caro papa … un settimanale cattolico non ci sta!

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

un settimanale cattolico americano scrive al papa per dirgli chiaramente che sugli abusi sessuali proprio non ci siamo

 

caro papa Francesco, siamo molto toccati, come tutti nel mondo, dal tuo approccio pastorale e umano e dall’attenzione nei confronti di coloro che stanno ai margini della società, ma sul tema degli abusi non ci siamo proprio. Questo il succo di una lunga lettera aperta al papa che lo staff del settimanale cattolico statunitense National Catholic Reporter ha pubblicato a mo’ di editoriale il 6 marzo scorso

 di fronte alle altissime aspettative che il papa ha suscitato nel suo primo anno di pontificato, «per un senso di urgenza estrema» occorre sollevare, afferma il settimanale, la questione degli abusi sessuali

credo anch’io che su questo si possa e si debba fare ancora di più:

verità nascoste

Nell’intervista a Ferruccio De Bortoli, pubblicata sul Corriere della Sera il 5 marzo scorso, il papa afferma che gli abusi sessuali lasciano «ferite profondissime» e che «le statistiche sul fenomeno della violenza sui bambini sono impressionanti, ma mostrano anche con chiarezza che la grande maggioranza degli abusi avviene in ambiente familiare e di vicinato». «La Chiesa cattolica – è ancora papa Francesco a parlare – è forse l’unica istituzione pubblica ad essersi mossa con trasparenza e responsabilità. Nessun altro ha fatto di più. Eppure la Chiesa è la sola ad essere attaccata».

«Queste affermazioni – sostiene il settimanale americano, che ha cominciato a parlare di abusi dal 1985 – contengono una certa verità, ma nascondono anche verità più difficili». L’altra faccia della medaglia è che «nessun’altra istituzione sulla Terra ha avuto i mezzi o la volontà di nascondere questi crimini tanto a lungo. La realtà è che, mentre i casi di abusi su minori sono orrendi, lo scandalo più ampio e più persistente consiste nel numero di vescovi e cardinali che hanno nascosto questo peccato, hanno pagato alle vittime somme enormi di denaro perché tacessero e hanno rifiutato di riferire persino ai loro colleghi vescovi e preti i problemi potenziali derivanti dal trasferimento dei preti problematici». Insomma, se la Chiesa ha messo in atto misure che, sì, probabilmente funzioneranno per prevenire abusi nel futuro, «per decenni le gerarchie della Chiesa hanno negato l’esistenza del problema, hanno mentito sul numero delle persone coinvolte e hanno lottato, a un costo elevatissimo, perché non emergessero le dimensioni del problema». E nessuno di costoro sta pagando. Se oggi la Chiesa sta facendo di più di qualsiasi altra istituzione per proteggere i bambini, scrive l’National Catholic Reporter, «è solo grazie all’enorme pressione pubblica esercitata dalle vittime e da altri nella Chiesa che chiedono verità».

le oscure “periferie” della Chiesa

In questo senso, le persone che stanno ai margini di cui parla il papa sono proprio le vittime degli abusi, persone ferite profondamente nella loro vita e dalla Chiesa, la comunità che avrebbe dovuto offrire loro il massimo bene spirituale. E allora, «di tutte le periferie del mondo che hanno bisogno di attenzione, nessuno ha più bisogno della sua attenzione più urgentemente di coloro le cui vite sono state sconvolte da preti pedofili», scrive la direzione del National Catholic Reporter. Alla luce di questo, «papa Francesco, la esortiamo a incontrare le vittime degli abusi», il prossimo Giovedì Santo, con una celebrazione di riconciliazione dedicata alle vittime degli abusi sessuali perpetrati da membri del clero: «Ascolti le loro storie. Lavi i loro piedi».

un film già visto

Analoghe riflessioni, con un tono molto duro, quelle del canonista statunitense p. Tom Doyle – difensore delle vittime della violanza sessuale e co-autore del primo rapporto sugli abusi nel 1986 – ospitate sullo stesso Ncr il 6 marzo scorso: papa Francesco ha stupito e incoraggiato, ma riguardo alle sfide più gravi e ai problemi più profondi della Chiesa, «non ha fatto quasi nulla». I suoi commenti nell’intervista del Corriere della Sera evidenziano «che sta usando lo stesso copione stanco e irrilevante che i vescovi hanno consumato negli ultimi anni». Lo scandalo degli abusi, scrive Doyle, è di una tale gravità che fa impallidire tutti gli altri, compresi quelli, pure sensazionali, legati alla finanza e al riciclaggio di denaro: questi sono poca cosa di fronte «alla menzogna, alla manipolazione e alla risposta senza pietà alle vittime che hanno contraddistinto la questione degli abusi fin da quando è diventata di pubblico dominio». Adesso, dall’elezione di Francesco «un anno è passato e i suoi passi sono stati minimi»: ha reso l’abuso sessuale un crimine nello Stato del Vaticano, «un passo così insignificante da renderlo quasi comico». Non ha fatto dichiarazioni solenni o informali sul tema e ha fatto ben poco contro i vescovi che hanno coperto i loro preti: se ha laicizzato il vescovo ausiliare mons. Gabino Miranda di Ayacucho, Perù, accusato di pedofilia, «che ne è dei vescovi che hanno continuato a proteggere i colpevoli e a punire vittime innocenti incoraggiando tattiche brutali nei tribunali?», si chiede p. Doyle.

solo fiumi di parole?

Certo, c’è il recente annuncio della prossima creazione di una commissione di esperti sugli abusi, «ma finora non è stato fatto nulla»: «Il papa non ha bisogno di un’altra commissione e di più esperti che elaborino ancora più rapporti con espressioni di condanna ancora più forti. Commissioni del genere affronterebbero lo scandalo degli abusi nella prospettiva delle esigenze della Chiesa istituzionale, con lo scopo primario del recupero della sua credibilità»: «finora è stato sempre così, e continuare a farlo in questo modo è una regressione». Ciò di cui c’è autentica necessità è invece la cura pastorale, il benessere spirituale delle vittime e, alla luce di questo, «l’unica categoria di risposta accettabile è l’azione. Basta coi segreti. Basta con le negazioni. Basta con gli autoelogi e soprattutto con la tolleranza di vescovi che hanno speso milioni di dollari e di euro donati per tutelarsi a spese delle vittime». E riprendendo la frase dell’intervista in cui il papa attribuisce alla Chiesa trasparenza e responsabilità, afferma che si tratta di un copione «che andava abbandonato anni fa»: «Purtroppo, Santo Padre, la Chiesa cattolica non si è mossa con trasparenza e responsabilità, ha fatto esattamente il contrario». E anche il «coraggio» dimostrato da papa Benedetto XVI nell’affrontare la questione, non è altro che un insieme di «misure burocratiche, ma nessuna azione decisiva è stata intrapresa per dare speranza alle vittime».

contro l’Onu solo arroganza

L’ultimo capitolo della riflessione di Doyle riguarda la denuncia da parte delle Nazioni Unite sulla colpevolezza del Vaticano nello scandalo. «Il Vaticano ha reagito con la sua solita arroganza ottusa, accusando il comitato dell’Onu di non capire come funziona la Chiesa e di interferire con sacre questioni dottrinali. Il punto è, invece, che il comitato aveva proprio capito come funziona il sistema vaticano». A far parte della commissione vaticana neocostituita, perciò, dovrebbero essere proprio le vittime e le conclusioni del rapporto del comitato Onu dovrebbe esserne l’oggetto; «non vescovi e cardinali che sono stati parte del problema e che non possono essere parte della soluzione». In conclusione, in questa fase, la cosa migliore che la gerarchia istituzionale può fare è seguire un sempre valido consiglio tattico militare: «O fai da guida, o segui, o ti togli di mezzo».

(a cura di ludovica eugenio di ‘finesettimana’)

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a un anno dall’elezione, un nuovo quadro ecclesiale

abbracio papale

 

mi piace mutuare da M. Politi, vaticanista de ‘il Fattoquotidiano’, un bilancio del primo anno di pontificato di papa Francesco: con molta competenza delinea le  coordinate di una nuova comprensione ecclesiale più evangelica e aperta al mondo secondo le linee indicative del concilio vaticano secondo da troppi anni messo da parte:

Una chiesa più comunitaria, dialogante e femminile

di Marco Politi

in “il Fatto Quotidiano” del 9 marzo 2014

Un anno dopo la sua elezione papa Francesco continua a godere di un consenso altissimo, mentre una torma di avversari silenziosi si muove nell’ombra dietro le quinte. Jorge Mario Bergoglio ha rotto gli equilibri nella Chiesa cattolica. Avesse semplicemente tagliato qualche ufficio della curia e riportato un po’ di efficienza e correttezza nella banca vaticana – come gli chiedeva la base elettorale in conclave – non avrebbe dato fastidio al nucleo conservatore, che si annida negli apparati vaticani e in molte strutture ecclesiastiche sparse per il mondo. Avesse organizzato solo meglio le riunioni dei concistori per dare modo ai cardinali dei cinque continenti di esprimersi puntualmente su alcuni problemi di interesse generale, riprendendo contemporaneamente un contatto regolare con i capi dicastero della curia per fare funzionare meglio la macchina vaticana, tutti i zucchetti porpora e viola sarebbero stati tranquilli. Invece il papa argentino ha messo in moto una rivoluzione. Sta rimodellando la Chiesa cattolica, spogliandola della mitologia e delle pratiche di un papato imperiale in cui il pontefice è sovrano assoluto e vescovi, preti, suore e fedeli sono semplicemente sudditi. Non è questo ciò che indicava il concilio Vaticano II, ma nei fatti nell’ultimo mezzo secolo nessuno aveva messo mano per smontare la struttura assolutista ereditata dal concilio di Trento. L’insistenza, con cui in varie occasioni il papa cita elogiandolo il concetto di “sinodalità” della Chiesa ortodossa, significa che Francesco ha in mente un obiettivo preciso: una Chiesa cattolica più comunitaria in cui il governo centrale funziona con la partecipazione dei vescovi. In altre parole Bergoglio – senza nulla togliere al potere decisionale finale dei pontefici – ritiene essere sano per la Chiesa che il papa romano governi “con” i vescovi dell’orbe cattolico. Contemporaneamente papa Francesco sta reimpostando il rapporto tra Chiesa e società contemporanea. A partire dal dialogo con i non credenti, non più considerati come mutilati (a cui “manca” qualcosa) ma trattati come portatori di valori da rispettare senza ambiguità, perché in ultima analisi ciò che caratterizza ogni essere umano è la posizione che la sua coscienza prende di fronte al problema del bene e del male. Guardando la contemporaneità con occhio sgombro da ideologismi dottrinari, in un anno ha spazzato dal tavolo l’equivoco diktat dei “valori non negoziabili” – confessando di non capire che cosa il motto potesse, al fondo, significare – e ha reimpostato radicalmente secondo una visione pastorale tutta la tematica della relazionalità sessuale e affettiva: dal divorzio (è il primo papa che serenamente usa la parola “secondo matrimonio”), alla contraccezione, all’omosessualità, alle unioni civili, all’esistenza di nuclei di convivenza in cui i bambini si trovano insieme ad adulti dello stesso sesso. Di questo nuovo approccio fa parte la consapevolezza che la Chiesa cattolica non può andare avanti senza fare concretamente spazio alle donne. Francesco, sul piano programmatico, ha fatto un enorme balzo in avanti rispetto alle tradizionali belle parole sul “genio femminile”, che hanno avuto corso per decenni negli ambienti ecclesiastici. Ha detto che le donne nella Chiesa devono stare nei posti dove si “decide” e dove si “esercita autorità”. Sul piano pratico ha sostenuto una vigorosa opera di pulizia nella banca vaticana, ha messo in piedi  procedure per la cooperazione con altri stati (fra cui l’Italia) nel campo delle indagini finanziarie, ha creato un comitato per il contrasto al riciclaggio di denaro sporco e ha istituito un dicastero per controllare la politica degli appalti e degli acquisti in Vaticano: operazioni da sempre fonte di torbidi affari. Sul piano del governo la creazione del “consiglio della corona” di otto cardinali provenienti dai cinque continenti costituisce il rodaggio di un organismo consultivo permanente inedito in tempi moderni. Ma la cosa più interessante è la trasformazione del sinodo dei vescovi in un piccolo concilio, convocato a scadenze regolari, a cui il papa affida il compito di fare proposte pastorali precise. Non sarà lui – e non vuole esserlo – ad affacciarsi alla finestra dicendo, ad esempio, che i divorziati risposati potranno fare la comunione. La rivoluzione di Francesco consiste nel fatto di avere organizzato un sondaggio universale su ciò che pensano i fedeli (sabotato peraltro in moltissime diocesi) e di affidare ai sinodi del 2014 e l 2015 la responsabilità di sciogliere a viso aperto i nodi dell’ossessione di controllo della sessualità, in cui le gerarchie cattoliche si sono impigliate dopo secoli di una esasperata casistica. L’opposizione dei settori più tradizionalisti (o semplicemente “disorientati”) della Chiesa è attiva su ciascuno dei punti, che Francesco ha enucleato i questo anno. Etichette manichee non hanno senso. In curia esistono riformatori e frenatori. E così negli episcopati del mondo. C’è chi è contro la comunione ai divorziati risposati ed è favorevole all’indulgenza per i gay. Chi agita la bandiera delle marce contro l’aborto e chi vede come fumo negli occhi una presenza femminile nelle stanze dei bottoni vaticani. I conservatori temono specialmente la fine dell’assolutismo papale. Su Internet i falchi si sfogano nella maniera più aggressiva,  tacitamente sostenuti da quei prelati costretti ufficialmente all’ossequio verso il pontefice. L’enorme popolarità di Francesco, dentro e fuori la Chiesa – dovuta al fatto che non sembra parlare al “recinto” cattolico, ma all’umanità contemporanea – è lo scudo che ne protegge il cammino riformatore. Ma la battaglia diventerà sempre più aspra nel momento in cui saranno in agenda le specifiche innovazioni. La strategia del papa consiste precisamente nel voler portare alla luce dibattiti e conflitti in quel parlamento rappresentato dai “sinodi”. Così lo scontro sarà visibile a tutti come ai tempi di Giovanni XXIII e Paolo VI durante il concilio.

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Rivoluzione Bergoglio. Il nuovo vangelo di papa Francesco

 

di Marco Politi

in “il Fatto Quotidiano” del 9 marzo 2014

 

non temete la tenerezza

 

La tenerezza non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza! Quando i cristiani si dimenticano della speranza e della tenerezza, diventano una Chiesa fredda, che non sa dove andare e si imbriglia nelle ideologie, negli atteggiamenti mondani. Ho paura quando i cristiani perdono la speranza e la capacità di abbracciare e accarezzare. Fermiamoci davanti al Bambino di Betlemme. Non abbiamo paura che il nostro cuore si commuova! Lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio, abbiamo bisogno delle sue carezze. Le carezze di Dio non fanno ferite: le carezze di Dio ci danno pace e forza. Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia.

 

toccare la carne dei poveri

 

Avvicinarsi alla carne della sofferenza significa aprire il cuore, non temere di avvicinarsi alla carne che ha fame e sete, alla carne malata e ferita, alla carne che “sta scontando la propria colpa”, alla carne che non ha di che vestirsi, alla carne che conosce l’amarezza corrosiva della solitudine nata dal disprezzo. Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non possiamo dormire tranquilli mentre bambini muoiono di fame e anziani non hanno assistenza medica. Se una notte di inverno, qui vicino in via Ottaviano, muore una persona, quella non è notizia. Al contrario, un abbassamento di dieci punti nelle borse, costituisce una tragedia. Così le persone vengono scartate. Fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione.  

peccatori sì corrotti no

 

Dove c’è l’inganno, non c’è lo Spirito di Dio. Questa è la differenza tra peccatore e corrotto. Quello che fa la doppia vita è un corrotto. La doppia vita di un cristiano fa tanto male. (E se dice) “Ma io sono un benefattore della Chiesa! Metto la mano in tasca e do alla Chiesa”. Ma con l’altra mano ruba: allo Stato, ai poveri. É un ingiusto. E questo merita, lo dice Gesù, non lo dico io, che gli mettano al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Un cristiano che si vanta di essere cristiano, ma non fa vita da cristiano, è un corrotto. Quello che pecca e invece vorrebbe non peccare, ma è debole e va dal Signore e chiede perdono, a questo il Signore vuole bene, lo accompagna, è con lui. Sappiamo quanto male fanno alla Chiesa i cristiani corrotti, i preti corrotti. E noi dobbiamo dire: peccatori sì, corrotti no.

 

l’ora dell’incontro con i non credenti

 

È venuto il tempo di un dialogo aperto e senza preconcetti (tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra), che riapra le porte per un serio e fecondo incontro. Questo dialogo non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile. La fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti. La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.

 

le donne nella Chiesa lì dove si decide

 

La Chiesa è femminile. Il ruolo della donna nella Chiesa non deve finire solo come mamma, come lavoratrice, limitata … No! Non si può capire una Chiesa senza donne, ma donne attive nella Chiesa, con il loro profilo che portano avanti. Questo si deve esplicitare meglio. Bisogna fare una profonda teologia della donna. È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Temo la soluzione del “machismo in gonnella”, perché in realtà la donna ha una struttura differente dall’uomo. Le donne stanno ponendo domande profonde che vanno affrontate. La Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile. Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa.

 

il Vaticano non deve essere una corte

 

Il cardinale (che) entra nella Chiesa di Roma, non entra in una corte. Evitiamo tutti abitudini e comportamenti di corte: intrighi, chiacchiere, cordate, favoritismi, preferenze. Il nostro linguaggio sia quello del Vangelo: “Sì, sì. No, no”. Il vescovo (sia) un pastore che conosce per nome le sue pecore, le guida con vicinanza, con tenerezza, con pazienza, manifestando effettivamente la maternità della Chiesa e la misericordia di Dio. L’atteggiamento del vero pastore non è quello del principe o del mero funzionario attento principalmente alla disciplina, alle regole, ai meccanismi organizzativi. I dicasteri romani sono al servizio del Papa e dei vescovi. In alcuni casi, quando non sono bene intesi, corrono il rischio di diventare organismi di censura. I dicasteri romani sono mediatori, non intermediari o gestori.

 

un ospedale sul campo di battaglia

 

Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite… e bisogna cominciare dal basso. La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. Sogno una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Lo Spirito Santo ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. Ma (vogliamo) che non ci dia fastidio. Vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca. Vogliamo addomesticare lo Spirito Santo. E questo non va.

 

chi sono io per giudicare un gay che cerca Dio?

 

Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che non si devono emarginare queste persone per questo, devono essere integrate in società. Ricordo il caso di una bambina molto triste, che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: “La fidanzata di mia madre non mi vuol bene”. La percentuale di ragazzi, che hanno i genitori separati, è elevatissima. Le situazioni che viviamo oggi pongono sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Una donna ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore? La tentazione di risolvere ogni problema con la casistica è un errore.

 

cari giovani, fate casino

 

Giovani, fate chiasso, fate casino, smuovete la Chiesa! Questa civiltà mondiale è andata oltre i limiti perché ha creato un tale culto del dio denaro, che siamo in presenza di una filosofia e di una prassi di esclusione dei due poli della vita che sono le promesse dei popoli. Esclusione degli anziani ed esclusione dei giovani. La percentuale che abbiamo di giovani senza lavoro, senza impiego, è molto alta e abbiamo una generazione che non ha esperienza della dignità guadagnata con il lavoro. Allora i giovani devono emergere, devono farsi valere, devono uscire per lottare per i valori. Per favore non lasciatevi rubare la speranza. Una cosa da non fare è di lasciarsi vincere dal pessimismo e dalla sfiducia. Un giovane senza speranza non è giovane, è invecchiato troppo presto. Se voi non avete speranza, pensate seriamente.

 

preti pastori non preti farfalla

 

Ai sacerdoti chiedo di essere pastori con l’odore delle pecore, pastori in mezzo al proprio gregge. C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa. Gente ferita dalle illusioni del mondo. Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. I preti “asettici” non aiutano la Chiesa, i preti da laboratorio, tutto pulito e tutto bello. Noi siamo unti dallo Spirito e quando un sacerdote si allontana da Gesù Cristo, invece di essere unto finisce per essere untuoso. Quanto male fanno alla Chiesa i preti untuosi! Quelli che mettono la loro forza nelle cose artificiali, nelle vanità, in un atteggiamento e in un linguaggio lezioso. Quante volte si sente dire con dolore: “Ma, questo è un prete-farfalla!”. É bello trovare preti, di cui la gente dice: “Ha un caratteraccio, ma è un prete”.

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ancora sul ‘sesso dei giovanissimi’

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ha fatto discutere l’articolo (ne seguiranno altri) di B. Borromeo sul sesso dei nostri ‘giovanissimi’, con linguaggio indubbiamente forte, esplicito, molto esplicito, ma lontano dalla compiacenza pornolalica, limitandosi di fatto (pur con una certa comprensibile meraviglia! ) a riportare le espressioni che alcuni ragazzi con grande naturalezza e spontaneità formulano, vivendo di fatto tale realtà

ma ha fatto discutere, tale articolo, soprattutto dalla parte di un certo mondo femminista che in modo molto duro si scaglia contro la Borromeo ritenendo il suo articolo ‘moralista’, ‘generalizzante’ , superficiale, banale, inetta, stupida, incapace e quant’altro

rimando all’articolo della  Borromeo con questo link ma mi piace inserire per intero (per comodità del lettore) due di queste analisi critiche (vedi qui sotto) apparsi sul sito ‘aldilàdelbuco’ e ‘ilricciocornoschiattoso’: mi sembrano francamente ingenerose queste critiche nei confronti di un articolo-ricerca che si limita a riportare e fotografare, senza nessun intento generalizzante né giudizi o valutazioni moralistiche:

Per le ragazze sporche (#LessonOne: masturbati con sentimento!)

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Il pezzo della Borromeo sulle adolescenti mi procura un gran fastidio a pelle. Lo devo dire: è moralista. Ed è anche strapieno di stereotipi o comunque ne rafforza un bel po’. Passa l’idea di sedicenni che fanno a gara per trovare un pene e conseguire lo sverginamento come status sociale. Ci piazza dentro anche il pregiudizio secondo cui queste ragazze userebbero la pillola del giorno dopo come soluzione per riparare alle loro leggerezze, aggiunge un po’ di parole sporche che fanno inorridire, se accostate all’adolescente che ha da apparire linda e pudica, e il gioco è fatto. Quello che ne viene fuori, per dirla come direbbe mia figlia, è il tratteggio di una identità mediaticamente spendibile per farci megapuntatone a Porta a Porta. E ha ragione, perché stuzzica pruriti, è anche morboso, e non capisco come e perché un servizio del genere possa essere considerato un buon mezzo per indagare la vita delle adolescenti.

Ci sono alcuni punti che io vorrei rilevare: il diritto alla sessualità consapevole delle ragazze che non viene mai citato, il diritto ad ottenere informazioni certe sulla contraccezione che manca e parlo dell’assenza, spesso, di strutture di riferimento per accedere alla contraccezione. Il racconto che viene fuori dall’articolo non so perciò a quale realtà davvero si riferisce. Cioè: dove stanno tutti questi fantomatici luoghi in cui non esisterebbe ombra di obiezione di coscienza e che mollano un contraccettivo d’emergenza a una ragazza senza, come minimo, imputarle un po’ di decadimento di valori morali?

La ragazza spregiudicata che fa pompini, seghe, ovvero partecipa attivamente ad una vita sessuale tra adolescenti, non mi sconvolge neanche un po’. E’ la maniera di raccontare queste cose che mi sembra giudicante e allora mi viene in mente la sollecitazione, sempre più frequente, che arriva anche da certe donne moraliste, di portare a scuola non l’educazione sessuale ma quella sentimentale, perché è tutto un rieducare soprattutto le fanciulle a coprirsi per salvaguardare la loro dignità e a dare valore al sentimento invece che all’acquisizione di consapevolezza che serve per vivere meglio la sessualità. Nel senso che certe adulte hanno difficoltà a parlarti di sesso e se proprio devono farlo ti diranno di masturbarti con sentimento.

Mi viene in mente anche che entrare nell’intimità di una ragazza basandosi sulla testimonianza di una o due fanciulle, un po’ come farebbe Lucignolo su Mediaset o qualunque altro programma in cerca di sensazionalismo sui disagi dei gggiovani, non è neppure un’inchiesta. E non è per mettere in dubbio quello che dicono ma semplicemente perché la generalizzazione certamente non aiuta. Cosa vogliamo dire? Che queste ragazzine sono un po’ tanto zoccole e che quello che fanno rappresenta appieno il degrado dei valori? La mossa successiva quale sarà? Dire che non hanno una figura autoritaria che le rimette a posto? Che hanno bisogno del papà machista? Che gli serve fare educazione domestica e pensare che domani dovranno essere madri?

E tutto questo ruotare attorno alla faccenda della verginità? Che ce ne frega quando le ragazze perdono la verginità? E’ quello il punto? Che la perdono per gioco, per scommessa, non per amore, o chi lo sa? E abbiamo noi da suggerire quale dovrebbe essere il modo giusto? Quello di conservarsi pure fino al grande amore? Ma poi, anche sull’uso di certi termini, sulle ragazze “indemoniate”, ovvero quelle che la danno facile e che inibirebbero i ragazzini, ma vi sembrano concetti universalizzabili? Io non lo so quant* tra voi ricordano i 16 anni ma di sicuro se a quell’età vuoi scopare non ti metti con un fanciullino che ha meno consapevolezza di te. Li cerchi un po’ più grandi, comunque un minimo consapevoli, e anche questo potrebbe essere uno stereotipo perché comunque non si sa. Di sicuro non ti metti a stuprare la psiche dei ragazzetti che vengono descritti come se fossero Woody Allen con il terrore in corpo all’avvicinamento di una tetta.

In Sicilia, giusto per fare un esempio, non molto tempo fa tre ragazzini di 14 anni, all’incirca, hanno stuprato, picchiato e ucciso una bambina di 13 anni. Ci sono quelli che ti pigliano per il culo, usano una fotografia fatta nell’intimità e poi ti ricattano per ottenere sesso non consensuale le volte dopo. Ci sono quelli che partecipano ad un rapporto consensuale e poi però è lei che deve cambiare scuola invece a loro nulla o quasi viene detto. Chissà come e perché alla fine, insomma, la morale non libera la sessualità, la ricerca del piacere, il gioco erotico, ma ti pone due sole alternative per cui l’adolescente se non è vittima è sempre colpevole. Allora raccontare la sessualità delle ragazze come se fosse, nel 2014, ancora roba del demonio non aiuta. Non aiuta affatto nella individuazione delle complessità.

Il mondo perso delle adolescenti bacate e dalle cosce aperte comunque in questi ultimi tempi ce lo stanno descrivendo in tutte le salse. Le babyzoccole, le babysverginate, che poi a 16 anni non so quanto sei baby, e lo sguardo è paternalista, con un moralismo atroce calato dall’alto che implica e spinge verso soluzioni autoritarie.

Queste ragazze, insomma, sono sbagliate e andrebbero aggiustate. Next Stop sarà la spiegazione su come farlo.

Che dite: gliela raccontiamo noi la sessualità delle adolescenti? Ditemi, se volete: abbattoimuri@grrlz.net .

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Le ragazze di oggi

Mi ricordo perfettamente di quando avevo 15 anni, volevo andare in discoteca la domenica pomeriggio e mio papà non era d’accordo.

La cosa che mi dava più fastidio era la tiritera che iniziava con “Voi ragazzi di oggi…” e proseguiva con una accurata spiegazione sul perché i “ragazzi di ieri” erano molto, ma molto meglio.

Pensavo allora – e a dire il vero lo penso anche oggi – che tutto quel biasimare i giovani nascondesse un po’ di rancorosa nostalgia per la gioventù perduta.

Ho giurato a me stessa che, una volta cresciuta abbastanza da poterlo fare, non avrei mai detto a nessun adolescente “Voi ragazzi di oggi”.

Adesso sono dall’altra parte della barricata, giovane non lo sono più e ho abbastanza anni da potermi permettere di sospirare scuotendo la testa “Ah, i ragazzi di oggi!”, eppure vi garantisco che non provo alcun impulso di questo genere.

Piuttosto mi sgomenta il modo in cui gli adulti di oggi raccontano i ragazzi e vorrei scrivere una bella predica il cui incipit sarebbe: “Voi adulti di oggi…” ma non posso, perché dovrei dire in realtà “Noi adulti di oggi”…

Il Fatto Quotidiano pubblica in data 6 marzo 2014 un’inchiesta dal titolo “Sex and teens”, la cui prima puntata è incentrata sulle ragazze: “Sesso a 14 anni, le adolescenti raccontano: “Se non ti fai sverginare sei una sfigata”.

A corredare l’articolo una bella immagine di culi inquadrati dal basso.

Cosa c’è di meglio di un culo femminile per corredare una qualsiasi notizia? Figuriamoci un’inchiesta! Si parla di ragazzine, si parla di sesso, il culo è quasi obbligatorio.

Anzi, adesso che ci penso, metto il culo pure io, per darmi un tono:

culo

Questa inchiesta comincia con l’intervista ad una studentessa di un liceo milanese, tale Chiara, che vive il dramma (?) di essere casta in un contesto in cui le sue compagne “indemoniate” (usa proprio l’aggettivo indemoniate) non pensano altro che al sesso (è il sesso l’unico argomento che tiene banco, l’unica carta d’accesso per restare nel gruppo).

Oltre ad essere in preda di questa compulsione a fare sesso ovunque e con chiunque, le compagne di Chiara sono anche “cattive” (si, c’è scritto proprio cattive):

“I ragazzi non ci pressano mai per andare a letto. Anzi, sono terrorizzati dal fare figuracce, perché non sanno bene cosa devono fare. Anche perché noi siamo cattive, se uno se la cava male poi rischia che lo roviniamo. Sono le femmine – spiega Chiara – a sentirsi in dovere di sverginarsi in fretta. E poi gli uomini non hanno bisogno di insistere, perché le ragazze sono indemoniate.“

I maschi del liceo di Chiara, invece, sono tutti ingenui ed imbranati (“i maschi non sanno nemmeno da che parte cominciare“), oltre che terrorizzati dalle possibili conseguenze di una prestazione non all’altezza di queste Mata Hari in erba.

Vi ricordo il caso di Carolina Picchio, suicida a soli 14 anni:

Il 12 novembre la ragazza è a una festa. L’ex fidanzato non c’è, ma ci sono i suoi cinque amici. Carolina beve sino a ubriacarsi. I cinque la mettono in mezzo, la raggiungono in bagno dove lei sta vomitando. Le fanno proposte oscene, approfittano del suo stordimento. E filmano tutto con il cellulare. Il video è su Facebook poche ore dopo. E per Carolina è l’inizio del calvario.

Per la morte di Carolina Picchio sono stati indagati 8 ragazzi, colpevoli di aver condiviso le immagini “hot” della ragazza, dando il via al massacro su facebook che l’avrebbe portata a lanciarsi dal balcone di casa sua, nella notte tra il 4 e il 5 gennaio del 2013.

Oppure, nel febbraio di quest’anno, la ragazzina stuprata a Finale Ligure:

I fatti risalgono al 31 gennaio, quando la ragazza ha dato la sua versione agli inquirenti in seguito alla denuncia presentata dalla famiglia. Secondo le testimonianze della vittima e di alcuni suoi compagni, uno dei ragazzi l’avrebbe presa sottobraccio e portata nei bagni dove sarebbe stata costretta a un rapporto orale con lui. Sembra che gli altri tre abbiano assistito alla scena, forse aspettando il loro turno. La ragazzina è stata salvata dall’intervento di un insegnante che passava vicino alle toilette e ha sentito rumori strani. I compagni di scuola dei quattro sostengono che la vittima “ha mentito. Nessuno di loro avrebbe mai fatto una cosa del genere”… La ragazza che ha denunciato la violenza ha abbandonato la scuola. Lo ha detto il suo avvocato, rivelando che i suoi ormai ex compagni la stanno bersagliando di sms minatori.

Parlo di questi casi, perché trovo piuttosto inquietante che questa inchiesta ci proponga un mondo popolato di ragazzine cattive e indemoniate e poveri maschietti in pericolo.

Se è vero che non tutte le femmine sono fragili e indifese (e lo hanno dimostrato i video delle bulle in azione), mi sembra altrettanto poco credibile un quadro della situazione in cui le vittime fragili e indifese sarebbero tutti i maschietti.

La femme fatale dominatrice, crudele e lussuriosa che irretisce l’ometto timido e spaventato che si lascia trascinare dagli eventi; oppure la ragazzina vergine, sensibile e sofferente (“Chiara, capelli biondi alle spalle, occhi castani col mascara nero sulle ciglia, stelline disegnate a penna sul polso, è una delle pochissime ragazze della sua classe a essere ancora vergine… Se sei una persona sensibile, vivi molto male il fatto di non averla ancora data…”) da contrapporre eventualmente al macho forte ed aggressivo; il sesso è una cosa brutta (La prima volta fa stra-male, e anche le volte dopo, comunque, tutto è tranne che piacevole), mentre la castità è la virtù dei buoni e dei sensibili… questi non sono “i ragazzi di oggi”, sono gli stereotipi di sempre!

Non credo che “i ragazzi di oggi” siano degli animaletti in calore privi di spessore che pensano solo a fare sesso: né i maschi, né le femmine. Credo invece che quello che interessa ai “giornalisti di oggi” sia pubblicare storie di ragazzini in calore che fanno sesso come animaletti. Non è possibile che i ragazzi si sentano in dovere di assecondare questo genere di aspettative?

Mi vengono questi dubbi perché una recente indagine di Save the children ci racconta che per un italiano (adulto) su tre è “accettabile” avere rapporti sessuali con un adolescente:

“Nella nostra esperienza di lavoro sul campo coi ragazzi, veniamo spesso a conoscenza di tentativi di interazione da parte di un adulto con un minore, uno dei motivi che ci ha spinto ad indagare in profondità un fenomeno come quello di un’interazione a sfondo sessuale tra giovani e adulti, anche attraverso le nuove tecnologie. Ma non ci aspettavamo un grado di tolleranza così alto dei rapporti da parte l’opinione pubblica che, a nostro avviso, prelude ad un’accettazione di una deresponsabilizzazione e di un disimpegno degli adulti rispetto al loro ruolo nei confronti degli adolescenti” commenta Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children. “Ci rivolgiamo dunque alla società civile, così come a tutti gli attori coinvolti: gli adulti tutti, gli adolescenti, i media, le istituzioni e gli organi di controllo al fine di innescare un dibattito continuativo sul ruolo educativo e sulle responsabilità degli adulti in genere, che siano o meno genitori, nei confronti degli adolescenti”.

Ecco, io direi che gli adulti responsabili di questa inchiesta dovrebbero riflettere su quanto queste storie di ninfette “indemoniate” (alle prese con coetanei incapaci di soddisfarle) sembrino costruite allo scopo di titillare le fantasie di quegli adulti che vanno alla ricerca di incontri sessuali con adolescenti… argomento che consiglierei loro di approfondire.

Il paragrafo meno credibile dell’inchiesta, tuttavia, è questo:

“Non sai quanti lunedì mattina vedo le mie amiche completamente in paranoia. Il sabato erano strafatte e non riescono a ricordarsi se hanno usato il preservativo o no. In più, non sanno chi è il ragazzo con cui hanno scopato, oppure si vergognano a chiamarlo per chiedere. Quindi le più furbe vanno in consultorio e prendono la pillola del giorno dopo – succede ogni due o tre mesi – e le altre aspettano e pregano che il ciclo arrivi”.

Davvero furbe le amiche di Chiara!

Perché, nel caso non ve ne fosti accorti, è in corso una mobilitazione nazionale per contrastare il problema degli obiettori di coscienza, che in Italia rende l’ottenere la pillola del giorno una vera e propria impresa epica, nonostante non si tratti di un farmaco abortivo.

Questa inchiesta ci vuole dare ad intendere che, mentre una marea di donne adulte lamenta enormi difficoltà a reperirla, la pillola del giorno dopo – tanto che l’Aifa (l’Agenzia Italiana del Farmaco) ha dovuto pubblicare nel febbraio di quest’anno un comunicato sulla Gazzetta Ufficiale per definirne le modalità di azione e far cadere “definitivamente l’appiglio che consentiva ai medici di negare la somministrazione della contraccezione di emergenza“, come ha sottolineato il Dott. Emilio Arrisi, Presidente della Smic (Società Medica Italiana per la Contraccezione) – delle liceali ce l’hanno a disposizione come se fosse aspirina.

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p. Maggi e p. Pagola commentano il vangelo

p. Maggi

GESU’ DIGIUNA PER QUARANTA GIORNI NEL DESERTO ED E’ TENTATO

commento di p. Alberto Maggi al vangelo della prima domenica di quaresima (9 marzo 2014)

Mt 4,1-11

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

La prima domenica di quaresima si apre con il vangelo di Matteo che presenta le tentazioni del Cristo. Sono tre tentazioni. Il numero tre significa quello che è completo, quello che è definitivo. Quello che adesso leggeremo non è un episodio dell’esistenza di Gesù, ma l’evangelista vuol farci comprendere che in tutta la vita Gesù fu sottoposto a queste tentazioni, o a queste seduzioni. Ma vediamo cosa ci dice l’evangelista. “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo”. Con il termine “allora”, l’evangelista allaccia questo episodio a quello che lo precede, il battesimo di Gesù, quando Gesù ha ricevuto lo Spirito del Padre, il Padre lo riconosce come suo figlio perché Gesù manifesta il suo desiderio, il suo impegno di renderlo presente come amore per l’umanità. Conseguenza di questo impegno di Gesù, lo Spirito conduce Gesù nel deserto. Il termine deserto” richiama almeno tre cose:  l’esodo, la liberazione del popolo dalla schiavitù egiziana – Durante questo esodo ci fu un periodo di tentazioni e prove alle quali Dio sottopose il suo popolo. – il deserto era anche il luogo dove si radunavano tutti quelli che volevano conquistare il potere, con delle sommosse, con delle rivolte. “Per essere tentato dal diavolo”. Il verbo “tentare” nel vangelo è applicato ai farisei, ai sadducei, ai dottori della legge nella controversia con Gesù, e Gesù, ad ognuna di queste tentazioni, i farisei, i sadducei, i dottori della legge, risponde con citazioni della scrittura, esattamente come l’evangelista ci anticipa qua. Il termine “tentazione” ha una connotazione negativa; in realtà il diavolo – come vedremo – non tenta Gesù affinché compia qualcosa di negativo o azioni peccaminose. Nulla di tutto questo. Il diavolo non si presenta come un nemico, come un rivale di Gesù, ma come un suo alleato che lo vuole aiutare nella realizzazione del suo programma. Pertanto, più che di tentazioni, dovremmo parlare di seduzioni del diavolo. Il diavolo appare soltanto in questo episodio in tutto il vangelo di Matteo. “Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti”, l’evangelista ci tiene a sottolineare che quello di Gesù non è il digiuno religioso che serviva per ottenere il perdono o la benevolenza da parte del Signore. Il digiuno religioso iniziava all’alba e terminava al tramonto; il fatto che l’evangelista sottolinei che ha digiunato quaranta giorni e quaranta notti, significa che non è un digiuno religioso.

E’ una prova di forza come quella che ha fatto Mosè prima di ricevere le tavole dell’alleanza. “Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: “Se tu sei il figlio di Dio»”.  Il tentatore non mette in dubbio la figliolanza divina di Gesù, che nel battesimo è stata confermata dalla voce del Padre che ha detto: “Tu sei mio figlio”, questa espressione del tentatore “Se tu sei il figlio di Dio”, quindi non è un dubbio, ma significa “giacché sei figlio di Dio”, giacché sei figlio di Dio usa le tue capacità a tuo vantaggio. Infatti, «Dì che queste pietre diventino pane»”. La prima tentazione è usare le proprie capacità per il proprio vantaggio. Ma Gesù non userà le proprie capacità a proprio vantaggio, ma per il vantaggio degli altri. Sarà Gesù che si farà lui pane per gli altri. E Gesù risponde: «Sta scritto: ‘Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’ »”. Queste tre tentazioni si rifanno a tre episodi conosciuti nel libro dell’Esodo, tre prove alle quali Dio ha sottoposto il suo popolo nel deserto e questa è la prova della manna. Cosa vuol dire Gesù citando questo testo del libro del Deuteronomio, capitolo 8 versetto 3? Come i padri del deserto, ascoltando la parola, sono stati sfamati con la manna, tanto più il nuovo popolo, la nuova liberazione di Gesù, ascoltando la sua parola, sarà sfamato. Gesù non compirà un gesto prodigioso per sfamare la propria fame, ma la sua parola aiuterà quanti lo accolgono e quanti lo seguono a condividere il pane con gli affamati. “Allora il diavolo lo portò nella città santa”, cioè Gerusalemme, “lo pose sul punto più alto del tempio”. Perché questo particolare? Perché in un apocrifo, il IV Libro di Ezra, si pensava che il messia, che nessuno conosceva, si sarebbe manifestato improvvisamente apparendo nel punto più alto del tempio, nel pinnacolo. Quindi è l’aspettativa del popolo. Allora il diavolo, che si mostra come aiutante di Gesù, dice “Fai quello che il popolo s’attende, fai quello che il popolo desidera, anzi dagli un tocco di più”. E gli dice per la seconda volta: «Se tu sei figlio di Dio»”, cioè “giacché sei figlio di Dio”, “«Gettati giù»”, cioè mostrati come la gente aspetta nel punto più alto del tempio, ma dai un tocco di forza straordinario che faccia comprendere che tu sei veramente il figlio di Dio. “Gettati giù”, e poi il diavolo cita il salmo. In questa contrapposizione tra botta e risposta attraverso citazioni scritturistiche, l’evangelista ci vuol far comprendere che appunto non è un episodio quello che lui sta raccontando, ma in tutta la vita Gesù sarà contrastato dai farisei, dagli scribi, dagli anziani, che penseranno di avere la scrittura dalla loro parte per bloccare o per inibire l’azione di Gesù. E infatti cita il salmo 91, versetti 11-12, «Ai suo angeli darà ordini a tuo riguardo …»”, cioè sfida il Signore e poi fidati di lui. Questa tentazione la ritroveremo poi in bocca ai sommi sacerdoti, agli scribi e agli anziani, al momento della crocifissione di Gesù “ . Se sei il figlio di Dio”, giacché sei il figlio di Dio, “scendi dalla croce”, cioè manifesta un Dio di potere. Gesù rispose: «Sta scritto anche: ‘Non metterai alla prova il Signore  tuo’ »”. Anche questo è un brano della scrittura, il libro del Deuteronomio, capitolo 6 versetto 16, ed è l’episodio di Massa, una delle tentazioni del popolo nel deserto, quando il popolo si chiese “Ma Jahvè è in mezzo a noi, sì o no?” Quindi il popolo dubitò della presenza del Signore. Gesù ha piena fiducia nel Padre e non ha bisogno di invocare interventi esterni straordinari che confermino questa fiducia. “Di nuovo”, ecco qui la traduzione non esatta, perché qui dice, “Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo”, non ce l’ha mai portato, quindi non può essere tradotto con “di nuovo”. Il termine greco va tradotto esattamente con “questa volta”. Questa tentazione è diversa dalle altre, le due precedenti sono stati precedute dall’affermazione “Giacché sei il figlio di Dio”, se sei il figlio di Dio, quindi in conseguenza delle capacità e della potenza per essere figlio di Dio, per questa il diavolo non mette in ballo il fatto della figliolanza divina perché è una tentazione che è adatta ad ogni uomo. Allora “Questa volta il diavolo lo portò sopra un monte altissimo”. Perché il monte altissimo? Nell’antichità il monte era il luogo della residenza degli dei e indicava la condizione divina. Quindi il diavolo offre a Gesù di possedere la condizione divina. Va ricordato che, a quell’epoca, tutti quelli che detenevano un potere, avevano la condizione divina. Il faraone era un Dio, l’imperatore era figlio di Dio. Quindi tutti coloro che detenevano il potere avevano la condizione divina e il diavolo offre a Gesù la condizione divina. Come? “Gli mostrò tutti i regni e la loro gloria”, cioè la loro ricchezza, “e gli disse: «Tutte queste cose ti darò se,  gettandoti ai miei piedi, mi adorerai »”.  Cioè il diavolo propone a Gesù la condizione divina adorando  potere per dominare il mondo. “ Allora Gesù gli rispose: «Vattene satana!»Lo chiama satana, il nome ebraico. L’evangelista vuol far comprendere che queste sono le tentazioni che a Gesù vengono dal suo popolo. “«Sta scritto infatti: ‘Il Signore Dio tuo adorerai: a lui solo renderai culto’»”. Anche questa volta è una citazione della scrittura, dal libro del Deuteronomio, capitolo 6 versetto 13, dove il Signore mette in guardia il suo popolo dal pericolo dell’idolatria entrando nella terra di Cana. Per Gesù il potere è idolatria. Gesù è figlio di un Dio amore che si esprime attraverso il servizio, mentre il diavolo è immagine del potere che domina le persone. “ Allora il diavolo lo lasciò ed ecco gli angeli gli si avvicinarono e lo servivano”. Gesù ottiene la protezione degli angeli rifiutando la tentazione. Queste tentazioni di Gesù, come abbiamo detto all’inizio, non sono un episodio isolato della sua esistenza, ma l’evangelista ci anticipa tutto quello che accadrà per tutta la vita di Gesù, continuamente sedotto dal prendere il potere, perché era questo che il popolo si aspettava. E, quando il popolo s’accorgerà che Gesù non è un messia di potere, lo rifiuterà e lo ucciderà.

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LA NOSTRA GRANDE TENTAZIONE

commento al vangelo di p. Pagola
La scena de “le tentazioni di Gesù” è un racconto che non dobbiamo interpretare superficialmente. Le tentazioni che ci vengono descritte non sono propriamente di ordine morale. Il racconto sta facendoci notare che possiamo rovinare la nostra vita, se ci allontaniamo dalla strada che segue Gesù.
La prima tentazione è di importanza decisiva, perché può pervertire e corrompere la nostra vita alla radice. Apparentemente, a Gesù gli viene offerto qualcosa di innocuo e buono: mettere a Dio al servizio della sua fame. “Se sei Figlio di Dio, comanda che queste pietre si trasformino in pani.”
Tuttavia, Gesù reagisce in maniera rapida e sorprendente: “Non solo di pane vive l’uomo, bensì di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. non farà del suo proprio pane una cosa assoluta. Non metterà a Dio al servizio del suo proprio interesse, dimenticando il progetto del Padre. Cercherà sempre in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia. In ogni momento ascolterà la sua Parola.   Le nostre necessità non rimangono soddisfatte solo quando ci siamo  assicurati  il nostro pane. L’essere umano necessita ed anela molto di più, perfino, il riscattare dalla fame e dalla miseria quelli che non hanno pane. Noi dobbiamo ascoltare Dio, nostro Padre, e   svegliare nella nostra coscienza la fame di giustizia, la compassione e la solidarietà.   La nostra grande tentazione è oggi trasformare tutto in pane. Ridurre sempre di più l’orizzonte della nostra vita alla mera soddisfazione dei nostri desideri; ossessionarci sempre per un benessere maggiore o attaccarci al consumismo indiscriminato e senza limiti, fare di questo l’ideale quasi unico delle nostre vite.   Ci sbagliamo se pensiamo che tutto ciò è la strada da seguire verso il progresso e verso la liberazione. Non stiamo assistendo altro che ad una società che trascina le persone verso il consumismo senza limiti e verso l’auto-soddisfazione, e tutto ciò non fa altro che generare vuoto e insensibilità nelle persone, egoismo, assenza di solidarietà e irresponsabilità nella convivenza.
Perché tremiamo d’innanzi al fatto che continua ad aumentare in maniera tragica il numero di persone che si suicidano ogni giorno?   Perché seguiamo rinchiusi nel nostro falso benessere, alzando sempre di più barriere inumane affinché gli affamati non entrino nei nostri paesi, non arrivino fino alle nostre residenze né suonino alla nostra porta?   La chiamata di Gesù può aiutarci a prendere più coscienza che non solo di benessere vive l’uomo. L’essere umano deve anche coltivare lo spirito, conoscere l’amore e l’amicizia, sviluppare la solidarietà con chi soffre, ascoltare la propria coscienza con responsabilità, aprirsi al Mistero ultimo della vita con speranza.   Non solo di benessere vive l’uomo.
José Antonio Pagola
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il sesso dei nostri ‘giovanissimi’

TEEN SPIRIT – SESSO A 14 ANNI: TRA LE PISCHELLE È UNA CORSA A CHI PERDE PRIMA LA VERGINITA’: ‘ALL’INIZIO DELLA QUARTA GINNASIO SI FA LA CONTA, SE NON TI FAI ‘STAPPARE’ ENTRO L’ANNO, VIENI EMARGINATA’ – ‘LO FAI PER LIBERARTI DI UN PESO: I RAGAZZI DURANO POCHISSIMO’
Le abitudine sessuali delle ragazzine: ‘Scopare è come fumare una sigaretta: si fa per diventare grandi, il sesso è l’unica carta d’accesso per restare nel gruppo. Altrimenti sei una sfigata’ – Il panico del lunedì mattina quando molte non si ricordano neanche il ragazzo con cui hanno scopato e se hanno usato o meno i contraccettivi…
Beatrice Borromeo per ‘Il Fatto Quotidiano’

grazie a Beatrice Borromeo per questo bel servizio, molto molto crudo, diretto, esplicito, ma questa è la realtà da osservare ad occhi aperti e con cui confrontarsi

sembra, questa realtà raccontata, non propria di casi estremi ma la normalità

B. Borromeo ha deciso, per ‘il Fattoquotidiano’, di viaggiare per le scuole italiane  e di far raccontare ai ragazzi, conservando il loro linguaggio esplicito, esperienze e opinioni

ne esce un quadro dove il sesso viene vissuto come un peso da cui liberarsi, il piacere non è contemplato e di amore proprio non si parla:

 

SESSO TEENAGER

La partita di pallavolo è appena cominciata e seduti per terra, in palestra, ci sono un po’ di ragazzi che usano “l’ora buca” per fare un tifo svogliato. C’è anche la professoressa di educazione fisica, che annota con una bic blu le assenze sul registro. A interrompere tutti è una ragazza di quinta ginnasio, che invade il campo: “Finalmente mi hanno stappata!”, urla, correndo attorno alla rete con le braccia alzate. “Sì, sì: mi hanno sturata ieri sera”. È settembre 2013.

E Margherita (nome di fantasia) celebra così, davanti a compagni di scuola più e meno intimi, la perdita della sua verginità. A raccontare l’episodio è Chiara, che studia nello stesso liceo milanese e che quella mattina giocava nel ruolo di alzatrice. Reazioni? “Non molte. La prof l’ha guardata male, la maggioranza di noi l’ha ignorata e qualcuno le ha fatto i complimenti”.

In fondo, Margherita ci ha messo un anno intero per riuscire nella missione. Chiara spiega come funziona: “All’inizio della quarta ginnasio si fa la conta. Di solito, solo tre o quattro ragazze arrivano al liceo già sverginate. La regola è che bisogna liberarsene entro l’anno successivo.

SESSO TEENAGER

Per questo, a fine estate, ci sono un sacco di noi che vanno col primo che passa, giusto per non sforare i tempi. Perché a settembre si fa il bilancio”. Chiara, capelli biondi alle spalle, occhi castani col mascara nero sulle ciglia, stelline disegnate a penna sul polso, è una delle pochissime ragazze della sua classe a essere ancora vergine. “Se sei una persona sensibile, vivi molto male il fatto di non averla ancora data. È vero: se non sei carina, se non segui la moda, vieni un po’ emarginata. Ma è il sesso l’unico argomento che tiene banco, l’unica carta d’accesso per restare nel gruppo. O sai quello di cui parli, o ti escludono per davvero. Ti trattano come una bambina, ti lasciano fuori dal gruppo, ti prendono sempre per il culo, come fossi una sfigata”.

I PRELIMINARI

Le regole sono semplici e, anche se non valgono per tutti, finisce che tutti le rispettano. Ai preliminari, spiega Chiara, non si dà alcun peso: “Se esci con un ragazzo per un paio di settimane, è normale fargli almeno una sega. Sì, lo racconti in classe, ma non è una gran notizia: nessuno si stupisce”. Non si diventa popolari nemmeno per il sesso orale: “Le mie amiche lo fanno spesso nei bagni delle discoteche, il sabato sera. Poi ci ridono su: ‘Tanto ero ubriaca’, dicono.

Anche perché, quando si esce, si parte subito con i vodka-pesca o gli shot di rum e pera, quindi non ci vuole molto per perdere il controllo. L’altra scusa è che si erano fumate tre o quattro canne, che erano fatte. Ma nessuna si pente, e pochissime si ricordano anche solo il nome del ragazzo a cui hanno fatto un pompino”. Se si incontrano il weekend dopo, spiega, i due nemmeno si salutano.

SESSO TEENAGER

SESSO DEI TEENAGER

E ancora, a scuola l’argomento non esalta un granché: “Una di quinta ginnasio ha avuto un rapporto orale a tre prima di perdere la verginità, per prepararsi, e il racconto non ha creato grande scalpore”. Poi, i ragazzi sono gli unici a beneficiare dei preliminari: “Su di noi? Figurati, i maschi non sanno nemmeno da che parte cominciare. Non ho mai sentito parlare di sesso orale su una mia amica. Magari se esci con quelli più grandi, ma dubito”.

IL SESSO

“Scopare è come fumare una sigaretta”. In che senso? “È una piccola trasgressione, nulla di più. Si fa per diventare grandi. Non che gli altri ti vedano poi diversamente, ma tu stessa proietti un’immagine più matura e di conseguenza entri nel gruppo più figo”.

All’inizio c’è la spinta delle amiche: “Per chi te la stai tenendo? Guarda che se non la molli ti molla lui… E poi a qualcuno la dovrai pur dare, o no?”. Chiara è molto carina, ha ai piedi stivaletti di cuoio, e addosso una magliettina di Zara e una felpa blu col cappuccio. Potrebbe avere 14 anni come 18. Parla di sesso come se, appunto, l’avesse studiato meticolosamente a scuola, pur non avendolo ancora mai provato. E descrive un mondo capovolto: “I ragazzi non ci pressano mai per andare a letto. Anzi, sono terrorizzati dal fare figuracce, perché non sanno bene cosa devono fare. Anche perché noi siamo cattive, se uno se la cava male poi rischia che lo roviniamo. Sono le femmine – spiega Chiara – a sentirsi in dovere di sverginarsi in fretta. E poi gli uomini non hanno bisogno di insistere, perché le ragazze sono indemoniate”.

SESSO TEENAGER

 

Quando decidi di farlo, lo annunci alle amiche: “Questo weekend ho deciso che scopo”. Poi c’è l’immancabile resoconto del lunedì: “Di solito dicono ‘mi hanno sfondata’, oppure ‘mi hanno aperta’”. Da quel momento in poi perdi l’inibizione: “Una volta che l’hai data, la tua vita sessuale diventa super attiva. Se sei a casa di un’amica e c’è un tipo carino, non è che te la meni. Gliela dai senza fare troppe storie. Il ragazzo neanche se l’aspetta, così lo stupisci”.

L’ORGASMO

Il sesso e il piacere non hanno proprio nulla a che spartire, nelle storie che raccontano Chiara e le sue amiche. L’obiettivo non è quello, e i ragazzi sono troppo inesperti. “A nessuna è mai piaciuto scopare. La prima volta fa stra-male, e anche le volte dopo, comunque, tutto è tranne che piacevole. Ripeto: non lo fai per venire, ma per liberarti di un peso. È una questione d’immagine, di status. Anche perché i ragazzi durano pochissimo”. Per quelle che decidono di affidarsi al primo fidanzato, il momento prescelto è quello di una gita fuori città: “Stai con uno da un paio di settimane e ti invita a passare il weekend da qualche parte? Gliela dai. Matematico”.

PANICO DEL LUNEDI’

Le precauzioni più usate, racconta Chiara, sono il preservativo e la pillola anticoncezionale. Chi prende quest’ultima, di solito, ha già condiviso la propria vita sessuale con i genitori. E le altre? “Non sai quanti lunedì mattina vedo le mie amiche completamente in paranoia. Il sabato erano strafatte e non riescono a ricordarsi se hanno usato il preservativo o no. In più, non sanno chi è il ragazzo con cui hanno scopato, oppure si vergognano a chiamarlo per chiedere. Quindi le più furbe vanno in consultorio e prendono la pillola del giorno dopo – succede ogni due o tre mesi – e le altre aspettano e pregano che il ciclo arrivi”.

 

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seconda parte dell’inchiesta di Beatrice Borromeo sul sesso praticato dai nostri ‘giovanissimi’ : la versione dei maschi (dopo quella precedente delle femmine: cfr. anche relative critiche)

Sesso a 14 anni, un adolescente: “Se vai male a letto ti rovinano subito via sms”

Inchiesta ‘Sex and teens’ 

Dopo Chiara parla il 15enne Mattia che evoca l’amore: “La mia prima volta? Vorrei fosse con una ragazza di cui sono innamorato. Non con una che mi salta addosso e mi ribalta. I preliminari non sappiamo farli e abbiamo paura: veniamo giudicati di continuo”

di Beatrice Borromeo
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La delusione, per Mattia, è arrivata durante una festa di Capodanno, nella casa di un amico lasciata libera dai genitori, partiti per la montagna. I preparativi per festeggiare il 2014, in zona Navigli, a Milano, promettevano bene: c’erano birre, vodka, canne, potenti casse per pompare la musica e una trentina di amici tra i 14 e i 17 anni. Erano quasi tutti compagni di scuola, in un liceo artistico. E Mattia sbirciava per vedere se c’era anche la sua ex ragazza, con cui era uscito per qualche settimana, e che l’aveva da poco lasciato con un sms. Dopo la prima puntata della nostra inchiesta sulle abitudini sessuali degli adolescenti, che si focalizzava sull’esperienza di un gruppo di studentesse di un liceo classico milanese (leggi)

Il Fatto Quotidiano esplora ora un altro punto di vista. Quello di un 15enne – e dei suoi amici – che raccontano le difficoltà nel gestire relazioni basate sempre meno sui sentimenti, e lo spaesamento provocato dall’intraprendenza, talvolta aggressiva, delle ragazze
CHI VUOLE UN POMPINO?
Passa quasi un’ora prima che Mattia incontri la sua ex. “L’ho vista ubriaca, che girava e chiedeva ad alta voce: ‘Chi vuole un pompino?’. È stata una cosa orribile, tristissima”, racconta lui. La parte peggiore però è arrivata poco dopo: “C’erano quattro ragazzi e due ragazze, tutti di 16 anni, che facevano le loro cose al piano di sopra. Toc. Toc. Toc… Il letto sbatteva contro il muro, era davvero fastidioso. Abbiamo alzato la musica al massimo per non sentire. Poi la mia ex, che ha solo 14 anni, si è aggiunta a loro. A quel punto i miei amici mi hanno portato via, ero disgustato”. Non è stato solo l’alcol, secondo Mattia, a spingere l’ex nell’orgia: “L’ha fatto solo per farsi notare, perché sapeva che c’erano i ragazzi più grandi. Me l’aspettavo, perché queste ragazze aprono le gambe come niente – dice mordendosi il labbro – ma ci sono rimasto comunque malissimo”.
LA DONNA IDEALE

Mentre racconta la sua storia, diventa chiaro che Mattia non è il tipico liceale: beve poco, non fuma, è ancora vergine e soprattutto “mi fanno schifo quelli che escono con una tipa perché ha un bel culo. Io vorrei solo che fosse dolce, possibilmente simpatica. Che le piacesse la mia stessa musica, metal soft, che condividesse i miei ideali. Poi, certo, dev’essere carina, però non è quella la priorità”. Ma guardando questo ragazzo di 15 anni, coi capelli lunghi, la giacca di pelle nera e un viso che ricorda un giovane Johnny Depp, tutto viene in mente tranne che non abbia successo con le ragazze. “Infatti loro ci provano, ma io non voglio che la mia prima volta sia con una che mi salta addosso e mi ribalta. Voglio che sia speciale, voglio essere innamorato, perché per me fare l’amore ha un significato. Altrimenti avrei già perso la verginità. E ho molti amici che la pensano come me”. Quando parla delle ragazze Mattia non vuole generalizzare: “Non sono tutte assatanate. Il problema è che più fanno cose elaborate a letto, più scalano la piramide sociale. Per questo passano la giornata a parlare di sesso mentre noi pensiamo alla musica, ai videogame e, certo, anche alle tipe, ma solo se ci interessano davvero”.

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LE REGOLE DEL SUCCESSO

“Sappiamo tutti come funziona: se vuoi che le ragazze ci provino devi essere un truzzetto”. Che Mattia, sorseggiando un succo di pera (“il caffè non mi piace”) descrive così: pantaloni a vita molto bassa, coi boxer che s’intravedono. Capello corto, o testa rasata. Cappellino da rapper. Atteggiamento arrogante. “Se sei così – che poi è tutto quello che io odio – allora la tipa ce l’hai a disposizione. Ci fai quel che vuoi”. Ma anche i truzzetti, quando c’è da scegliere una fidanzata, sono perplessi: “Alla fine (e gli amici annuiscono, ndr) cerchiamo tutti una persona affidabile. Non una che cambia idea ogni settimana, che ti fa le corna, che non ha nessun autocontrollo e va a letto con altri quattro tizi. Non c’è niente di sexy in questo. Quelle come la mia ex infatti le odiamo tutti perché sono davvero eccessive”.

IL TERRORE

Avere a che fare con ragazze così aggressive è una costante fonte d’ansia. Per vari motivi: “Intanto non sappiamo bene cosa dobbiamo fare. Metti che ci andiamo a letto e va male: diventa molto imbarazzante”. Soprattutto perché, conferma Mattia, “non fai a tempo a uscire dalla stanza che lei sta già messaggiando con le sue amiche per mandare un resoconto completo di tutto quello che abbiamo appena fatto. Descrivono ogni dettaglio e poi ti danno il voto, dicono se sei stato bravo o no. È davvero una sfida avere a che fare con queste cose”. È più sicuro, spiega, sperimentare con chi conosci bene: “Se l’hai appena incontrata va a spifferare tutto, ma proprio tutto, di sicuro. Il ragazzo che non riesce, o non viene, o non è particolarmente dotato vive poi nel terrore”.

I PRELIMINARI

La versione delle ragazze che Il Fatto Quotidiano ha incontrato è che i preliminari contano talmente poco che, anche a scuola, parlarne non ti mette al centro dell’attenzione. Mattia svela qualche dettaglio in più: “Noi a loro non facciamo niente. Sono loro ad andare ‘di bocca e di mano’. Mi pare ovvio: loro ci osservano, giudicano ogni nostra mossa e movimento. E noi, per esempio il sesso orale, non sappiamo esattamente come farlo. Quindi non ce la sentiamo. Insomma, è un rischio inutile”. Mattia spiega il sesso come se fosse uno tra i pochi ad averne colto l’importanza. Racconta l’ansia che vivono i suoi amici prima di perdere la verginità, e il panico che li accompagna dopo, preoccupati dal finire intrappolati nella casella sbagliata, quella dello “sfigato”, “imbranato”, “effeminato”, di quello che “ce l’ha piccolo” o che “non ci sa fare”. Ci tiene a chiarire che per lui la differenza tra “scopare e fare l’amore” c’è eccome. E che anche tutto quello che accompagna e precede il sesso ha, per lui, un peso.

FIORI E SOLLIEVO

Ci sono due momenti in cui Mattia alza la voce. Quando parla della sua ex (“come fai passarti quattro ragazzi uno dopo l’altro? E non intendo limonare, ma andare di bocca”) e quando racconta un episodio successo il giorno prima, a scuola. “La mia compagna di banco aveva il sorriso stampato in faccia. Le ho chiesto perché fosse così felice e mi ha detto che le è venuto il ciclo, che per fortuna non è rimasta incinta”. Ma non è il rischio di una gravidanza indesiderata a farlo innervosire: “Quello che davvero non concepisco è che si sia sverginata con un tipo, che tra l’altro ha davvero la faccia da stronzo, con cui è uscita per una settimana, che l’ha mollata per un’altra e poi è tornato da lei. E la sera stessa in cui si sono rimessi insieme lei c’è andata a letto, senza precauzioni e senza il minimo rispetto per se stessa”. E per l’8 marzo, dice Mattia, non avrebbe senso regalare le mimose alle sue amiche: “I fiori non li vogliono. Le uniche ad apprezzarli sono le prof”.

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il senso del mercoledì delle ceneri

poveri assoluti

 

Con l’uomo della strada

di Théophile

in “www.baptises.fr” del 4 marzo 2014

5 marzo 2014: mercoledì delle ceneri

Ricordiamo la frase di Nietzsche: “I grandi problemi sono nella strada”. Per rendersene conto non è necessario frequentare piazza Tahrir, piazza Maidan o piazza Taksim, basta aprire gli occhi sul mondo come appare quando apriamo la porta di casa, tanto su una tranquilla via di paese come, più spesso, sul precipitoso ininterrotto traffico urbano. I problemi sono dove sono le persone, con le loro nascite e le loro morti, i loro sogni e le loro preoccupazioni, i loro progetti e le loro inquietudini. A Gesù è capitato di portare i suoi discepoli in disparte per meglio incidere nella loro memoria certi aspetti del suo insegnamento e prepararli a ciò che stava per avvenire. Lui stesso si è concesso, come necessari, dei tempi di silenzio, dei giorni di ritiro, dei momenti di preghiera solitaria e silenziosa. Ma, nel quotidiano, lo incrociamo per strada: in una via o sui percorsi da un paese all’altro. È lì che incontra degli uomini coperti di lebbra, dei paralitici, un sordo, un folle, uno zoppo, una donna che va ad attingere acqua a mezzogiorno, una madre che seppellisce il suo unico figlio, un piccolo pubblicano che si arrampica sugli alberi per vederlo meglio mentre passa, un giovane che rinuncia a seguirlo perché è ancora troppo ricco: innumerevoli sguardi incrociati, mani strette, case visitate, terre calcate. Gesù non è rimasto nella sua camera, chino sui rotoli della Torah. È sceso in strada, in mezzo alla folla che un giorno lo acclama, un giorno lo deride, per lo più gli concede un rapido ascolto curioso e resta poi indifferente. Forse anche noi dovremmo scendere in strada con gli occhi più aperti, per vivere con lui intensamente il percorso che ci conduce alla Pasqua. Per aprirci ai fratelli – richiamo alla condivisione –, per dominare i nostri desideri – suggestione del digiuno –, per instaurare un legame più profondo con Dio – invito alla preghiera -, non c’è bisogno di altra chiesa che non sia questo mondo in cui viviamo. Nella strada ci sono i grandi problemi, ma anche le grandi chiamate e le grandi conversioni. Le preoccupazioni che condivideremo con i nostri fratelli e le nostre sorelle ci ricorderanno con ben maggiore forza di qualsiasi imposizione di ceneri che siamo polvere, in attesa di resurrezione. Questo mercoledì forse non avrete tempo di andare in chiesa come devoti fedeli per compiere il rito tradizionale di inizio Quaresima, ma andrete certamente per strada con tutte le vostre preoccupazioni… e quelle del mondo. Allora, aprite gli occhi, e soprattutto il cuore, per avanzare con Gesù, con passo più leggero, poiché lui ha saputo trasformare la polvere delle nostre strade in speranza di Resurrezione.

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maggi

QUARESIMA Istruzioni d’uso Alberto MAGGI
Con il mercoledì delle ceneri inizia la quaresima. Per comprendere il significato di questo periodo occorre esaminare la diversa liturgia pre e post-conciliare. Prima della riforma liturgica, l’imposizione delle ceneri era accompagnata dalle parole “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, secondo la maledizione del Signore all’uomo peccatore c…ontenuta nel Libro della Genesi (Gen 3,19). E con questo lugubre monito iniziava un periodo caratterizzato dalle penitenze, dai sacrifici e dalle mortificazioni. Oggi l’imposizione delle ceneri è accompagnata dall’invito evangelico “Convertiti e credi al vangelo”, secondo le prime parole pronunciate da Gesù nel Vangelo di Marco (Mc 1,15). Un invito al cambiamento di vita, orientando la propria esistenza al bene dell’altro e a dare adesione alla buona notizia di Gesù. L’uomo non è polvere e non tornerà polvere, ma è figlio di Dio, e per questo ha una vita di una qualità tale che è eterna, cioè indistruttibile, e per questo capace di superare la morte.
In queste due diverse impostazioni teologiche sta il significato della quaresima. Mai Gesù nel suo insegnamento a invitato a fare penitenza, a mortificarsi, e tanto meno a fare sacrifici. Anzi, ha detto il contrario: “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 12,7). I sacrifici centrano l’uomo su se stesso, sulla propria perfezione spirituale, la misericordia orienta l’uomo al bene del fratello. Sacrifici, penitenze, mortificazioni infatti non fanno che centrare l’uomo su se stesso, e nulla può essere più pericoloso e letale di questo atteggiamento. Paolo di Tarso, che in quanto fanatico fariseo era un convinto assertore di queste pratiche, una volta conosciuto Gesù, arriverà a scrivere nella Lettera ai Colossesi: “Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni e sabati… Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché come se viveste ancora nel mondo, lasciarvi imporre precetti quali: Non prendere, non gustare, non toccare? Sono tutte cose destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti umani,che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (Col 2,16.20-23). Paolo aveva compreso molto bene che queste pratiche centrano l’uomo su se stesso, nel miraggio di una impossibile perfezione spirituale, tanto lontana e irraggiungibile quantogrande è la propria ambizione. Per questo Gesù invita invece al dono di sé, immediato e concreto, tanto quanto è grande la propria capacità di amare.
La quaresima non è orientata al venerdì santo, ma alla Pasqua di risurrezione. Per questo non è tempo di mortificazioni, ma di vivificazioni.
Si tratta di scoprire forme nuove, originali, inedite, di perdono, di generosità e di servizio, che innalzano la qualità del proprio amore per metterlo in sintonia con quello del Vivente, e così sperimentare la Pasqua come pienezza della vita del Cristo e propria. Per questo oggi c’è l’imposizione delle ceneri. Pratica che si rifà all’uso agricolo dei contadini che conservavano tutto l’inverno le ceneri del camino, per poi,verso la fine dell’inverno, spargerle sul terreno, come fattore vitalizzante per dare nuova energia alla terra. Ed è questo il significato delle ceneri: l’accoglienza della buona notizia di Gesù (“Convertiti e credi al vangelo”), è l’elemento vitale che vivifica la nostra esistenza, fa scoprire forme nuove originali di amore, e fa fiorire tutte quelle capacità di dono che sono latenti e che attendevano solo il momento propizio per emergere.
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un anno di pontificato raccontato da papa Francesco al Corriere della sera

Bergoglio e il primo anno da Papa: «Grande attenzione ai divorziati. Sulle unioni civili valutare i casi

l’intervista presa dal sito on line del ‘C0rriere della sera’

«Benedetto XVI non è una statua Partecipa alla vita della Chiesa»

 

di  Ferruccio de  Bortoli

Papa Francesco (LaPresse)
papa Francesco

Un anno è trascorso da quel semplice «buonasera» che commosse il mondo. L’arco di dodici mesi così intensi — non solo per la vita della Chiesa — fatica a contenere la grande messe di novità e i tanti segni profondi dell’innovazione pastorale di Francesco. Siamo in una saletta di Santa Marta. Una sola finestra dà su un piccolo cortile interno che schiude un minuscolo angolo di cielo azzurro. La giornata è bellissima, primaverile, tiepida. Il Papa sbuca all’improvviso, quasi di scatto, da una porta e ha un viso disteso, sorridente. Guarda divertito i troppi registratori che l’ansia senile di un giornalista ha posto su un tavolino. «Funzionano? Sì? Bene». Il bilancio di un anno? No, i bilanci non gli piacciono. «Li faccio solo ogni quindici giorni, con il mio confessore».

Lei, Santo Padre, ogni tanto telefona a chi le chiede aiuto. E qualche volta non le credono.

«Sì, è capitato. Quando uno chiama è perché ha voglia di parlare, una domanda da fare, un consiglio da chiedere. Da prete a Buenos Aires era più semplice. E per me resta un’abitudine. Un servizio. Lo sento dentro. Certo, ora non è tanto facile farlo vista la quantità di gente che mi scrive».

E c’è un contatto, un incontro che ricorda con particolare affetto?

«Una signora vedova, di ottant’anni, che aveva perso il figlio. Mi scrisse. E adesso le faccio una chiamatina ogni mese. Lei è felice. Io faccio il prete. Mi piace».

I rapporti con il suo predecessore. Ha mai chiesto qualche consiglio a Benedetto XVI?

«Sì. Il Papa emerito non è una statua in un museo. È una istituzione. Non eravamo abituati. Sessanta o settant’anni fa, il vescovo emerito non esisteva. Venne dopo il Concilio. Oggi è un’istituzione. La stessa cosa deve accadere per il Papa emerito. Benedetto è il primo e forse ce ne saranno altri. Non lo sappiamo. Lui è discreto, umile, non vuole disturbare. Ne abbiamo parlato e abbiamo deciso insieme che sarebbe stato meglio che vedesse gente, uscisse e partecipasse alla vita della Chiesa. Una volta è venuto qui per la benedizione della statua di San Michele Arcangelo, poi a pranzo a Santa Marta e, dopo Natale, gli ho rivolto l’invito a partecipare al Concistoro e lui ha accettato. La sua saggezza è un dono di Dio. Qualcuno avrebbe voluto che si ritirasse in una abbazia benedettina lontano dal Vaticano. Io ho pensato ai nonni che con la loro sapienza, i loro consigli danno forza alla famiglia e non meritano di finire in una casa di riposo».

 

Francesco: un anno da papa

 Il suo modo di governare la Chiesa a noi è sembrato questo: lei ascolta tutti e decide da solo. Un po’ come il generale dei gesuiti. Il Papa è un uomo solo?

«Sì e no. Capisco quello che vuol dirmi. Il Papa non è solo nel suo lavoro perché è accompagnato e consigliato da tanti. E sarebbe un uomo solo se decidesse senza sentire o facendo finta di sentire. Però c’è un momento, quando si tratta di decidere, di mettere una firma, nel quale è solo con il suo senso di responsabilità».

Lei ha innovato, criticato alcuni atteggiamenti del clero, scosso la Curia. Con qualche resistenza, qualche opposizione. La Chiesa è già cambiata come avrebbe voluto un anno fa?

«Io nel marzo scorso non avevo alcun progetto di cambiamento della Chiesa. Non mi aspettavo questo trasferimento di diocesi, diciamo così. Ho cominciato a governare cercando di mettere in pratica quello che era emerso nel dibattito tra cardinali nelle varie congregazioni. Nel mio modo di agire aspetto che il Signore mi dia l’ispirazione. Le faccio un esempio. Si era parlato della cura spirituale delle persone che lavorano nella Curia, e si sono cominciati a fare dei ritiri spirituali. Si doveva dare più importanza agli Esercizi Spirituali annuali: tutti hanno diritto a trascorrere cinque giorni in silenzio e meditazione, mentre prima nella Curia si ascoltavano tre prediche al giorno e poi alcuni continuavano a lavorare».

La tenerezza e la misericordia sono l’essenza del suo messaggio pastorale…

«E del Vangelo. È il centro del Vangelo. Altrimenti non si capisce Gesù Cristo, la tenerezza del Padre che lo manda ad ascoltarci, a guarirci, a salvarci».

Ma è stato compreso questo messaggio? Lei ha detto che la francescomania non durerà a lungo. C’è qualcosa nella sua immagine pubblica che non le piace?

Papa Benedetto XVI lascia il pontificato

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«Mi piace stare tra la gente, insieme a chi soffre, andare nelle parrocchie. Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Quando si dice per esempio che esce di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano. Non mi è mai venuto in mente. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale».

Nostalgia per la sua Argentina?

«La verità è che io non ho nostalgia. Vorrei andare a trovare mia sorella, che è ammalata, l’ultima di noi cinque. Mi piacerebbe vederla, ma questo non giustifica un viaggio in Argentina: la chiamo per telefono e questo basta. Non penso di andare prima del 2016, perché in America Latina sono già stato a Rio. Adesso devo andare in Terra Santa, in Asia, poi in Africa».

Ha appena rinnovato il passaporto argentino. Lei è pur sempre un capo di Stato.

«L’ho rinnovato perché scadeva».

Le sono dispiaciute quelle accuse di marxismo, soprattutto americane, dopo la pubblicazione dell’Evangelii Gaudium?

«Per nulla. Non ho mai condiviso l’ideologia marxista, perché non è vera, ma ho conosciuto tante brave persone che professavano il marxismo».

Gli scandali che hanno turbato la vita della Chiesa sono fortunatamente alle spalle. Le è stato rivolto, sul delicato tema degli abusi sui minori, un appello pubblicato dal Foglio e firmato tra gli altri dai filosofi Besançon e Scruton perché lei faccia sentire alta la sua voce contro i fanatismi e la cattiva coscienza del mondo secolarizzato che rispetta poco l’infanzia.

«Voglio dire due cose. I casi di abusi sono tremendi perché lasciano ferite profondissime. Benedetto XVI è stato molto coraggioso e ha aperto una strada. La Chiesa su questa strada ha fatto tanto. Forse più di tutti. Le statistiche sul fenomeno della violenza dei bambini sono impressionanti, ma mostrano anche con chiarezza che la grande maggioranza degli abusi avviene in ambiente familiare e di vicinato. La Chiesa cattolica è forse l’unica istituzione pubblica ad essersi mossa con trasparenza e responsabilità. Nessun altro ha fatto di più. Eppure la Chiesa è la sola ad essere attaccata».

Santo Padre, lei dice «i poveri ci evangelizzano». L’attenzione alla povertà, la più forte impronta del suo messaggio pastorale, è scambiata da alcuni osservatori come una professione di pauperismo. Il Vangelo non condanna il benessere. E Zaccheo era ricco e caritatevole.

«Il Vangelo condanna il culto del benessere. Il pauperismo è una delle interpretazioni critiche. Nel Medioevo c’erano molte correnti pauperistiche. San Francesco ha avuto la genialità di collocare il tema della povertà nel cammino evangelico. Gesù dice che non si possono servire due signori, Dio e la Ricchezza. E quando veniamo giudicati nel giudizio finale (Matteo, 25) conta la nostra vicinanza con la povertà. La povertà allontana dall’idolatria, apre le porte alla Provvidenza. Zaccheo devolve metà della sua ricchezza ai poveri. E a chi tiene i granai pieni del proprio egoismo il Signore, alla fine, presenta il conto. Quello che penso della povertà l’ho espresso bene nella Evangelii Gaudium».

Lei ha indicato nella globalizzazione, soprattutto finanziaria, alcuni dei mali che aggrediscono l’umanità. Ma la globalizzazione ha strappato dall’indigenza milioni di persone. Ha dato speranza, un sentimento raro da non confondere con l’ottimismo.

«È vero, la globalizzazione ha salvato dalla povertà molte persone, ma ne ha condannate tante altre a morire di fame, perché con questo sistema economico diventa selettiva. La globalizzazione a cui pensa la Chiesa assomiglia non a una sfera, nella quale ogni punto è equidistante dal centro e in cui quindi si perde la peculiarità dei popoli, ma a un poliedro, con le sue diverse facce, per cui ogni popolo conserva la propria cultura, lingua, religione, identità. L’attuale globalizzazione “sferica” economica , e soprattutto finanziaria, produce un pensiero unico, un pensiero debole. Al centro non vi è più la persona umana, solo il denaro».

Il tema della famiglia è centrale nell’attività del Consiglio degli otto cardinali. Dall’esortazione Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II molte cose sono cambiate. Due Sinodi sono in programma. Si aspettano grandi novità. Lei ha detto dei divorziati: non vanno condannati, vanno aiutati.

«È un lungo cammino che la Chiesa deve compiere. Un processo voluto dal Signore. Tre mesi dopo la mia elezione mi sono stati sottoposti i temi per il Sinodo, si è proposto di discutere su quale fosse l’apporto di Gesù all’uomo contemporaneo. Ma alla fine con passaggi graduali — che per me sono stati segni della volontà di Dio — si è scelto di discutere della famiglia che attraversa una crisi molto seria. È difficile formarla. I giovani si sposano poco. Vi sono molte famiglie separate nelle quali il progetto di vita comune è fallito. I figli soffrono molto. Noi dobbiamo dare una risposta. Ma per questo bisogna riflettere molto in profondità. È quello che il Concistoro e il Sinodo stanno facendo. Bisogna evitare di restare alla superficie. La tentazione di risolvere ogni problema con la casistica è un errore, una semplificazione di cose profonde, come facevano i farisei, una teologia molto superficiale. È alla luce della riflessione profonda che si potranno affrontare seriamente le situazioni particolari, anche quelle dei divorziati, con profondità pastorale».

 

 

Perché la relazione del cardinale Walter Kasper all’ultimo Concistoro (un abisso tra dottrina sul matrimonio e la famiglia e la vita reale di molti cristiani) ha così diviso i porporati? Come pensa che la Chiesa possa percorrere questi due anni di faticoso cammino arrivando a un largo e sereno consenso? Se la dottrina è salda, perché è necessario il dibattito?

«Il cardinale Kasper ha fatto una bellissima e profonda presentazione, che sarà presto pubblicata in tedesco, e ha affrontato cinque punti, il quinto era quello dei secondi matrimoni. Mi sarei preoccupato se nel Concistoro non vi fosse stata una discussione intensa, non sarebbe servito a nulla. I cardinali sapevano che potevano dire quello che volevano, e hanno presentato molti punti di vista distinti, che arricchiscono. I confronti fraterni e aperti fanno crescere il pensiero teologico e pastorale. Di questo non ho timore, anzi lo cerco».

In un recente passato era abituale l’appello ai cosiddetti «valori non negoziabili» soprattutto in bioetica e nella morale sessuale. Lei non ha ripreso questa formula. I principi dottrinali e morali non sono cambiati. Questa scelta vuol forse indicare uno stile meno precettivo e più rispettoso della coscienza personale?

«Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili. I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile di un’altra. Per cui non capisco in che senso vi possano esser valori negoziabili. Quello che dovevo dire sul tema della vita, l’ho scritto nell’esortazione Evangelii Gaudium».

Molti Paesi regolano le unioni civili. È una strada che la Chiesa può comprendere? Ma fino a che punto?

«Il matrimonio è fra un uomo e una donna. Gli Stati laici vogliono giustificare le unioni civili per regolare diverse situazioni di convivenza, spinti dall’esigenza di regolare aspetti economici fra le persone, come ad esempio assicurare l’assistenza sanitaria. Si tratta di patti di convivenza di varia natura, di cui non saprei elencare le diverse forme. Bisogna vedere i diversi casi e valutarli nella loro varietà».

Come verrà promosso il ruolo della donna nella Chiesa?

«Anche qui la casistica non aiuta. È vero che la donna può e deve essere più presente nei luoghi di decisione della Chiesa. Ma questa io la chiamerei una promozione di tipo funzionale. Solo così non si fa tanta strada. Bisogna piuttosto pensare che la Chiesa ha l’articolo femminile “la”: è femminile dalle origini. Il grande teologo Urs von Balthasar lavorò molto su questo tema: il principio mariano guida la Chiesa accanto a quello petrino. La Vergine Maria è più importante di qualsiasi vescovo e di qualsiasi apostolo. L’approfondimento teologale è in corso. Il cardinale Rylko, con il Consiglio dei Laici, sta lavorando in questa direzione con molte donne esperte di varie materie».

A mezzo secolo dall’Humanae Vitae di Paolo VI, la Chiesa può riprendere il tema del controllo delle nascite? Il cardinale Martini, suo confratello, riteneva che fosse ormai venuto il momento.

«Tutto dipende da come viene interpretata l’Humanae Vitae. Lo stesso Paolo VI, alla fine, raccomandava ai confessori molta misericordia, attenzione alle situazioni concrete. Ma la sua genialità fu profetica, ebbe il coraggio di schierarsi contro la maggioranza, di difendere la disciplina morale, di esercitare un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo presente e futuro. La questione non è quella di cambiare la dottrina, ma di andare in profondità e far sì che la pastorale tenga conto delle situazioni e di ciò che per le persone è possibile fare. Anche di questo si parlerà nel cammino del Sinodo».

La scienza evolve e ridisegna i confini della vita. Ha senso prolungare artificialmente la vita in stato vegetativo? Il testamento biologico può essere una soluzione?

«Io non sono uno specialista negli argomenti bioetici. E temo che ogni mia frase possa essere equivocata. La dottrina tradizionale della Chiesa dice che nessuno è obbligato a usare mezzi straordinari quando si sa che è in una fase terminale. Nella mia pastorale, in questi casi, ho sempre consigliato le cure palliative. In casi più specifici è bene ricorrere, se necessario, al consiglio degli specialisti ».

Il prossimo viaggio in Terra Santa porterà a un accordo di intercomunione con gli ortodossi che Paolo VI, cinquant’anni fa, era arrivato quasi a firmare con Atenagora?

«Siamo tutti impazienti di ottenere risultati “chiusi”. Ma la strada dell’unità con gli ortodossi vuol dire soprattutto camminare e lavorare insieme. A Buenos Aires, nei corsi di catechesi, venivano diversi ortodossi. Io trascorrevo il Natale e il 6 gennaio insieme ai loro vescovi, che a volte chiedevano anche consiglio ai nostri uffici diocesani. Non so se sia vero l’episodio che si racconta di Atenagora che avrebbe proposto a Paolo VI che loro camminassero insieme e mandassero tutti i teologi su un’isola a discutere fra loro. È una battuta, ma importante è che camminiamo insieme. La teologia ortodossa è molto ricca. E credo che loro abbiano in questo momento grandi teologi. La loro visione della Chiesa e della sinodalità è meravigliosa».

Fra qualche anno la più grande potenza mondiale sarà la Cina con la quale il Vaticano non ha rapporti. Matteo Ricci era gesuita come lei.

«Siamo vicini alla Cina. Io ho mandato una lettera al presidente Xi Jinping quando è stato eletto, tre giorni dopo di me. E lui mi ha risposto. Dei rapporti ci sono. È un popolo grande al quale voglio bene».

Perché Santo Padre non parla mai d’Europa? Che cosa non la convince del disegno europeo?

«Lei ricorda il giorno in cui ho parlato dell’Asia? Che cosa ho detto? (qui il cronista si avventura in qualche spiegazione raccogliendo vaghi ricordi per poi accorgersi di essere caduto in un simpatico trabocchetto). Io non ho parlato né dell’Asia, né dell’Africa, né dell’Europa. Solo dell’America Latina quando sono stato in Brasile e quando ho dovuto ricevere la Commissione per l’America Latina. Non c’è stata ancora l’occasione di parlare d’Europa. Verrà ».

Che libro sta leggendo in questi giorni?

«Pietro e Maddalena di Damiano Marzotto sulla dimensione femminile della Chiesa. Un bellissimo libro».

E non riesce a vedere qualche bel film, un’altra delle sue passioni? «La grande bellezza» ha vinto l’Oscar. La vedrà?

«Non lo so. L’ultimo film che ho visto è stato La vita è bella di Benigni. E prima avevo rivisto La Strada di Fellini. Un capolavoro. Mi piaceva anche Wajda…».

San Francesco ebbe una giovinezza spensierata. Le chiedo: si è mai innamorato?

«Nel libro Il Gesuita, racconto di quando avevo una fidanzatina a 17 anni. E ne faccio cenno anche ne Il Cielo e la Terra, il volume che ho scritto con Abraham Skorka. In seminario una ragazza mi fece girare la testa per una settimana».

E come finì se non sono indiscreto?

«Erano cose da giovani. Ne parlai con il mio confessore»

(un grande sorriso).

Grazie Padre Santo.

«Grazie a lei».

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intervista di papa Francesco al ‘Corriere della Sera’

Papa Francesco al Corriere:

“Forse ci saranno altri papi emeriti”

“Grande attenzione ai divorziati”

da L’Huffington Post                                                                                       05/03/2014                                                                                                                                                                                                                                                              

papa francesco

Il Papa non va dipinto come superman o una specie di star perché “è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti, una persona normale”. Così Papa Francesco si racconta in un’intervista a tutto campo al direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, in occasione del suo primo anno di pontificato. Nella lunga intervista, il Papa parla del suo primo anno a capo della Chiesa, toccando una delle questioni su cui si attendono grandi novità: quella dei divorziati, a cui bisogna dare “grande attenzione”. E poi la rivoluzione impressa dal suo predecessore, Benedetto XVI, primo Papa emerito e forse non unico (“Benedetto è il primo e forse ce ne saranno altri…”, si lascia una porta aperta Francesco).

“Mi piace stare tra la gente, insieme a chi soffre, andare nelle parrocchie. Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco”, spiega. “Quando si dice per esempio che [il Papa] esce di notte dal Vaticano per andare a dar da mangiare ai barboni in via Ottaviano. Non mi è mai venuto in mente”.

“Benedetto XVI non è una statua in un museo”. Francesco parla dei rapporti col suo predecessore, Joseph Ratzinger, sottolineando che  “il Papa emerito non è una statua in un museo. È una istituzione”. “Benedetto – dice – è il primo e forse ce ne saranno altri. Non lo sappiamo. Lui è discreto, umile”, “abbiamo deciso insieme che sarebbe stato meglio che vedesse gente, uscisse e partecipasse alla vita della Chiesa”, “la sua saggezza è un dono di Dio”. Un po’ come quella dei nonni, afferma, che “non meritano di finire in una casa di riposo”.

“Abusi sui minori sono tremendi, ma la Chiesa ha fatto tanto”. Il pontefice riconosce a Ratzinger il merito di aver “aperto una strada” nei casi di abusi su minori, “tremendi perché lasciano ferite profondissime”. “La grande maggioranza degli abusi avviene in ambiente familiare e di vicinato”, spiega Bergoglio. “La Chiesa cattolica è forse l’unica istituzione pubblica a essersi mossa con trasparenza e responsabilità”, eppure “è la sola ad essere attaccata”.

“Attenzione ai divorziati, su unioni civili valutare i casi”. Quello della famiglia è un tema centrale, “un lungo cammino che la Chiesa deve compiere. Un processo voluto dal Signore”, dice il Papa. “È alla luce della riflessione profonda che si potranno affrontare seriamente le situazioni particolari, anche quelle dei divorziati, con profondità pastorale”, spiega Bergoglio, per il quale la famiglia attraversa “una crisi molto seria”. E osserva: “I giovani si sposano poco. Vi sono molte famiglie separate nelle quali il progetto di vita comune è fallito. I figli soffrono molto. Noi dobbiamo dare una risposta. Ma per questo bisogna riflettere molto in profondità. È quello che il Concistoro e il Sinodo stanno facendo”. E sulle unioni civili: “Si tratta di patti di convivenza di varia natura, di cui non saprei elencare le diverse forme. Bisogna vedere i diversi casi e valutarli nella loro varietà” 

I gesti di tenerezza di Papa Francesco
 

 La Chiesa è donna. La Chiesa “ha l’articolo femminile “la”: è femminile dalle origini”, risponde Bergoglio a una domanda di De Bortoli. “Il grande teologo Urs von Balthasar lavorò molto su questo tema – spiega Papa Francesco – il principio mariano guida la Chiesa accanto a quello petrino. La Vergine Maria è più importante di qualsiasi vescovo e di qualsiasi apostolo. L’approfondimento teologale è in corso. Il cardinale Rylko, con il Consiglio dei Laici, sta lavorando in questa direzione con molte donne esperte di varie materie”.

Fine vita, no a obbligo di mezzi straordinari per chi è in fase terminale. “La dottrina tradizionale della Chiesa dice che nessuno è obbligato a usare mezzi straordinari quando si sa che la vita è in una fase terminale”. Così Papa Francesco al Corsera a una domanda sul testamento biologico. “Ho sempre consigliato le cure palliative”, ma “in casi più specifici” è bene ricorrere “al consiglio degli specialisti”, dice.

Quanto al concetto di “valori non negoziabili”, Bergoglio confessa di non aver mai compreso questa espressione. “I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita della mano ve ne sia una meno utile di un’altra. Per cui non capisco in che senso vi possano essere valori non negoziabili”.

Ultimo libro e ultimo film. Che libro sta leggendo in questi giorni?, chiede il direttore del Corsera. “Pietro e Maddalena di Damiano Marzotto sulla dimensione femminile della Chiesa. Un libro bellissimo”. E ultimo film? “La vita è bella di Benigni. E prima avevo rivisto La Strada di Fellini. Un capolavoro…”.

 Il piccolo amico di Papa Francesco
 
 

“Vi racconto il mio primo anno di pontificato”

di  Ferruccio de  Bortoli

Papa Francesco (LaPresse)

 

Un anno è trascorso da quel semplice «buonasera» che commosse il mondo. L’arco di dodici mesi così intensi — non solo per la vita della Chiesa — fatica a contenere la grande messe di novità e i tanti segni profondi dell’innovazione pastorale di Francesco. Siamo in una saletta di Santa Marta. Una sola finestra dà su un piccolo cortile interno che schiude un minuscolo angolo di cielo azzurro. La giornata è bellissima, primaverile, tiepida. Il Papa sbuca all’improvviso, quasi di scatto, da una porta e ha un viso disteso, sorridente. Guarda divertito i troppi registratori che l’ansia senile di un giornalista ha posto su un tavolino. «Funzionano? Sì? Bene». Il bilancio di un anno? No, i bilanci non gli piacciono. «Li faccio solo ogni quindici giorni, con il mio confessore»…

 

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c’è chi chiede di più a papa Francesco

 

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

a distanza di un anno dalla sua elezione molti sono i commentatori che fanno un bilancio molto positivo del pontificato di papa Francesco: ha effettivamente riaperto orizzonti, donata nuova credibilità a una realtà istituzionale carica di contraddizioni facendo credere di nuovo e sperare che anche nella chiesa sia possibile … vivere il vangelo!

ci sono anche delle voci legittimamente più esigenti che vorrebbero che questa ‘rivoluzione’ che si annunciava trovi delle espressioni più concrete, delle traduzioni più chiare: uno di questi  è il parroco Helmut Schüller, presidente della ‘Pfarrer-Initiative’, che  in un’intervista a’n-tv.de’ sostiene: “Ha posto grandi segnali, che però fino ad ora non si sono concretizzati in cambiamenti di sistema”

di seguito (utilizzando i preziosi servizi informativi di ‘finesettimana’) tre momenti della presa di posizione del parroco Helmut Schüller, compresa la reazione estremamente negativa del vicario generale della diocesi che nega gli ambienti ecclesiali per una sua conferenza stampa, non ritenendo le sue critiche a papa Franceco  costruttive (un po’ di processo alle intenzioni e  di censura certamente fuori luogo nella chiesa di papa Francesco!):

Ja – die neue Kirchenzeitung n. 10 del 9 marzo 2014

Papa Francesco è in carica da un anno e viene celebrato da molti come riformatore. Il parroco Helmut Schüller, presidente della ‘Pfarrer-Initiative’, analizza in un’intervista a n-tv.de obiettivamente: “Ha posto grandi segnali, che però fino ad ora non si sono concretizzati in cambiamenti di sistema”

intervista a Helmut Schüller a cura di Fabian Maysenhölder in www.n-tv.de del 22 febbraio 2014

“Ci aspettiamo anche passi concreti per il futuro delle comunità parrocchiali… I laici devono dotarsi  di competenze per potere sostenere la vita delle comunità. Questo è il nostro desiderio più pressante che speriamo di veder realizzato da questo papa. Parla sempre di “vicinanza alla gente” e del fatto che si debba “andare verso la gente”. Di fatto, la Chiesa continua ad allontanarsi dalle persone alla base”

di Susanne Wiedamann in www.mittelbayerische.de del 2 marzo 2014

“La conferenza di Helmut Schüller, il prete critico nei confronti della Chiesa, della  Pfarrer-Initiative austriaca, prevista a Ratisbona, è stata spostata, su ordine del vicario generale… [in quanto] non potrà aver luogo nei locali della parrocchia… una conferenza di Schüller non è un invito al dialogo, ha dichiarato… Clemens Neck, direttore della sala stampa del vescovo”
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