rimpatrio assistito.

Fin qui, si tratta di un progetto ambizioso, che punta al superamento dei campi nomadi. Il programma, però, è rivolto a 1300 persone, mentre i rom sul territorio sono almeno il doppio: 2250 tra uomini, donne e bambini, secondo una rilevazione dell’Associazione 21 Luglio aggiornata al 2013, anno di inizio del progetto [si veda il dossier Figli dei Campi, pag. 30].

Beneficiari ed esclusi
Come sono stati selezionati, dunque, i beneficiari del progetto? Con quali criteri si è deciso di includere alcune famiglie per escluderne altre? Ma soprattutto: che fine fanno gli esclusi, quelli che non rientrano negli interventi di inserimento? Per la verità, le risposte date dal Comune a queste domande sono state sempre molto vaghe. E hanno suscitato le critiche degli osservatori più attenti: come Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio, che ha seguito sin dall’inizio tutta la vicenda.

Tra i criteri individuati da Palazzo Civico per selezionare i beneficiari c’è quello della legalità (sono stati esclusi i rom che hanno commesso reati gravi) e quello del censimento (usufruiscono degli interventi solo i nuclei censiti dagli uffici comunali prima dell’avvio del progetto). «Si tratta di criteri molto discutibili – ci spiega Stasolla – Se un rom ha compiuto un reato, di fatto viene condannata tutta la sua famiglia, minori compresi. Quanto al censimento, si rischia di escludere alcune persone in modo casuale, magari perché al momento della rilevazione non erano a Torino».

Ma il punto più delicato sta nella sorte degli esclusi: già, perché tutti coloro che non rientrano nel progetto sono di fatto consegnati ai «soliti» sgomberi. Lo dimostra proprio la recentissima vicenda del Lungo Stura Lazio.

Lungo Stura Lazio, ripartono gli sgomberi
Il campo di «Lungo Stura Lazio» è uno dei maggiori insediamenti di Torino. Qui vivevano qualche mese fa più di 120 famiglie, per un totale di 850 persone: con l’avvio del programma Le Città Possibili, molti nuclei hanno lasciato il campo e si sono visti assegnare delle vere e proprie case. Ma, appunto, restava da capire il destino degli «esclusi».

«La risposta del Comune è stata chiarissima – ci spiega ancora il Presidente dell’Associazione 21 Luglio – tutte le famiglie non beneficiarie devono essere sgomberate, allontanate senza alternative: devono andarsene e basta». Gli sgomberi sono iniziati già nel mese di Febbraio, ma l’allontanamento definitivo era previsto entro il 31 Marzo. «La demolizione dei campi – si accalora Stasolla – è illegale se non vengono proposte delle alternative. Questi sgomberi sono una macchia indelebile, una luce oscura sull’intera azione del Comune di Torino».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’eurodeputata Barbara Spinelli, che ha inviato una lettera al Prefetto di Torino: gli sgomberi, si legge nella missiva, non possono avvenire se non è rispettato «il diritto a un alloggio dignitoso per tutti».

La decisione della Corte Europea
Di fronte all’imminente sgombero, però, alcune famiglie hanno deciso di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale – è notizia di queste ore – ha deciso di sospendere la demolizione del campo. A seguire il ricorso è Gianluca Vitale, avvocato torinese e dirigente dell’Asgi (l’Associazione di Studi Giuridici sull’Immigrazione), che abbiamo raggiunto per telefono. «È presto per cantare vittoria – spiega – la Corte non è entrata nel merito, cioè non ha detto se lo sgombero è legittimo o meno. Si è limitata a concedere una sospensione in attesa di chiarimenti».

Eppure, a vederlo dall’esterno, si tratta di un risultato in qualche modo storico: perché, se la memoria non ci inganna, è la prima volta che una corte internazionale interviene per bloccare uno sgombero (di solito, le sentenze venivano pronunciate ex post, a demolizione avvenuta). «Sicuramente è una buona premessa – spiega ancora Vitale – Nella nostra memoria difensiva abbiamo spiegato che lo sgombero viola il diritto alla vita privata e familiare, e comunque deve essere eseguito garantendo una qualche sistemazione alle persone coinvolte. Cosa che non è avvenuta nel caso di Lungo Stura Lazio. Vedremo come si pronuncerà la Corte nel merito».

Uomini e topi
Finché si parla del ricorso alla Corte Europea, Vitale ha una voce pacata, argomenta con calma, soppesa attentamente le parole. Poi però il discorso cade sulle polemiche cittadine che, inevitabilmente, hanno accompagnato le notizie degli ultimi giorni: qui, l’avvocato perde la sua flemma «sabauda» e non nasconde la sua rabbia.

«È stato detto che lo sgombero è necessario, perché gli esseri umani non possono vivere in mezzo ai topi – si accalora Vitale – e su questo siamo d’accordo: nessuno deve vivere in mezzo ai topi. Ma se sgomberi una famiglia e non garantisci delle alternative, dove andranno a vivere queste persone?».

La domanda è retorica e, infatti, Vitale ha già la risposta pronta: «è evidente che andranno a vivere sempre in mezzo ai topi, ma da un’altra parte, magari lontano dai nostri occhi…a me pare che questo sia uno sgombero Nimby, come dicono gli inglesi: voglio dire, c’è qualcuno che vuole i rom “Nimby”, cioè “Not In My BackYard”, non nel mio cortile di casa…questo mi pare il problema vero».

Sergio Bontempelli




la nuova moda: ‘denomadizzare’

 

“Massa città denomadizzata”

 il cartello abusivo scatena le polemiche

  l’autore replica: “Non sono razzista”

 la provocazione del consigliere comunale di Forza Italia Stefano Benedetti dopo l’incendio accidentale di alcune roulotte



il sindaco che vorrebbe i lager per i rom

      il sindaco leghista vorrebbe i lager per i rom

un post su facebook fa scoppiare la protesta

  

 Durante una discussione sul gruppo Facebook “Sei di Cittadella se…” il sindaco leghista della città, Giuseppe Pan, ha fatto delle affermazioni che hanno provocato reazioni di sconcerto nei suoi concittadini lamentando la mancanza di “lager per rom”. 
La querelle è scoppiata attorno a uno dei molti post che denunciavano la presenza di alcuni nomadi che sostano lungo il Brenta, tra Fontaniva, Cittadella e Tezze, generando disagio tra i residenti. Rispondendo a un commento che lo accusava di fare poco o nulla per risolvere il problema, il primo cittadino ha scritto che non essendoci lager per i rom nella città la questione non è di facile soluzione.

A un certo punto del dibattito, un cittadellese incalza Pan: “Strano che un comune leghista come Cittadella non faccia nulla. Pan dove sito? Magnito skei e basta?” La replica non si fa attendere: «Sono sempre gli stessi rom che continuamente sgombriamo da case abusivamente occupate o da campeggi in Brenta o in giro per i campi! Sono stati assegnati come domicilio da un giudice italiano tra Cittadella, Fontaniva e Tezze! Non hanno una dimora e vagano disseminandosi nel territorio». E poi arriva la frase incriminata, con Pan che – rivolto al concittadino – dice: “Visto che i lager non ci sono e tanto meno i campi rom, se vuoi provare tu!”.

Il segretario del Pd, Adamo Zambon, attacca: “Il peggio non è mai morto: Lega fascista, estremista e razzista. Questo non può essere il linguaggio di una persona delle istituzioni. È un linguaggio da bar sport. Se un sindaco, dotato di amplissimi poteri per garantire la sicurezza della sua città, non riesce a trovare di meglio che invocare i campi di sterminio, significa che non è in grado di esercitare le sue funzioni e quindi è il caso che si dimetta”.

“Il Pd vuole solo strumentalizzare”, obietta il sindaco, “con la mia affermazione volevo dire proprio il contrario, i lager per fortuna non esistono più e il nazismo è ben lontano. Io, a differenza di chi chiacchiera e basta, sto cercando una soluzione concreta”.

bufera sul sindaco di Cittadella: «Non ci sono i lager per i rom»

Il caso scoppia quando dal gruppo Facebook “Sei di Cittadella se” parte un sos: «Brutti ceffi lungo il Brenta. Sindaco, dove sei?». La risposta di Giuseppe Pan scatena l’opposizione, il Pd chiede le dimissioni

 Polemica su Facebook attorno ai rom, il sindaco Giuseppe Pan parla di «lager» ed esplode la bagarre, con il Pd che chiede le dimissioni e il primo cittadino che si difende: «Travisate le mie affermazioni». La querelle è scoppiata attorno all’ennesimo post pubblicato sul gruppo «Sei di Cittadella se»: denuncia dei nomadi che sostano lungo il Brenta, tra Fontaniva, Cittadella e Tezze, generando disagio in alcuni residenti e frequentatori dello spazio in riva al fiume.

A un certo punto del dibattito, un cittadellese incalza Pan: «Strano che un comune leghista come Cittadella non faccia nulla. Pan dove sito? Magnito skei e basta?» La replica non si fa attendere: «Sono sempre gli stessi rom che continuamente sgombriamo da case abusivamente occupate o da campeggi in Brenta o in giro per i campi! Sono stati assegnati come domicilio da un giudice italiano tra Cittadella, Fontaniva e Tezze! Non hanno una dimora e vagano disseminandosi nel territorio». E poi arriva la frase incriminata, con Pan che – rivolto al concittadino – dice: «Visto che i lager non ci sono e tanto meno i campi rom, se vuoi provare tu!».

Il segretario del Pd, Adamo Zambon, attacca: «Il peggio non è mai morto: Lega fascista, estremista e razzista. Questo non può essere il linguaggio di una persona delle istituzioni. È un linguaggio da bar sport. Se un sindaco, dotato di amplissimi poteri per garantire la sicurezza della sua città, non riesce a trovare di meglio che invocare i campi di sterminio, significa che non è in grado di esercitare le sue funzioni e quindi è il caso che si dimetta».

«Il Pd vuole solo strumentalizzare», obietta il sindaco, «con la mia affermazione volevo dire proprio il contrario, i lager per fortuna non esistono più e il nazismo è ben lontano. Io, a differenza di chi chiacchiera e basta, sto cercando una soluzione concreta, sono andato a parlare con queste persone, ci sono casi molto problematici, anche di alcol, e sono in contatto con alcune associazioni per provare a gestire la situazione e trovare loro una casa, non voglio né tendopoli né i vigili, che al massimo possono solo spostarli di qua e di là».