il popolo della pace in marcia

la marcia della pace Perugia-Assisi

 

 

volantino

 

 

a cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si è svolta la XX edizione della Marcia della Pace Perugia -Assisi.
 più  di centomila persone si sono messe in cammino, domenica 19 ottobre, per dare voce alla domanda di pace che sale da ogni parte del mondo e per dire basta a tutte le guerre. 

quelli di Verona


la Marcia per la pace Perugia-Assisi è organizzata dal Comitato Promotore Marcia Perugia-Assisi.
 parte dai Giardini del Frontone di Perugia alle 9.00 e arriva alla Rocca Maggiore di Assisi alle 15.00, dove si svolge la manifestazione conclusiva.marcia dell pace

 

 

è stata una bellissima giornata (e non solo per il tempo!) dove tanti giovani, uomini e donne hanno voluto ancora una volta ricordare a tutti che la pace è un diritto e che è solo con l’impegno di tutti nel diffondere una cultura di pace che questo obiettivo si può realizzare

In centomila marciano per la pace (e chiedono lavoro)

di R. I.
in “Corriere della Sera” del 20 ottobre

Cento colpi per ricordare cento anni di guerre. Si è aperta così ieri mattina, con il fragore delle esplosioni trasmesso dagli altoparlanti, la ventesima edizione della Marcia della Pace di Assisi. Tra striscioni, bandiere e arcobaleni, quasi 100 mila i partecipanti che hanno percorso a piedi i circa 24 chilometri tra Perugia e Assisi. Per dire basta ai conflitti, un secolo dopo la Prima guerra mondiale. Ma non solo. Perché per portare la pace, quella sociale, è fondamentale anche il lavoro, quest’anno tema centrale della manifestazione. In prima fila c’erano infatti gli operai dell’Ast di Terni, impegnati in una difficile vertenza per salvare oltre 500 posti a rischio. Il presidente della Camera, Laura Boldrini, che si è unita alla marcia nell’ultimo tratto, li ha incontrati: «Farò il possibile, non buttatevi giù», ha detto, sottolineando la necessità di una task force istituzionale che affronti la vicenda. «La pace sociale si basa anche sul diritto al lavoro, che è un diritto costituzionale». Dopo quello del capo dello Stato, anche papa Francesco ha inviato un messaggio: «La Marcia sia un’occasione per un maggior impegno nella diffusione della cultura della solidarietà, ispirata ai valori morali e al servizio della persona umana e del bene comune». In marcia la vicepresidente di Montecitorio, l’umbra Marina Sereni, don Luigi Ciotti, la presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini, quello del consiglio regionale, Eros Brega, oltre al sindaco di Perugia, Andrea Romizi. Ma i protagonisti sono stati i cittadini, tra cui moltissimi ragazzi e bambini di 177 scuole.

assisi

Hanno sfilato 277 enti locali, 479 associazioni, 526 città e rappresentanti di ogni regione. Qualche defezione, in polemica con la Tavola della pace, che ha promosso la manifestazione. «San Francesco attende i suoi testimoni di pace per incoraggiarli nel loro impegno quotidiano in una situazione drammatica di presenza di guerre e assenza di lavoro», aveva detto alla vigilia padre Enzo Fortunato, direttore della Sala stampa del Sacro convento. «Siamo qui perché non vogliamo più vedere vittime» ha spiegato Flavio Lotti, coordinatore del comitato promotore . 

 

Perugia-Assisi

Quel popolo dei 100mila che dice “no” a guerre e polemiche

di Luca Liverani
in “Avvenire” del 21 ottobre 2014

Chi temeva una Perugia-Assisi sotto tono è stato smentito. Nonostante la crisi, che ha ridimensionato le trasferte organizzate da associazioni, scuole o singoli. Nonostante le defezioni polemiche di alcune grandi associazioni e il mancato sostegno dei sindacati. Domenica mattina da Perugia su fino alla Rocca di Assisi ancora una volta – come da oltre un ventennio è sfilato un popolo di 100mila persone non rassegnate a una congiuntura economica decisa altrove, alle guerre a cascata in Medio Oriente, in Africa, persino in Europa, alle epidemie ignorate fin quando non bussano a casa nostra. Un fiume di gente diversa, ma fermamente unita nella volontà di esserci. Non per voglia di protagonismo – difficile, in un evento di massa, ignorato totalmente dai grandi quotidiani nazionali, eccezione fatta per alcune tv: TV2000, Rai3, RaiNews e Sky. Perché mai allora da Abbiategrasso a Zugliano gruppi, famiglie, parrocchie e associazioni si sono sobbarcati un viaggio faticoso, per poi affrontare 25 chilometri a piedi? La molla allora non può essere stata che lo scatto morale, l’indignazione civile, la compassione umana per le troppe offese all’umanità perpetrate a tutte le latitudini. La necessità insopprimibile di tanti italiani perbene e civili di fare e di dire qualcosa per un mondo meno disumano. Segno che la Marcia della Pace ha ancora un fortissimo appeal . Tornano alla memoria, più attuali che mai, le parole di San Giovanni Paolo II ai giovani della Gmg del 2000: «Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro… vi sforzerete di rendere questa terra sempre più abitabile ». «Non c’era nulla di retorico in quei 15 chilometri di gente – ragiona all’indomani della Marcia il coordinatore Flavio Lotti – giunta da ogni parte senza troppe etichette e distinguo, ciascuno con le propie ragioni e tutti con qualcosa di positivo in testa e tra le mani. La Marcia è riuscita a unire un pezzo importante della famiglia umana che non vuole lasciarsi trascinare nello sprofondo della III Guerra mondiale». Così la Marcia è iniziata col rimbombo di cento rintocchi, uno per ogni anno di questo secolo 1914-2014, perché «Cent’anni di guerre bastano», come si leggeva nel tema della Marcia. E allora in marcia «per la diffusione della cultura della solidarietà, ispirati ai valori morali e al servizio della persona umana e del bene comune», come ha scritto Papa Francesco.

 

 

 

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il commento al vangelo domenicale di p. Maggi

 

RENDETE A CESARE QUELLO CHE E’ DI CESARE E A DIO QUELLO CHE E’ DI DIO

  Commento al Vangelo della domenica ventinovesima dell’anno liturgico (19 ottobre) di p. Alberto :

 

 

p. Maggi

 

Mt 22,15-21


In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Dopo la serie di invettive con le quali Gesù ha accusato i capi spirituali del popolo di essere ladri e assassini – ladri perché si sono impadroniti del popolo e assassini perché hanno usato la violenza – c’è ora il contrattacco da parte di questi capi, che però hanno un problema. Gesù è seguito da tanta folla allora c’è bisogno di screditarlo.
Il vangelo che leggiamo, al capitolo 22 di Matteo, versetti 15-21, è il primo di una serie di attacchi con i quali i capi religiosi, i capi spirituali tenteranno di screditare Gesù, gli tenderanno delle trappole per diffamarlo e screditarlo di fronte alla gente.
Leggiamo. Allora. L’allora collega questo episodio alla denuncia che Gesù ha fatto con la parabola degli invitati alle nozze che hanno rifiutato quest’invito per motivi di interesse. La convenienza è quella che determina l’agire dei capi religiosi. Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio … questa espressione nei vangeli ha sempre un significato negativo di un complotto contro Gesù … per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi.
Quindi ora c’è una serie di trappole che vengono tese a Gesù, ma dalle quali Gesù uscirà tendendo lui a sua volta le trappole ai suoi accusatori. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, e qui c’è una sorpresa, con gli erodiani. Farisei ed erodiani si detestavano perché gli erodiani sono quelli del partito di Erode, che era un re fantoccio messo su dai romani, e i farisei detestavano questo re.
Tra di loro c’era una grande inimicizia, ma ora hanno un pericolo comune. Gesù è pericoloso sia per i farisei che per gli erodiani, allora si mettono insieme in combutta per eliminarlo. A dirgli “Maestro” … attenzione a questo titolo, nel vangelo di Matteo è sempre in bocca agli avversari di Gesù o a coloro che gli sono ostili, ma fa parte di quel linguaggio curiale usato per addolcire quello che vogliono dire. “Sappiamo che tu sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità”.
Quest’affermazione è vera, quindi riconoscono che Gesù afferma la via di Dio secondo verità, ma perché? “Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno.” Il contraltare è che loro, invece, Gesù li ha accusati che tutto quello che fanno è per essere ammirati, ecco la differenza. I farisei tutto quello che fanno è per essere glorificati, per essere ammirati, Gesù tutto quello che fa non è per la propria convenienza, ma per la convenienza del bene dell’uomo.
Quando si mette il valore dell’uomo come principio assoluto che regola la propria esistenza non si guarda in faccia a nessuno, non ci si cura dell’opinione della gente. Ed ecco l’insidia, “Dunque di’ a noi il tuo parere”, il termine è all’imperativo non è una richiesta, ma un’imposizione, “E’ lecito o no pagare il tributo a Cesare?” Cos’era il tributo a Cesare?
Da quando era stato nominato per la Giudea un procuratore romano nel VI d.C, c’era una tassazione per tutti, uomini e donne, dai 12 ai 65 anni. La domanda è tendenziosa. Perché? Perché proprio a causa del pagamento di questo tributo c’erano state tante sollevazioni. Basti pensare a quella famosa di Giuda il Galileo che si ribellò a questa tassa. Ebbene la domanda è una trappola, perché gli chiedono se è lecito o no pagare il tributo a Cesare, non dimentichiamo che siamo dentro l’area del tempio, come Gesù risponde si danneggia.
Perché se Gesù dice “Sì è lecito pagare il tributo a Cesare” va contro la legge per la quale l’unico Signore del popolo, l’unico riconosciuto come tale, è Dio. Se al contrario dice “No non paghiamo” ecco che era un sovvertitore, un ribelle, come era stato Giuda il Galileo. Siamo all’interno del tempio, ci sono le guardia e Gesù può essere subito arrestato.
Quindi Gesù come risponde si danneggia, sia che si dica favorevole, sia che si esprima contrario al pagamento di questo tributo. Ed ecco, a farisei ed erodiani che hanno teso una trappola a Gesù, tende loro a sua volta una trappola. Gesù a bruciapelo dice: “Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Ma nel tempio era severamente proibito portare monete romane, perché per la legge espressa nel libro del Deuteronomio, nei comandamenti, si proibisce di fare qualunque figura umana.
Pertanto nel luogo più santo di Gerusalemme, il tempio, era assolutamente proibito portare monete, monete romane, che avevano delle effigi umane. All’ingresso del tempio c’erano dei cambiavalute che cambiavano le monete romane con le monete permesse nel tempio. Ma l’interesse – è questa la denuncia che sta facendo l’evangelista – è il vero Dio di questi farisei. Loro, che sono ossessionati dall’idea del puro e dell’impuro, che sono meticolosi, sono scrupolosi, quando si tratta di denaro non vanno tanto per il sottile.
Nel tempio, nel luogo più sacro, essi portano una monete che, agli occhi della religione, è considerata impura. Ma per gli interessi, per la convenienza, passano al di sopra di tutto questo. Ecco allora la trappola di Gesù quando loro ingenuamente gli presentano un denaro. Egli domandò loro: “Quest’immagine e l’iscrizione, di chi sono?” Gli risposero: “Di Cesare”. Infatti il denaro romano portava da una parte l’immagine di Tiberio con la scritta “Cesare figlio del divino Augusto, pontefice massimo”, e nel suo rovescio, c’era la madre dell’imperatore rappresentata come la dea della pace.
Comunque due figure umane. Gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro… Loro hanno chiesto se è lecito pagare o no, Gesù non risponde se sia lecito o no pagare, lui usa un altro verbo che è “rendete”, cioè “restituite”. “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare”. Se non volete la sua dominazione non dovete usare i suoi benefici, per cui questo denaro non è vostro, restituitelo a Cesare.
Ma, ed è qui che l’evangelista vuole arrivare, “E a Dio quello che è di Dio”. Cos’è che devono restituire a Dio e che è di Dio? Gesù nella parabola dei vignaioli omicidi ha usato i capi religiosi e i capi spirituali che per interesse si sono impadroniti della vigna del Signore, si sono messi tra Dio e il popolo, imponendo le loro tradizioni, le loro leggi, occultando e oscurando l’amore di Dio per il suo popolo. Quindi bisogna disconoscere da una parte la signoria di Cesare, ma restituire quella di Dio che è stata usurpata dai farisei.
A queste parole, commenta l’evangelista, rimasero stupiti, meravigliati, e, lasciatolo, e se ne andarono. Se ne vanno per poi tornare, infatti più avanti torneranno alla carica con uno di loro, con un esperto, con un dottore della legge. E questa è soltanto la serie degli attacchi contro Gesù che faranno farisei, erodiani, sadducei e dottori della legge.

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il sinodo osservato dal mondo protestante evangelico

sinodola discussione del Sinodo sulla famiglia sta segnando alcune importanti novità facilmente individuabili ancorché non debba ignorarsi  l’ambivalenza del riconoscimento di elementi positivi anche in altre forme di unione: il riconoscimento fatto dal vaticano II di elementi di santificazione e di verità anche al di fuori della chiesa cattolica, non è sfociato nel riconoscere come chiese, la comunità protestanti

Affari di famiglia

di Luca Baratto

in “NeV” (Notizie Evangeliche) del 15 ottobre 2014

E’ ancora un giudizio in corso d’opera ma è innegabile che, pur con le dovute cautele e nella speranza di non essere smentiti sabato prossimo quando si concluderà l’assise dei vescovi, la discussione del Sinodo sulla famiglia sta segnando alcune importanti novità. L’impressione è che i lavori si stiano svolgendo in un’atmosfera di confronto aperto, con l’intenzione di affrontare la concretezza della vita familiare così com’è sperimentata dalle persone in carne ed ossa. Questo emerge in diversi punti della “Relatio post disceptationem”, redatta dal cardinale Peter Erdö per fare il punto sul dibattito fin qui svolto. La relazione esprime la necessità di pronunciare una “parola di speranza e di senso”, e di “accogliere le persone con la loro esistenza concreta”. Questo  indubbiamente riflette un tratto fondamentale del pontificato di Francesco: mettere in primo piano le persone, che vanno guardate attraverso lo sguardo di Cristo, con le loro storie e la loro umanità, e  solo dopo parlare di principi e di normative. Ciò che emerge con gran rilevanza dal dibattito sinodale è l’ammissione che anche unioni diverse dal matrimonio sacramentale possano contenere al loro interno alcuni elementi costitutivi di  quest’ultimo, che vanno riconosciuti ed evidenziati. Anche nei matrimoni civili e nelle convivenze si riscontrano unioni stabili, affetto profondo, responsabilità genitoriale, capacità di resistere nelle prove: “semi del Verbo sparsi oltre i confini visibili e sacramentali” della chiesa. Sulle persone divorziate si nota una grande attenzione pastorale, mentre sulla questione dell’eucaristia ai divorziati risposati mi sembra che il documento si limiti prudentemente a elencare le posizioni pro e contro. Nelle sue pagine finali, poi, il testo afferma che le persone omosessuali “hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana” e ciò rappresenta una sfida per la capacità di accoglienza della Chiesa stessa. Inoltre le unioni di persone dello stesso sesso sono portatrici di “mutuo sostegno fino al sacrifico … appoggio prezioso per la vita dei partner”. Tutte queste rilevanti affermazioni, fino ad oggi mai sentite con la stessa autorevolezza in contesti ufficiali, sono state possibili non solo dall’osservazione della vita concreta, ma anche in analogia con quanto scritto nella “Lumen Gentium”, la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II esplicitamente citata nella “Relatio”. In essa si afferma che sebbene “l’unica Chiesa di Cristo  sussiste nella Chiesa cattolica”, tuttavia anche “al di fuori del suo organismo si trovano parecchi elementi di santificazione e di verità”. Per analogia, fermo restando la “pienezza sacramentale del matrimonio” è tuttavia possibile riconoscere “elementi positivi” anche nelle altre forme di unione. A suo tempo le affermazioni della “Lumen Gentium” generarono non solo speranza ma addirittura ottimismo capace di produrre frutti abbondanti nell’ambito delle relazioni ecumeniche. Tuttavia – lo vorrei ricordare – è anche e proprio in base a quelle stesse parole che ormai da decenni le chiese protestanti sono inchiodate, nella visione teologica cattolica, al loro status di “non chiese”: ricche di elementi evangelici ma costantemente mancanti della pienezza necessaria per essere definite chiese. Così la relazione del Sinodo, nel definire le unioni diverse da quella sancita dal sacramento del matrimonio – “il matrimonio naturale” – continua a usare il linguaggio della mancanza e dell’incompletezza, parlando di “forme imperfette”, limitate e insufficienti. Si tratta di venialità, di elementi secondari e trascurabili rispetto alle innegabili aperture che la discussione del Sinodo ha dischiuso? In parte lo potremo già capire meglio dal documento finale di sabato prossimo, dalla discussione che si aprirà nelle chiese locali e dalle decisione che nell’ottobre dell’anno prossimo prenderà l’Assemblea generale ordinaria verso la quale questo Sinodo è orientato

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al sinodo un voto contro il papa?

 

Il Sinodo si spacca su gay e divorziati: rischio voto anti-Papa

Papa Francesco

di Franca Giansoldati
Avviso ai naviganti: burrasca in vista. Si sta avvicinando la tempesta perfetta. Il bollettino meteo dalle parti di San Pietro non è dei migliori, tutta colpa del documento sinodale contenente rivoluzionarie aperture verso i gay e i divorziati risposati. L’ala conservatrice non ha digerito molti di quei 58 punti e ora pure diversi moderati faticano a riconoscersi. Ai loro occhi è un salto in avanti rispetto alla dottrina, non rispecchiano la sintesi degli interventi fatti in aula la settimana scorsa. Insomma, problemi su problemi. I 191 padri sinodali da lunedì, due volte al giorno, si sono riuniti nei «Circoli minori», gruppi di studio linguistici in cui hanno dato libero sfogo al malumore. «Un testo così formulato non lo voterei; va modificato, mitigato in alcune sue parti» sostiene il cardinale Filoni, prefetto di Propaganda Fide, diplomatico di lungo corso. Da ieri ha preso a tirare una brutta aria.

SORPRESE
Il testo della discordia – stilato in gran parte da monsignor Forte e presentato dal relatore cardinale Erdo – ha sollevato un vespaio. Il Papa osserva silenzioso e preoccupato. A Santa Marta, nella messa mattutina, da giorni martella sul concetto che «non si può sempre rimanere chiusi nei propri sistemi, che occorre aprirsi alle sorprese di Dio». Già, le sorprese. Tante. Innanzitutto le contestazioni aperte, inaspettate, spontanee, istintive rivolte al cardinale Baldisseri specie durante la pausa caffè per come ha organizzato e sta conducendo il Sinodo sulla Famiglia. Un (autorevolissimo) cardinale tedesco ha commentato tranchant, rivolgendosi ad un gruppo di padri sinodali: «Dal letame non nasce nulla» riferito al testo in questione. Un altro porporato, stavolta moderato, scuotendo la testa sconsolato: «Ha un impianto confuso». Clima pesante, difficile da gestire, sicchè Baldisseri ha autorizzato padre Lombardi, il portavoce, a leggere una dichiarazione pubblica che suona come una frenata in corsa: «In seguito alle reazioni e al fatto che la natura del documento non è stata spesso correttamente compresa, si precisa che è solo una piattaforma di lavoro riassuntiva degli interventi e del dibattito della prima settimana, ora passato alla discussione». Uno dei primi padri a fare fuoco è stato Stanislaw Gadecki, presidente della conferenza episcopale polacca: «Con questo documento ci si allontana dall’insegnamento di Giovanni Paolo II, in esso si vedono persino le tracce dell’ideologia antimatrimoniale». L’americano Burke, ultra tradizionalista, da giorni va ripetendo che la fede non si decide con dei voti e che non è possibile adottare una prassi (sul matrimonio e sui gay) scollata dalla verità del magistero. «Questa non è una assemblea democratica dove i vescovi si radunano per cambiare la dottrina a maggioranza». Sulla stessa linea il sudamericano Fox Napier che prende le distanze dal testo: «Non possiamo assumerci la responsabilità per una relazione che non abbiamo scritto e stiamo ancora discutendo: ci sono cose che appaiono controverse al momento, ecco perchè serve la discussione nei circoli linguistici».

LA CONTA
Intanto proprio nei «Circoli minori» si lavora alacremente agli emendamenti. Saranno parecchi. Esattamente come i rischi. Se gli emendamenti non verrano inseriti nel testo la sorpresa più grande potrebbe arrivare dalla votazione in aula. Al momento la maggioranza non sembra favorevole. E la conta potrebbe rivelarsi fatale. Un brutto test per Papa Bergoglio.

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i vescovi cambiano linea sulla famiglia

 

sinodo

 

il sinodo dei vescovi spariglia le carte

di Marie-Lucile Kubacki
in “www.lavie.fr” del 14 ottobre 2014

Sorpresa a Roma: spinti da papa Francesco, che ha liberato la parola, i vescovi cambiano linea sulla famiglia. “Scisma pastorale”, “bomba”, “colpo di scena”… Gli osservatori non hanno trovato parole abbastanza forti per definire la relatio, sintesi dei contributi dei 191 padri dall’inizio del sinodo, resa pubblica a Roma il 13 ottobre. Contiene quasi tutte le questioni scottanti: divorziati risposati, convivenze prima del matrimonio, accoglienza degli omosessuali nella Chiesa. Ed un tono radicalmente nuovo. una svolta a 180° da Giovanni Paolo II Certo, è solo una sintesi a metà percorso e i padri sinodali devono ancora “approfondire” le piste citate, come ha dichiarato il cardinale Peter Erdo, arcivescovo di Budapest e relatore generale del sinodo, che, una settimana prima degli incontri, presentava una sintesi pre-sinodale diametralmente opposta. Ma il tono è dato, e sembra che l’appello del cardinale Walter Kasper che, su richiesta di papa Francesco, aveva aperto la riunione preparatoria un anno fa, invitando ad un “cambiamento di paradigma”, sembra essere stato ascoltato.

L’idea forte è che si debba uscire dal “o tutto o niente” nella pastorale familiare e osare l’azzardo di “scelte coraggiose”. “Riconfermando con forza la fedeltà al Vangelo, si legge nella relatio, “i Padri sinodali, hanno avvertito l’urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari, riconoscendo che esse, il più delle volte, sono più “subite” che scelte in piena libertà”. Ma, prosegue il testo, “ pensare a soluzioni uniche o ispirate alla logica del “tutto o niente non è saggio”. Non si parte più dalla verità e dalla dottrina per andare verso la gente, si parte dalla gente, in qualunque situazione si trovi, per accompagnarla verso la verità della Chiesa e        

del Vangelo. È quello che già accade in molti luoghi. Ma è la prima volta che l’istituzione, a così alto livello, riconosce così chiaramente lo stato di fatto. Una parola potrebbe riassumere lo spirito di questa sintesi: pragmatismo. Una proposta torna in maniera ricorrente: riconoscere degli “aspetti positivi” nelle situazioni di convivenza prima del matrimonio e nei matrimoni civili. “Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere la realtà positiva dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, delle convivenze. Occorre che nella proposta ecclesiale, pur presentando con chiarezza l’ideale, indichiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o afferma la relatio. prime obiezioni al documento Più avanti, sta scritto che “le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla  cristiana”, anche se la posizione della Chiesa sul fatto che “le unioni fra persone dello stesso sesso non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna” è confermata. Per quanto riguarda l’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati, è seriamente studiata una possibilità in questo senso, al termine di un “cammino penitenziale – sotto la responsabilità dal vescovo diocesano –, e con un impegno chiaro in favore dei figli”. Distinguendo tuttavia le “vittime” della separazione dagli “autori”.

Con un tale ribaltamento di prospettive, e tenuto conto dell’atmosfera tesa del sinodo, è evidente che è un elettrochoc per tutti coloro che erano fissi sulle posizioni di Giovanni Paolo II. Infatti le prime obiezioni non sono tardate. Fin dalla prima sessione di lavoro dopo la pubblicazione della relatio, alcuni padri sinodali hanno “deplorato la quasi-assenza della parola peccato, e ricordato quanto Cristo abbia fortemente condannato il pericolo di cedere alla mentalità del mondo”. Il presidente della conferenza episcopale polacca, Stanislaw Gadecki, ritiene personalmente la relatio “inaccettabile” per diversi vescovi.

Francesco si smarca da Benedetto XVI

Ci si potrebbe accontentare di spiegare questo ribaltamento con una volontà di parlare diversamente, di non far fuggire i cattolici delle periferie rivolgendosi a loro in termini dissuasivi. La prima settimana, alcuni vescovi hanno infatti invitato a bandire espressioni come “mentalità contraccettiva” o “vivere nel peccato”. Ma si sbaglia nel ritenere che qui si tratti solo di un fatto di stile o di una strategia di comunicazione. Se Francesco confermasse questi orientamenti nell’esortazione apostolica che dovrebbe pronunciare nel 2016, si tratterebbe di un’inversione di prospettiva, in linea con l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, suo programma di pontificato. Dichiarava allora: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita sulle strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di attaccarsi alle proprie sicurezze”. Così, là dove Benedetto XVI faceva della carità una conseguenza della verità, Francesco sembra voler partire dalla carità per condurre verso la verità

 

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i cattolici lgbt: le loro attese dal sinodo

 

I cattolici LGBT italiani inviano al Sinodo dei Vescovi le loro proposte per una pastorale inclusiva

dal sito gionata

 gay

Dopo un lavoro di redazione collettiva durato circa sei mesi è stato ufficialmente spedito  alla segreteria del Sinodo dei Vescovi e a tutti i partecipanti italiani al sinodo stesso, il documento di proposte predisposto da omosessuali e transessuali italiani cattolici, riuniti sotto il Comitato Organizzatore del 3° Forum Italiano Cristiani LGBT.
Il documento vuole essere il primo contributo formalizzato al Sinodo dagli omosessuali e transessuali cattolici italiani, per far sentire la loro testimonianza, contribuire fattivamente ai lavori del Sinodo, animati da un’inedita voglia di partecipazione.
Il documento è integralmente disponibile (in ITALIANO ed anche in traduzione INGLESE) all’indirizzo http://www.forumcristianilgbt.it/index.php/home/gruppi-di-lavoro/proposte-sinodo, ed è articolato in 7 capitoli (più una premessa e delle conclusioni) che idealmente ripercorrono il percorso di vita di una persona omosessuale e i suoi rapporti con la Chiesa e le comunità di fede di riferimento: Scoprirsi omosessuali, Un figlio omosessuale, Innamorarsi, Vita di coppia, Genitori omosessuali, Contrasto all’omofobia, Persone transessuali. Ogni capitolo si conclude con le speranze sgorgate dai cuori e dalle penne del gruppo di redazione.
Una sintesi del documento, focalizzata sulle speranze, sarà pubblicamente letta al termine della conferenza teologica internazionale “Le strade dell’amore, per una pastorale con le persone omosessuali e transessuali” che avrà luogo a Roma il 3 ottobre.

Gli estensori del documento hanno dichiarato: “Le nostre proposte mirano a promuovere una cultura ecclesiale inclusiva e rispettosa della diversità di orientamento sessuale, a partire dalla formazione degli educatori (sacerdoti, catechisti, insegnanti di religione e, ovviamente, genitori) e dall’attenzione educativa e pastorale nei confronti delle persone omosessuali e transessuali che non dovrebbero essere trattati differentemente rispetto a chiunque altro, anche in riferimento al desiderio di affettività e alla conseguente apertura alle relazioni di coppia, in un quadro di fedeltà e sostegno reciproco.
Questo documento contiene la voce di tante persone, tante vite, tanti pensieri, tante speranze, tante energie, tanti desideri che, per la prima volta, si sono trovati riuniti per scrivere, produrre, proporre al Sinodo, in ottica collaborativa e partecipativa.
Ci rivolgiamo a tutti i partecipanti al Sinodo straordinario affinché prendano in carico queste speranze, raggiungano la consapevolezza della verità, della bellezza, e spesso anche della fragilità, delle vite e delle realtà di tante persone che da mesi stanno lavorando per passare dall’attesa alla partecipazione.”

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l’attualità filosofica francese

filosofia francese

 

 

La rentrée philosophique

Uno sguardo d’insieme sulle novità dell’autunno filosofico francese

di ORAZIO IRRERA e DANIELE LORENZINI
Una panoramica sulle più importanti novità editoriali di settembre presenti nelle librerie francesi per farsi un’idea dei dibattiti che segneranno profondamente la scena filosofica francese durante gli ultimi mesi del 2014.

In questo inizio di ottobre, non è difficile trovare temi di grande attualità sugli scaffali “filosofici” delle librerie francesi. Così, dopo il successo di Perché disobbedire in democrazia? (pubblicato in Francia nel 2010, e ora disponibile anche in traduzione italiana per ETS), Albert Ogien e Sandra Laugier si interrogano sulle forme più recenti prese dalla contestazione politica: occupazioni delle vie e delle piazze, mobilitazioni transnazionali, attivismo informatico, e così via. In Le principe démocratie. Enquête sur les nouvelles formes du politique (La Découverte) i due autori riscontrano in questi movimenti l’emergenza di una nuova forma di vita politica e morale, nella quale la questione del “come” sostituisce quella del “perché” e la rivendicazione del “principio democrazia” mette in crisi le categorie tradizionali del pensiero politico, incarnando un modo inedito di tratta quindi di apprendere come abitare eticamente e politicamente quegli spazi di contestazione che si aprono quotidianamente nelle pieghe di ogni esistenza precaria.

Accanto a questi saggi in presa diretta sull’attualità, troviamo però molte altre novità interessanti nel panorama della filosofia francese contemporanea. Ne è un esempio il corposo inedito di Louis Althusser, Initiation à la philosophie pour les non-philosophes (PUF), una sorta di manuale di filosofia scritto nel 1975 che, lungi dall’essere una semplice opera di volgarizzazione, costituisce al contrario una preziosa sintesi delle tesi più importanti del filosofo francese sulla pratica, sull’ideologia, sulla scienza, sulla religione, e così via. Ne è in qualche modo una testimonianza anche l’ultimo libro di Pierre Macherey, Le sujet des normes (Amsterdam), che inserisce Althusser in una costellazione alla quale appartengono anche Marx, Foucault, Fanon e Deligny, e che fa da sfondo a una serie di riflessioni legate alla questione della soggettivazione all’interno di una “società delle norme”, affermatasi a partire dalla seconda metà del diciottesimo secolo con la rivoluzione industriale, attraverso strutture di socializzazione inedite, nuove forme di esercizio del potere e specifici meccanismi ideologici.

Il tema della costituzione dell’individuo moderno è al centro di un altro importante volume a firma di Georges Vigarello, Le sentiment de soi. Histoire de la perception du corps, XVIeXXe siècle (Seuil), che ripercorre storicamente il tema dell’elaborazione del sé attraverso la percezione del proprio corpo. In particolare, Vigarello si sofferma su una fondamentale discontinuità prodottasi in epoca illuministica, quando emerge un nuovo modo di intendere il sentimento della propria esistenza, non più circoscrivibile, come lo era in passato, all’orizzonte immateriale del pensiero o dello spirito, ma marcato piuttosto dalla coincidenza del sé e del corpo. Quest’ultima troverà espressione nelle forme codificate del diario e, nei secoli successivi, nelle riflessioni sui rapporti tra il corporeo e lo psichico nei fenomeni legati al sogno, alla follia, alle droghe e al sonnambulismo, sino a giungere alle più recenti forme di esplorazione della propria intimità legate a un lavoro di trasformazione del proprio corpo, come avviene nello Yoga e in altre forme di meditazione oggi ampiamente diffuse. Un’ulteriore problematizzazione del ruolo che la soggettività ha svolto in epoca moderna è sviluppata in un libro fondamentale di Lorraine Daston, finalmente disponibile in traduzione francese: in L’économie morale des sciences modernes. Jugements, émotions et valeurs (La Découverte), Daston mostra infatti che, sebbene le scienze moderne abbiano preteso di svuotare del tutto gli interessi personali e la soggettività dal proprio campo, il lavoro dello storico delle scienze consiste al contrario nel tentativo di ricostruire l’intreccio necessario della morale e della scienza. Infine, Sandra Laugier firma Recommencer la philosophie. Stanley Cavell et la philosophie en Amérique (Vrin), interrogandosi sul significato odierno della “filosofia americana” e mettendo in luce le inattese conseguenze della filosofia del linguaggio ordinario sul piano morale, estetico e politico.

La stessa collana (“Philosophie du présent”) che pubblica il saggio di Sandra Laugier, propone anche un corposo volume dedicato dalla celebre storica della filosofia antica Ilsetraut Hadot a Seneca e alla tradizione della direzione spirituale (Sénèque. Direction spirituelle et pratique de la philosophie, Vrin). Destinato a fare data, questo studio rigoroso restituisce alla ricchezza dell’opera di Seneca il suo ruolo essenziale al cuore della storia del pensiero (e della morale) occidentale. Ormai disponibile sugli scaffali è anche la lezione inaugurale al Collège de France tenuta dal grande storico della filosofia medievale Alain De Libera, che si chiede Où va la philosophie médiévale? (Collège de France). Alain Gallerand offre invece una messa a punto

storico-critica della teoria del “significato” nel corpus husserliano (Husserl et le phénomène de la signification, Vrin), mostrando come sia a partire da una riflessione sul modo di essere dell’oggetto intenzionale che la fenomenologia di Husserl ha potuto elaborare lo statuto ontologico del significato, che era stato invece ignorato dalle prospettive psicologiche e referenziali.

La panoramica sulle opere di storia della filosofia non può che concludersi con Heidegger e la spinosa questione delle tracce che, nel suo pensiero, avrebbe lasciato la sua adesione al nazional-socialismo e, specialmente, a un antisemitismo che la recente pubblicazione dei Quaderni neri (scritti tra il 1938 e il 1941) ha portato alla luce. Tra le numerose e reiterate accuse e le non meno numerose arringhe difensive, la traduzione francese del libro di Peter Trawny (lo stesso studioso che ha curato l’edizione dei Quaderni neri), Heidegger et l’antisémitisme (Seuil), costituisce un punto di riferimento imprescindibile. Secondo Trawny, pur rifiutando la versione volgarizzata dell’antisemitismo accreditata durante il Terzo Reich, Heidegger avrebbe comunque trasposto un’istanza antisemita nei termini teoreticamente più rarefatti di una “storia dell’essere” che avrebbe infine orientato la sua interpretazione della storia mondiale. La questione dell’antisemitismo di Heidegger rappresenta una sorta di filigrana i cui contorni problematici appaiono anche in tutti i contributi raccolti da Marie-Anne Lescourret nel volume La dette et la distance. De quelques élèves et lecteurs juifs de Heidegger (L’éclat), dove vengono esaminati i debiti intellettuali che una schiera di importanti pensatori ebrei tedeschi del dopoguerra (Günther Anders, Hannah Arendt, Hans Jonas, Emmanuel Levinas, Karl Löwith, Herbert Marcuse, Leo Strauss, Eric Weil) hanno maturato, non senza qualche paradosso o criticità, nei confronti di Heidegger, loro comune maestro.

Infine, c’è almeno un’autobiografia che non si può non menzionare: Paul Veyne, il grande storico del pensiero romano, firma Et dans l’éternité je ne m’ennuierai pas (Albin Michel), un libro in cui si intrecciano in modo toccante i ricordi di un intero secolo, le incursioni nell’antichità, le riflessioni filosofiche e gli aneddoti ameni di esperienze personali

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al sinodo è in ballo una nuova chiesa

piazza_san_pietro-vaticanoIl sinodo. Una nuova chiesa

di Marco Marzano
in “santalessandro” – settimanale diocesi di Bergamo – (http://www.santalessandro.org) del 12 ottobre 2014

 

L’oggetto del confronto, talvolta molto aspro, in atto in questi giorni al Sinodo della famiglia non è solo la questione della riammissione dei divorziati all’eucaristia o l’atteggiamento della Chiesa verso l’omosessualità e le coppie di fatto. In gioco c’è il futuro dell’intera istituzione, il suo assetto interno e il suo rapporto con il mondo e la società moderni. Se a prevalere fosse infatti l’opinione di coloro che rifiutano ogni cambiamento nella dottrina e nella prassi pastorale, si accentuerebbe nel futuro la fisionomia di Chiesa che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno di fatto incoraggiato durante i loro pontificati: un’organizzazione sostanzialmente autoritaria e monarchica, con un capo (il papa) che decide tutto e per tutti, sposando sempre e comunque la fedeltà ad una tradizione considerata come un feticcio immutabile. Un’organizzazione nostalgica dell’epoca presecolarizzata, lontana dallo spirito dei tempi, dal “mondo”, dalla sensibilità e dagli orientamenti profondi delle grandi masse dei contemporanei, destinata inevitabilmente a svolgere, nella nostra società, il ruolo di raccogliere ed assistere non solo le ridotte truppe dei fedelissimi della tradizione, ma anche molte delle “vittime” della modernità, coloro che non ce l’hanno fatta a convivere con la cultura della libertà e della scelta e che per questo cercano rifugio in mondi artificiali e “protetti” come quelli delle sette, anche di quelle cattoliche. Un cattolicesimo che potremmo definire “di resistenza”, “difensivo”, settario perché inevitabilmente separato e in conflitto con la cultura del suo tempo, orgogliosamente geloso della propria minoritaria diversità, di un’alterità rigidissima e irriducibile rispetto al resto dell’umanità. All’estremo opposto di questa forma di Chiesa sta il cattolicesimo che anche Papa Francesco sembra intenzionato, pur con molta gradualità, a promuovere: un’istituzione maggiormente democratica, nella quale non vi è, malgrado l’enorme pressione mediatica in questa direzione, un “uomo solo al comando”, ma nella quale si discute, ci si divide, ci si confronta, si cerca di accantonare la sicumera e l’arroganza di chi giudica e ci si mette in ascolto del prossimo, accettando anche, come inevitabile conseguenza, di dare di sé, come Chiesa, un’immagine meno monolitica e più frammentata, meno ordinata e più plurale. In questa settimana, anticipata dal gigantesco e inedito sondaggio sul tema del sinodo tra i fedeli di tutto il mondo, la “filosofia dell’ascolto” è divenuta realtà, e non solo negli infuocati dibattiti tra gli illustri partecipanti all’assemblea, un fatto comunque senza precedenti nella chiesa-caserma dell’ultimo mezzo secolo dove il dissenso era inammissibile e inesistente, ma anche nelle voci autentiche che sono giunte dalla grande periferia della Chiesa, dalla base cattolica. Non si erano mai sentite in un sinodo pronunciare parole come quelle dei cattolici brasiliani Arturo ed Hermelinda, sposati da quarantuno anni e con tre figli: “i metodi contraccettivi naturali – hanno detto i due responsabili regionali dell’Equipe di Notre Dame – sono buoni, ma nella cultura attuale ci sembrano privi di praticità, tanto che anche le coppie cattoliche nella grande maggioranza non rifiutano l’utilizzazione di altri metodi contracettivi”. Un’altra coppia, gli australiani Pirola, ha raccontato di loro amici che hanno un figlio gay e hanno accettato di conoscere e di accogliere in famiglia il suo compagno. I Pirola hanno poi candidamente ammesso di trovare sconcertanti i documenti della Chiesa dedicati alla famiglia: “Sembrano provenire – hanno detto i due coniugi – da un altro pianeta, sono redatti in un linguaggio difficile e non così terribilmente rilevanti per le nostre esperienze. Molte espressioni sono antiquate e presentano concetti che non necessariamente invitano le persone ad avvicinarsi a Cristo e alla Chiesa”. Parole dure, taglienti come una lama che si infila nel costato per molti di coloro che le hanno udite nell’assemblea. E tuttavia un esercizio di quella parresia che il papa ha invocato all’apertura del
Sinodo, di quel pronunciare verità scomode che a prima vista sembra ferire e sconvolgere, ma che in definitiva consiste in un gesto di amore per gli altri, uno dei più grandi che si possano compiere. E in quella sala forse il segno dell’inizio di un tempo nuovo per la Chiesa Cattolica.

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la responsabilità verso la terra

 

AMA LA TERRA COME TE STESSO

una riflessione di E.Bianchi sulla responsabilità umana di fronte alla terra
Bianchi
 
 “è urgente un’etica della terra, per i cristiani un’etica della creazione, che affermi la responsabilità umana di fronte all’ambiente terrestre. Quest’etica della terra richiede innanzitutto una coscienza ecologica che sia vigilante e pronta ad assumersi la responsabilità dell’ambiente. 
 
C’è una conversione planetaria da fare, c’è un nuovo comandamento da proclamare: “Amerai la terra come te stesso, e la terra ti ricompenserà”.
 
C’è un comandamento non espresso nelle tavole delle dieci parole di Mosè (cf. Es 20,1-21; Dt 5,1-22) ma che si potrebbe dedurre da ognuna di esse, ne potrebbe essere la sintesi o anche il preambolo alla loro osservanza. Da anni io lo formulo così: “Amerai la terra come te stesso”.
 
Conosciamo il comandamento che Gesù ha unito a quello dell’amore per Dio (cf. Dt 6,5): “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18; Mc 12,31 e par.). Ma io sono convinto che per amare Dio con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze, e il prossimo come se stessi, occorre anche amare la terra come se stessi. La terra (adamah), da cui ogni terrestre (adam) è stato tratto (cf. Gen 2,7), è nostra matrice, di essa siamo fatti, a essa torniamo (cf. Gen 3,19). Ma la terra non è solo polvere – come si è sempre detto –, è un organismo vivente che dobbiamo rispettare, amare, contemplare e soprattutto sentire solidale con noi. Senza la terra noi non siamo, e anche la nostra vita interiore non è estranea alla terra, alle piante, agli animali, alla natura. Anzi, è vita interiore vera e viva se ingloba tutte le co-creature con le quali siamo la terra in corsa nell’universo.
 
Un cristiano, dunque, ama Dio, ama il prossimo ma ama anche la terra come se stesso, perché la terra è la realtà più prossima per ogni persona. La terra è la nostra radice, è l’humus che ci ha custodito e nutrito, ma ora tocca a noi custodire la terra, e il cammino di umanizzazione che ci attende deve avvenire nella consapevolezza che ora siamo noi responsabili davanti alla terra. Per millenni la terra ci ha fornito riparo, con i suoi alberi ci ha protetto, dei suoi frutti ci ha nutrito, ma noi verso di essa siamo diventati nemici o figli ingrati… Dipendevamo dalla terra, ma oggi è la terra che dipende da noi e ci chiede rispetto, salvaguardia, protezione, amore…
 
Diventa allora urgente un’etica della terra, per i cristiani un’etica della creazione, che affermi la responsabilità umana di fronte all’ambiente terrestre. Quest’etica della terra richiede innanzitutto una coscienza ecologica che sia vigilante e pronta ad assumersi la responsabilità dell’ambiente. 
 
C’è una conversione planetaria da fare, c’è un nuovo comandamento da proclamare: “Amerai la terra come te stesso, e la terra ti ricompenserà”.
 
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il principio ‘misericordia’ nei lavori del sinodo

tra matrimonio indissolubile e misericordia

di Enzo Bianchi
in “La Stampa” del 12 ottobre 2014

 

Bianchi

 

 

 

Subito dopo l’elezione di papa Francesco, il cardinal Ravasi dichiarò: «C’è un respiro nuovo che aspettavamo». Oggi, dopo venti mesi di pontificato, possiamo dire che si è creato un altro clima nel tessuto ecclesiale: un clima di libertà di parola nel quale con parresia ogni cattolico, vescovo o semplice fedele, può lasciar parlare la propria coscienza e dire quello che pensa, senza essere subito messo a tacere, censurato o addirittura punito, come avveniva negli ultimi decenni. Questo non significa clima idilliaco, perché conflitti anche aspri sono presenti in seno alla Chiesa – come testimoniato già negli scritti del Nuovo Testamento – ma se questi sono vissuti senza scomuniche reciproche, se ciascuno ascolta le ragioni dell’altro senza fare di lui un nemico, se tutti hanno cura di mantenere la comunione, allora anche i conflitti sono fecondi e servono ad approfondire e a meglio dar ragione delle speranze che abitano il cuore dei cristiani.
Purtroppo si può constatare che ormai ci sono «nemici del Papa»: persone che non si limitano a criticarlo con rispetto, come avveniva con Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, ma si spingono fino a disprezzarlo. Un vescovo che dichiara ai suoi preti che l’esortazione apostolica Evangelii gaudium «avrebbe potuto scriverla un campesino» esprime un giudizio di disprezzo, ma profeticamente dichiara che quella lettera è leggibile e comprensibile anche da un povero e semplice cristiano della periferia del mondo. Così, al di là delle intenzioni, quelle parole sprezzanti costituiscono un elogio. Alcuni giungono anche a delegittimare l’elezione di Bergoglio in un conclave che non si sarebbe svolto secondo le regole, altri sostengono che vi siano ancora due papi, entrambi successori di Pietro ma con compiti diversi… Conosciamo da tempo costoro come persone inclini a inseguire le proprie ipotesi ecclesiastiche anziché l’oggettività della grande tradizione cattolica nella quale vale il primato del vangelo.
Certamente la composizione di questo sinodo, il nuovo modo di procedere nei lavori, l’invito del Papa a parlare chiaro, con coraggio anche criticando il suo pensiero o manifestando un parere diverso, la richiesta di franchezza negli interventi hanno creato un’atmosfera sinodale inedita rispetto a tutti i sinodi precedenti. Papa Francesco vuole che l’assise sia vissuta nello spirito della collegialità episcopale e della sinodalità ecclesiale e non sia una semplice celebrazione: e Francesco ha tutta la saldezza per dire che comunque il sinodo si svolge secondo la grande tradizione cum Petro et sub Petro, cioè con il Papa presente e al quale, in quanto successore di Pietro, spetta personalmente il discernimento finale. Quanto al tema del sinodo, è incandescente perché è in gioco non tanto una disciplina diversa riguardo al matrimonio, alla famiglia e alla sessualità, bensì il volto del Dio invisibile, un volto che noi cristiani conosciamo solo nel volto di Gesù Cristo, colui che ci ha narrato, spiegato, fatto conoscere Dio. È in gioco il volto del Dio misericordioso e compassionevole, come sta scritto nel suo Nome santo dato a Mosè e come è stato raccontato da Gesù, suo figlio nel mondo, il quale non ha mai castigato i peccatori, non li ha mai puniti ma li ha perdonati ogni volta che li ha incontrati, spingendoli così al pentimento e alla conversione. È indubbio che al cuore del confronto e dell’approfondimento sinodali ci sono parole di Gesù che non possono essere dimenticate né tanto meno manomesse. Nei vangeli, infatti, di fronte al divorzio – permesso da Mosè ma condannato, non lo si dimentichi, dai profeti… – Gesù non sceglie la via della casistica ma risale all’intenzione del Legislatore e Creatore e nega ogni possibilità di rottura del vincolo nella storia d’amore tra un uomo e una donna: «Nell’in-principio non fu così… I due diventeranno una sola carne… L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto!». Linguaggio chiaro, esigente, radicale perché nel rapporto tra uomo e donna legati nell’alleanza della parola data, è significata l’alleanza fedele tra Dio e il suo popolo: se una fedeltà viene smentita, anche l’altra
non è più credibile. Messaggio esigente e duro, che i presbiteri dovrebbero annunciare alle loro comunità mettendosi in ginocchio: «È una parola del Signore, non nostra, a chiedere questa fedeltà. Noi ve la ripetiamo perché è nostro dovere farlo, ma ve la annunciamo in ginocchio, senza presunzione né arroganza, perché sappiamo che vivere il matrimonio fedelmente e nell’amore rinnovato è difficile, faticoso, impossibile senza l’aiuto della grazia di Dio…». Ma se questo è l’annuncio evangelico che non può cambiare, resta vero che nella storia, e particolarmente oggi, questo vincolo nelle storie d’amore non è sempre assunto nella fede, nell’adesione alla parola di Cristo e, comunque, a volte si deteriora, si corrompe e muore. Sì, tra coniugi occorre stare insieme fino a quando uno rende più buono l’altro, ma se questo non avviene più, dopo ripetuti tentativi, allora la separazione può essere un male minore. Ed è qui che a volte può iniziare una nuova storia d’amore che può mostrarsi portatrice di vita, vissuta nella lealtà e nella fedeltà, nella condivisione della fede e dell’appartenenza viva alla comunità cristiana. Per quanti vivono in questa condizione non è possibile celebrare altre nozze né contraddire il sacramento del matrimonio già celebrato, ma se compiono un cammino penitenziale, se mostrano con l’andare degli anni saldezza nel nuovo vincolo, non si potrebbe almeno ammetterli alla comunione che dà loro la possibilità di un viatico portatore di grazia nel cammino verso il Regno? Secondo la dottrina cattolica tradizionale l’eucarestia è sacramento anche per la remissione dei peccati. Il cardinal Martini si chiedeva: «La domanda se i divorziati possono ricevere la comunione andrebbe rovesciata: come può la Chiesa arrivare in loro aiuto con la forza dei sacramenti?». La risposta a queste domande può venire solo dal Papa, dopo aver ascoltato la Chiesa attraverso il sinodo. Si rifletta inoltre su un dato: perché preti, monaci, religiosi che emettono una pubblica promessa a Dio al cuore della Chiesa, pur avendo abbandonato la vocazione ricevuta e contraddetto i voti pronunciati – voti che san Tommaso d’Aquino diceva che la Chiesa non può mai sciogliere – possono partecipare pienamente alla vita anche sacramentale della Chiesa, mentre chi si trova in altre situazioni di infedeltà ne è escluso? Questa appare come ingiustizia di una disciplina fatta da chierici che vivono più o meno bene il loro celibato e non conoscono la fatica e le difficoltà del matrimonio… Cosa si attende allora dal sinodo un cattolico maturo nella fede? Che si confessi ancora e ancora l’indissolubilità del matrimonio, ma lo si faccia manifestando la misericordia di Dio, andando incontro a chi in questa esigente avventura è incorso nella contraddizione all’alleanza e invitandolo a camminare nella pienezza della vita ecclesiale. Il Dio cristiano ha un volto in cui la misericordia è immanente alla giustizia: è un Dio compassionevole che in Gesù ha camminato e cammina con chi è ferito, con chi è malato… è un Dio che vuole che tutti si convertano e vivano.

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