“non avere paura”

 sintonia piena tra sapienza evangelica e sapienza orientale: “non avere paura”

Dall’attaccamento sorge il dolore, dal dolore sorge la paura; per colui che è totalmente libero, non c’è attaccamento, non c’è dolore, non c’è paura.

In questo momento, l’unico momento che esiste, il passato, il presente e il futuro sono contenuti. Il segreto del benessere del corpo e della mente consiste nel non piangere per il passato e nel non preoccuparsi per il futuro, e nel vivere il momento presente con saggezza e onestà.

Neppure la morte è da temere per chi ha vissuto con saggezza.

Siddharta Gautama

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il vangelo domenicale commentato da p.Maggie p.Pagola

maggi
SE TI ASCOLTERA’ AVRAI GUADAGNATO IL TUO FRATELLO 

commento al Vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario (7 settembre) di p. Alberto Maggi 
Mt 18,15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:  «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Dopo aver parlato dello scandalo della comunità verso i piccoli, cioè gli emarginati, che possono essere scandalizzati da quello che vedono all’interno della comunità in termini di ambizione, di superiorità, Gesù ora arriva a parlare dello scandalo dei dissidi all’interno della comunità. E’ quanto scrive Matteo al capitolo 18, versetti 15-20.
“«Se tuo fratello»”, quindi si tratta di un componente della comunità, “«commetterà una colpa contro di te, va’ e …»”, non ammoniscilo, come riporta questa traduzione, ma “«convincilo»”. Non è la posizione di un superiore verso un inferiore per ammonirlo, ma è la posizione del fratello che cerca di ricomporre l’unità, cerca di superare il dissidio. Sempre ricordando quanto Gesù già ha ammonito, cioè che prima di guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello, occorre stare attenti che uno non abbia la trave conficcata nel suo (trave che deforma la sua realtà).
“«Tra te e lui solo»”, quindi al dissidio non deve essere data pubblicità, si deve risolvere il problema. Ed è la persona offesa che deve andare verso l’offensore, perché chi sbaglia, chi offende spesso non ha il coraggio, non ha la forza di chiedere scusa, di chiedere perdono. Allora deve essere la parte lesa, la persona offesa, che va verso l’offensore e ricomporre il dissidio.“«E se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi con te una o due persone»”; sono quelli che nella comunità svolgono il ruolo di costruttori di pace, “«perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni»”. Secondo quanto affermava il libro del Deuteronomio, capitolo 19, versetto 15, sulla validità di una testimonianza.
“«Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità»”. Il termine greco è ecclesia che rappresenta la comunità dei convocati, l’assemblea dei convocati da Gesù, “«E se non ascolterà neanche la comunità, sia per te»”, quindi non per la comunità, ma per te, “«come il pagano e il pubblicano»”. Cosa significa? Non significa che quest’individuo, causa del dissidio, vada escluso dall’amore della comunità, e neanche dal tuo amore, ma significa che questo amore sarà a senso unico.
Mentre nella comunità l’amore donato viene anche ricevuto, perché i fratelli si scambiano vicendevolmente questo amore, verso la persona che è causa del dissidio, l’amore va dato come quello verso i nemici. Gesù dirà di amare i nemici, dirà di pregare per i persecutori. Quindi non significa escludere questa persona dal tuo amore, ma amarlo in perdita, a senso unico.
E sempre parlando della tematica del perdono, Gesù assicura: “«In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo»”. Si tratta sempre del perdono, chi non perdona lega il perdono di Dio, “«E tutto quello che scioglierete in terra sarà sciolto in cielo»”. Si tratta del perdono, Il perdono di Dio diventa operativo ed efficace quando si traduce in perdono verso gli altri. Quindi chi non perdona lega il perdono di Dio, mentre chi perdona lo scioglie.
Al termine del capitolo, al versetto 35, infatti, Gesù dirà: “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi se non perdonerete di cuore il vostro fratello”. Quindi questa affermazione di Gesù non riguarda la concessione alla sua comunità del potere di legiferare in ogni materia e in ogni campo, ma della responsabilità nel concedere il perdono: se non perdoni leghi il perdono di Dio.
E poi Gesù conclude: “«Ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo»”, il verbo mettere d’accordo è Sinfoneo, da cui la parola “sinfonia”. E’ importante perché indica la vita della comunità. Sinfonia significa che diverse voci, diversi strumenti suonano ciascuno dando il meglio di sé. Non ci deve essere una uniformità di voci e di suoni, ma c’è una varietà nell’unico spartito che è quello dell’amore. Quindi è l’amore vissuto nelle varie forme, fiorito nelle varie modalità.
“«Per chiedere qualunque cosa, il Padre mi oche è nei cieli gliela concederà. Perché dove due o tre …»”, ecco ritornano i due o tre che sono stati fautori della pace, coloro che sono andati a eliminare il dissidio, la loro funzione di costruttori di pace, rende manifesta la presenza del Signore. “«… sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro»”.
E ritorna la tematica cara all’evangelista, quella del Gesù, il Dio con noi. Mentre nella tradizione ebraica si diceva che dove due o tre si riuniscono per studiare la Torah, la legge, la Shekinà, cioè la gloria di Dio è in mezzo a loro, Gesù si sostituisce alla legge. L’adesione a Dio non avviene più attraverso una legge esterna all’uomo, ma nell’immedesimazione con una persona: Gesù, il Figlio di Dio, il modello dell’umanità. Gesù assicura che quando c’è questa unità, quando si ricompongono i dissidi all’interno della comunità, la sua presenza è ininterrotta e crescente.

croce
commento al vangelo di p. Pagola

Benché le parole di Gesù, raccolte da Matteo, sono di grande importanza per la vita delle comunità cristiane, poche volte attraggono l’attenzione di commentatori e predicatori. Questa è la promessa di Gesù: “Dove due o tre stanno riuniti nel mio nome, lì io sto in mezzo a loro”.
Gesù non sta pensando a celebrazioni massicce come quelle della Piazza di San Pietro a Roma. Benché solo siano due o tre, lì egli sta in mezzo a loro. Non è necessario che sia presente la gerarchia; non è necessario che siano molti i riuniti.

La cosa importante è che “siano” riuniti, non dispersi, né nemici tra loro: che non vivano disprezzandosi alcuni con gli altri. Egli è decisivo: “che si riuniscano nel suo nome”: che ascoltino la sua chiamata che vivano concordi col suo progetto del regno di Dio. Che Gesù sia il centro del suo piccolo gruppo, e questa presenza viva e reale di Gesù è quella che deve incoraggiare, guidare e sostenere le piccole comunità dei suoi seguaci. È Gesù che deve incoraggiare il loro discorso, le loro celebrazioni, progetti ed attività. Questa presenza è il “segreto” di ogni comunità cristiana viva.
Noi cristiani non possiamo riunirci oggi nei nostri gruppi e comunità in qualche generico modo: per abitudine, per inerzia o per compiere alcuni obblighi religiosi. Saremo molti o, forse, pochi, ma la cosa importante è che noi ci riuniamo nel suo nome, attratti dalla sua persona e dal suo progetto di fare un mondo più umano.
Dobbiamo ravvivare la nostra consapevolezza che siamo comunità di Gesù. Ci riuniamo per ascoltare il suo Vangelo, per mantenere vivo il suo ricordo, per contagiarci del suo Spirito, per accogliere in noi la sua gioia e la sua pace, per annunciare la sua Buona Notizia.

Il futuro della fede cristiana dipenderà in buona parte dalle cose concrete che noi cristiani faremo nelle nostre comunità nelle prossime decadi. Non basta quello che potrà fare Papa Francesco nel Vaticano, non possiamo neanche riporre le nostre speranze nel pugno di sacerdoti che potranno essere ordinati nei prossimi anni. La nostra unica speranza è Gesù Cristo.
Siamo noi quelli che dobbiamo centrare le nostre comunità cristiane nella persona di Gesù come l’unica forza capace di rigenerare la nostra fede consumata e abitudinaria. L’unico capace di attrarre gli uomini e le donne di oggi, l’unico capace di generare una fede nuova in questi tempi di incredulità.

Il rinnovamento delle istanze centrali della Chiesa è urgente. I decreti
e le riforme, necessarie. Ma niente di tanto decisivo come il ritornare con radicalità a Gesù Cristo.
Contribuisci a rigenerare la fede cristiana in Gesù.

José Antonio Pagola

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don Giorgio de Capitani: il suo ‘singolare’ ricordo del card. Martini

Un po’ di indignazione, perdinci!

scola martini

la domenica 31 agosto u.s. ha avuto luogo nel duomo di Milano una solenne commemorazione del card. Martini nel secondo anniversario della sua morte

ha presieduto la commemorazione il card. Scola: non è piaciuto per niente a don Giorgio de Capitani la modalità e il taglio che il cardinale ha dato nella sua omelia generica e cerebrale oltreché priva di mordente, fino al punto da far esclamare a don Giorgio arrabbiatissimo: “Almeno un po’ di indignazione, cazzo!, ci è rimasta ancora?”

di seguito le sue interessanti riflessioni:

Prima delle mie riflessioni, vi offro da leggere il testo integrale dell’omelia che il cardinale Angelo Scola ha tenuto, domenica pomeriggio, 31 agosto, nel Duomo di Milano, durante la Messa di commemorazione del secondo anniversario della morte di Carlo Maria Martini.
Premetto solo che, come racconta il cronista sul sito ChiesadiMilano.it, tra le navate gremite hanno trovato posto a fatica migliaia di persone di ogni età, in prima fila sedevano la sorella Maris e il nipote, Giovanni Facchini Martini, che non hanno voluto mancare insieme a una decina di altri parenti. Concelebravano il rito oltre cento sacerdoti, tra cui il cardinale Tettamanzi, sei Vescovi, l’intero Capitolo metropolitano, il vicepresidente della “Fondazione Martini” padre Costa, il Moderator Curiae, mons. Marinoni, i Vicari episcopali di Zona e di Settore, e i segretari succedutisi al fianco di Martini come Pastore di Milano.
ARCIDIOCESI DI MILANO
I DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 65.13-19; dal Sal 32; Ef 5,6-14; Lc 9,7-11
CELEBRAZIONE EUCARISTICA NEL SECONDO ANNIVERSARIO
DEL CARD. CARLO MARIA MARTINI
DUOMO DI MILANO
DOMENICA, 31 AGOSTO 2014
OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, ARCIVESCOVO DI MILANO
1. Un destino di gioia
«Io creo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio. Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo» (Lettura, Is 65,18-19a). Non solo il Padre destina ogni uomo e l’intero suo popolo alla gioia, ma è Lui stesso, per primo, a provare gioia per la sua creatura, a godere per il suo popolo. Lo scambio d’amore tra le Persone della Trinità si dilata ad abbracciare l’uomo e tutta la famiglia umana.
Questa sera facciamo memoria viva del Card. Carlo Maria Martini, nel vincolo di comunione con il Beato Card. Ildefonso Schuster, la cui figura abbiamo ricordato ieri. L’affermazione del profeta: «Io esulterò di Gerusalemme», richiama il legame del tutto speciale con Gerusalemme del Cardinale Martini. Là egli si è stabilito, al termine del suo ministero milanese, «per pregare e per studiare» fino a quando la malattia glielo ha permesso.
2. Sottrarsi alla relazione con Dio spezza l’io
Cosa dice a noi la commemorazione di questi due Arcivescovi passati all’altra riva, la dimensione del definitivo compimento? Ci richiama al dato che finché siamo nella carne e nella storia, la lama della nostra libertà può recidere l’alleanza che Dio ha stretto con noi. Ma, rifiutando di appartenerGli, l’uomo si nega l’esperienza della gioia e del gaudio. Lo esprime la tremenda opposizione che Isaia stabilisce tra il piccolo resto di coloro che rimangono fedeli al Signore e coloro che vi si ribellano: «I miei servi mangeranno e voi avrete fame; … berranno e voi avrete sete; i miei servi giubileranno per la gioia del cuore, voi griderete per il dolore del cuore, urlerete per lo spirito affranto [il verbo latino frangere dice un io spezzato; il venir meno di un io, che si spezza]» (Lettura, Is 65,13a -14).
3. Gesù ci ha resi luce nel Signore
E tuttavia la dura parola del profeta non è l’ultima parola. «Ecco… io creo nuovi cieli e nuova terra» (Lettura, Is 65,17a).
Gesù è venuto per salvarci, per ricondurci al Padre. È sceso nell’abisso del peccato e della morte, ha attraversato fino in fondo le nostre tenebre per farci figli della luce. Non dobbiamo aspettare di diventare figli in forza dei nostri meriti, lo siamo. «Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore» (Epistola, Ef 5,8a). La grazia del Battesimo trasforma in profondità la persona: «I miei servi saranno chiamati con un altro nome» (Lettura, Is 65,15b), ed il suo agire: «Comportatevi perciò come figli della luce» (Epistola, Ef 5,8b).
Qui sta l’origine dell’ansia pastorale del Card. Martini che lo portava ad ascoltare tutti in modo “criticamente” aperto, anche le resistenze, le fatiche e perfino i tratti di confusione che talora ci portiamo dentro. Significativa in questo senso è una sua riflessione che illumina il sacrificio eucaristico che stiamo celebrando: «Nella Messa Gesù ci raggiunge con la sua Pasqua e, se ne prendiamo seriamente coscienza, pone in noi ogni volta il dinamismo dell’amore, la forza di quella carità che è riverbero dell’essere stesso di Dio. Perché l’Eucaristia ci accoglie dalle oscure regioni della nostra lontananza spirituale, ci unisce a Gesù e agli uomini e ci sospinge con Gesù e con gli uomini verso il Padre; è come un sole che attira a sé l’umanità e con essa cammina per raggiungere un termine misterioso, ma certissimo» (Carlo Maria Martini, Ritrovare se stessi, Piemme 1996).
Dio si prende cura di noi. Gli insistenti richiami di Papa Francesco ci urgono ad essere testimoni nelle nostre comunità, nelle nostre città e paesi. In questi giorni in cui riprendiamo la nostra vita ordinaria vogliamo vivere la testimonianza cristiana nell’ottica della “confessio fidei” che l’8 maggio scorso abbiamo compiuto, portando il Sacro Chiodo negli ambienti della sofferenza, dell’emarginazione, dell’immigrazione, del lavoro, della cultura ed infine in Piazza del Duomo. A significare che il campo della vita cristiana è il mondo.
4. «Paure e speranze di una città»
Ci sta a cuore ogni uomo ed ogni donna della nostra Milano e di tutte le terre ambrosiane. Sappiamo che per imparare ad amare tutti dobbiamo incominciare dall’amare, con fedeltà oggettiva, quanti la Provvidenza ci mette vicini. Per questo la testimonianza di fede non può non implicare il contributo dei cristiani all’edificazione della vita buona nella città degli uomini. Voglio citare in proposito il discorso del Cardinal Carlo Maria Martini al Comune di Milano del 28 giugno 2002, “Paure e speranze di una città”. Vi si trova un’importante ed assai attuale affermazione: «…“Scegliersi l’ospite è un avvilire l’ospitalità” diceva Sant’Ambrogio… Il magnanimo ospitante non teme il diverso, perché è forte della propria identità. Il vero problema è che le nostre città, al di là delle accelerazioni indotte da fatti contingenti, non sono più sicure della propria identità e del proprio ruolo umanizzatore…». Bisogna guardare la città «come opportunità e non solo come difficoltà…».
Ovviamente l’identità solidale cui il Cardinale fa riferimento non è da intendere in modo statico, inevitabilmente difensivo e, alla lunga, incapace di affrontare il nuovo. Essa identifica piuttosto un processo nel quale la tradizione è concepita come un’esperienza in continua crescita. Fondata su saldi presupposti essa è sempre aperta al nuovo, non è invenzione, ma sempre recezione, drammatica ma feconda, della trama di circostanze e di rapporti di cui è intessuta la storia.
Così il richiamo del Cardinale incontra anche oggi l’istanza profonda della città ormai metropolitana e, quindi, delle terre lombarde. E l’urgenza di nuovo umanesimo, cioè ricerca di senso, capace di tenere in unità il molteplice a partire dalle diverse visioni del mondo che anche a Milano ormai si incrociano.
Nella pratica di una familiare convivenza donne e uomini, soggetti personali e sociali sono chiamati ad edificare culture vivibili che non rinuncino però alla cultura. Senza tensione all’unità le culture restano frammenti di un puzzle che non si lascia comporre e non rivela il suo disegno intero.
I cristiani hanno ricevuto, per puro dono, l’anelito all’unità che valorizza la pluriformità. Il Vangelo della Messa di oggi indica il punto di partenza di questa indomita ricerca: la domanda di Erode – «Chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?» (Vangelo, Lc 9,9b). È la domanda fondamentale per ogni uomo che si imbatta, direttamente o indirettamente, con la persona di Gesù.
5. «E cercava di vederlo»
Dice il Vangelo che Erode «cercava di vederlo» (Vangelo, Lc 9,9b). È la stessa espressione che San Luca usa per Zaccheo. Ma la curiositas dei due non è la stessa. Quella di Erode è falsificata, alla radice, dal terrore di perdere il potere. Non è apertura all’altro, ma accanita difesa di sé. A noi la scelta.
Al termine di questa santa Eucaristia ci recheremo a pregare sulla tomba del Cardinal Martini perché il Signore protegga il nostro cammino ecclesiale e civile. Ci sostengano la Santa Vergine, Sant’Ambrogio e San Carlo e il Beato Cardinal Schuster sulla cui tomba pure pregheremo. Amen.
 
Ho letto per la prima volta il testo dell’omelia, domenica sera, sul tardi, prima di andare a letto. L’impressione che ho avuto è stata fortemente negativa, tanto da evitare di commentarla. Sarebbero uscite espressioni non certo edificanti. Ho lasciato passare la notte. Il giorno dopo, di primo mattino, l’ho riletta, e il giudizio non è cambiato.
Che dire? Ancora una volta rimango allibito di fronte a un cardinale, Angelo Scola, che quando predica fa di tutto per dire nulla o quasi quando si tratta di scegliere. E domenica doveva scegliere da che parte stare. Certo, l’ha fatto capire, presentando la figura di Martini come un pretesto per giustificare ciò che lui, Angelo Scola, sta facendo, ovvero l’esatto opposto di ciò che ha fatto Martini. Sbaglio dicendo “ciò che ha fatto”. Martini prima “pensava”, poi eventualmente faceva. Scola non so se pensa: egli tenta di fare qualcosa, e continuamente giustifica ciò che fa, anche le cazzate, come quel mettere in mostra davanti al mondo il chiodo-morso del cavallo di Costantino. Venerato, in un contesto teatrale da far inorridire lo stesso Martini: neppure Tettamanzi ha condiviso una simile oscena banalità. La follia della Croce è un’altra cosa! Una Croce che merita più il silenzio che le parole, e tanto meno le faraoniche sceneggiate meneghine!
Ora vorrei chiedere non solo ai cosiddetti “martiniani!”, ma a tutti coloro che hanno ascoltato in Duomo di Milano le parole di Scola o hanno letto l’omelia, che cosa ne pensino. In tutta sincerità.
Uscite una buona volta dal vostro timoroso silenzio! Perché dovrei essere l’unico a espormi pubblicamente, così da farmi giudicare come se fossi un pulcino nerissimo nel candore di una diocesi che trabocca di un cristianesimo modello per tutta l’umanità?
Un cardinale come Martini (lascio da parte Schuster, anch’esso strapazzato da commemorazioni formali!) meritava di essere ricordato così come ha fatto Scola? Quando non si sa che cosa dire, si citano alcune frasi del personaggio “scomodo”, in un contesto che dice tutto il contrario.
La diocesi milanese sta camminando sulle orme di Martini? Di quale Martini?
Scola e Martini sono su due piani completamente diversi. Non potranno mai congiungersi. Scola, se fosse sincero, dovrebbe dire semplicemente: Martini aveva una sua idea di Chiesa, io ne ho un’altra! Ti stimerei di più, se lo riconoscessi. La stessa parola umanesimo  vi divide. Tu lo intendi in un modo, Martini in un altro, completamente diverso. Lascia stare Martini, e non commemorarlo più.
Concèntrati ora sull’Expo 2015. Sarà per la diocesi un’altra grande sconfitta, perché  la strada evangelica è altrove.
Almeno un po’ di indignazione, cazzo!, ci è rimasta ancora?
 don Giorgio De Capitani

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