capitano anche di questi vescovi, grazie a Dio!

 

L’arcivescovo di Tangeri: “Ateo, omosessuale, non importa. Gesù non chiedeva l’identità

Articolo pubblicato su Religion Digital (Spagna) il 27 febbraio 2014

si respira il vangelo in queste parole del vescovo francescano di Tangeri, Santiago Agrelo, rilasciate in un’intervista a proposito di profughi che scappano da una povertà insopportabile, di leggi ingiuste che i popoli ricchi fanno per tutelarsi e tenere lontani i poveri e i disperati, a proposito di una chiesa troppo poco dalla parte degli ultimi, che erge nei loro confronti steccati anche ideologici: “Nessuna persona deve rimanere alla porta della mia casa, che sia di altra religione, ateo, omosessuale o che altro. Gesù non chiedeva l’identità. Resta ancora molto da cambiare nella nostra mentalità”:

“Bisogna distinguere due mondi: il mondo degli interessi nazionali, che non so con quali criteri vengano determinati, e il mondo della fede, nel quale non ci sono frontiere”, sottolinea l’arcivescovo di Tangeri, Santiago Agrelo, in visita a Valencia. In un’intervista con Paco Cerdà, il prelato rimarca: “magari noi che diciamo di aver fede in Dio o che crediamo nel Vangelo ci muovessimo con la stessa forza che questo sogno dà ai subsahariani che scavalcano il recinto!”.

Per l’arcivescovo francescano “se metto un recinto e delle lame taglienti sulla frontiera è perché ritengo che per determinate persone essa debba essere invalicabile”. Ma “ho io maggior diritto di valicarla rispetto a quello che ha il povero?”.
“Quando si tratta di fare leggi che riguardano i poveri lo facciamo sempre noi ricchi, e sempre dalla nostra prospettiva e non in base alle loro necessità. Da questo punto di vista le frontiere sono logiche per i ricchi, ma sono irrazionali, assurde, opprimenti e discriminatorie per i poveri. Sarebbe possibile che al momento di legiferare avessimo la delicatezza di chiedere loro cosa sperano e come potremmo aiutarli? aggiunge Agrelo. Riguardo all’immigrazione, Agrelo denuncia che “ci vantiamo che ogni anno ci visitano 60 milioni di turisti, ma chiudiamo le frontiere a questi 4 o 5.000 immigrati”. Una politica “erroneamente economicista” a parere dell’arcivescovo di Tangeri, che aggiunge anche: “devono cambiare le politiche e le coscienze”.
“Nella mia vita sono sempre stati presenti omosessuali e divorziati. Li ho visti come amici, alcune volte come amici intimi. Nella Chiesa nessuno deve emettere giudizi”, aggiunge quando viene interrogato sul punto di vista della Chiesa riguardo a queste realtà. “Nessuna persona deve rimanere alla porta della mia casa, che sia di altra religione, ateo, omosessuale o che altro. Gesù non chiedeva l’identità. Resta ancora molto da cambiare nella nostra mentalità”.
Riguardo alla funzione della Chiesa, Agrelo puntualizza che “è molto di più che essere solo una ONG”, anche se riconosce che riguardo al potere “abbiamo un problema serio. Invece di essere lievito nella massa sociale -cioè dissolverci in essa- continuiamo a pretendere di essere organi di potere. Sotto questo aspetto la Chiesa deve ancora percorrere un cammino di discernimento, rinuncia e impoverimento. Noi ci sentiamo ancora potenti. Ma questo a Dio non piace”.
“La vicenda della pedofilia ha aperto una ferita sanguinante nella Chiesa, perché è un problema molto serio e molto doloroso per le vittime a causa del danno fatto a tante persone”, constata con dolore il prelato, e aggiunge che “è doloroso perché la Chiesa, in generale, è stata indicata come la responsabile di questo danno”. “Io ho trascorso la vita tra bambini e giovani, ho dato la vita in mezzo a loro. E anche se a me non è mai successo, è terribile entrare in un bar e sentirti dire ‘pederasta’. Oltre a questo, ci fa molto dispiacere che la Chiesa venga associata al PP”.
Perché? “Ci dispiace perché il Vangelo non è di destra. Non so se riesco a farmi capire quando dico che Dio è di sinistra. Con questo non intendo che sia del PSOE o della Sinistra Unita. Dio sarebbe di destra se si preoccupasse di se stesso, invece è di sinistra perché si preoccupa di te e di me. La Chiesa deve dimostrare che non si preoccupa  di se stessa né di Dio, ma dell’altro. In questo senso, ci dispiace che veniamo identificati con politiche che si preoccupano del denaro e di cose che non hanno importanza”.




il sesso difficile e sofferto dei nostri ‘giovanissimi’

continua il viaggio (costellato di apprezzamenti e di tante polemiche) di B. Borromeo (su ‘ilfattoquotidiano’) nel mondo dei giovanissimi, in particolare riferimento alla modalità di vivere la propria sessualità e fare sesso
mi piace riportare qui la terza ‘puntata’ che  evidenzia la particolare sofferenza e disagio di un ragazzo che a motivo della propria omosessualità ha conosciuto desiderio di nascondersi, depressione, vergogna anche di fronte alla famiglia, volontà anche di farla finita …

GAY A 14 ANNI: “MI NASCONDO E A VOLTE PENSO DI FARLA FINITA”

SEX AND THE TEENS
LA PAURA E L’OMOSESSUALITÀ 
La depressione dopo il coming out: “Ho cominciato ad avere attacchi di panico. Non riuscivo più a dormire. Ho iniziato anche a fare uso di sonniferi. Vorrei andare da uno psicologo, ma come faccio a chiedere i soldi alla mia famiglia senza rompere il tacito accordo di non dire la verità?”

Continua il viaggio del Fatto nel mondo dei ragazzi che si confrontano col sesso Per Tommaso è la frustrazione più grande: “Non ho mai baciato nessuno. Ho provato a uscire con una, ma non ce l’ho fatta. Vivo come un dodicenne che non sa gestire la propria sessualità. I miei genitori mi facevano giocare con le bambole, ma preferiscono non sapere Io so di essere un peso, non voglio creare problemi. Per fortuna ho qualche amico”
E poi il momento arriva: per non nascondersi più, per ammettere, almeno con se stessi, quel che si sa da anni. Per lasciare che il gesto di qualcun altro cambi anche la propria vita. Ottobre di tre anni fa, liceo classico Berchet, Milano. Come ogni autunno, é tempo di autogestione. C’è chi parla di insegnanti, chi di voti e chi di politica. Il microfono passa di mano in mano e l’aula magna è gremita. Poi prende la parola Alessandro e davanti a tutta la scuola dice, semplicemente, “sono gay”. “H0 realizzato così — racconta Tommaso, 14 anni, che quel pomeriggio era seduto per terra in fondo alla classe — che anche io, prima o poi, avrei potuto fare coming out. Ma ho sentito alcuni ragazzi, in corridoio, prendere in giro Ale. Dargli del frocio, dire che non poteva usare l’assemblea per raccontare certe cose. Ho avuto paura, non ero pronto”. Poi Alessandro diventa rappresentante d’istituto e la sua popolarità cresce di continuo. L’anno dopo, torna sull’argomento. “Quel ragazzo ha parlato della sua omosessualità davanti ai compagni, agli insegnanti, pure ai suoi nonni. E’ stato davvero straordinario”, ricorda il preside, Innocente Pessina, mentre guarda una foto scattata quel giorno. Allora Tommaso si decide: “Ho mandato una email ad Ale dicendogli che sono anche io gay. E’ incredibile: finché non senti la tua voce che lo dice, finché non leggi le tue parole sullo schermo del computer, non lo realizzi davvero. Appena ho cliccato ‘invio’, invece, mi é sembrato surreale il fatto di non averne mai parlato prima. Lui mi ha risposto con uno smiley”.

LA SCOPERTA

Tommaso giura che, senza Alessandro, sarebbe rimasto nell’ombra per anni. Forse per sempre: “Credo che mi sarei sposato, forse avrei avuto dei figli. So di essere omosessuale da quando avevo 12 o 13 anni. Ma la mente di un ragazzino gay fa miracoli: rimuove tutto, ignora i segnali. lo rifiutavo il pensiero, schiacciavo dentro di me ogni impulso, ero terrorizzato che gli altri sapessero. Eppure non bastava: già a 10 anni i bambini mi chiedevano se fossi gay, mi prendevano in giro. ‘Sono normale’, giuravo, ma a quell’età la cattiveria é pazzesca. Le medie sono state difficilissime”. E ancora fino a un anno fa Tommaso “commentava” le compagne di scuola come tutti gli altri: “Per far parte della conversazione, per non essere tagliato fuori. Mi ero anche imposto di uscire con una, ma non ho avuto il coraggio. Non ce la facevo più .

IL PANICO E I SONNIFERI

Tommaso beve un caffé in un bar buio a pochi passi dalla scuola, Intorno non c’e nessuno, eppure parla a voce cosi bassa che è quasi impossibile sentirlo. E’ un ragazzo alto e magro, seduto con la schiena curva. Giocherella con le dita lunghe come candele con le bustine dello zucchero, e si sfoga senza pause: “Ho letto le storie di Chiara e Mattia che avete pubblicato la scorsa settimana. Sapere che a qualcuno importa quello che pensiamo, e che viviamo, mi ha fatto stare bene. Io ho nascosto tutto fino a che il mio malessere é diventato così forte da non poterlo più ignorare. Poi sono esploso”. E proprio quando ha ammesso di essere gay, racconta Tommaso, le cose sono, inaspettatamente, peggiorate: “Si pensa che il coming out basti per stare meglio, per liberarsi. Invece io ho cominciato ad avere attacchi di panico. La mia inclinazione alla tristezza — mi sento inadeguato, brutto, sfigato, escluso dai gruppi piu popolari, più in vista — si é trasformata in depressione. Spesso sono completamente incapace di reagire”. Tommaso ripercorre l’apatia che lo accompagna di giorno e le crisi d’ansia che lo assalgono di notte, quando pensa alla sua vita, alla morte, al futuro che non riesce a immaginare: “Ho cominciato a fare use di sonniferi un paio di  mesi fa. Non ho preso davvero in considerazione il suicidio, ma non e escluso che possa succedere. Credo di no, perché ho tanti amici. Spero di no, ma non so”.

I GENITORI

Tommaso parla dei genitori come se toccasse a lui proteggerli, difenderli dalla sua omesessualità. Li racconta come persone aperte, semplici, che sanno di avere un figlio gay, ma scelgono di non confrontarsi. “Vedere il proprio bambino e sapere che é gay é un peso. E io non voglio pesare su nessuno. La mia omosessualità crea problemi e io non voglio essere un problema. I miei non hanno mai cercato di cambiarmi, volevo giocare con le bambole e me l’hanno permesso. Non ho ancora detto niente perché non so come gestire questa situazione, non voglio che mi vedano così disperato”. E parlare con uno psicologo, per Tommaso, spezzerebbe quel tacito accordo che c’è con la sua famiglia: “Dovrei chiedere loro i soldi e non saprei come giustificarlo. Per fortuna ho i miei amici, che sono gli unici a placare la mia angoscia”.

I TALK SHOW

Tommaso parla già da un’oretta e la luce che filtra nel bar pian piano sparisce. Per lui non é più un’intervista. Pare più un’autoanalisi, dove tutti i suoi dubbi emergono insieme. Ripercorre il primo dei suoi attacchi di panico, avvenuto mentre, in classe, si discuteva di bioetica e fecondazione assistita: “Di colpo ho pensato: ‘Avrò mai una famiglia? Come farò a sposarmi? Potrò adottare un bambino, o ricorrere all’utero in affitto? E soprattutto, è giusto che io abbia un figlio?’. Non so se posso essere genitore. Credo che sarei un bravo papà, non certo peggiore di un papà etero. Poi guardo la tv e vedo queste persone che descrivono quelli come me come esseri abominevoli, che rovinerebbero la vita dei propri figli. So che c’è gente per strada che mi picchierebbe. Se non mi insultano, in giro, é solo perché io non mostro la mia omosessualità. Mi vesto normalmente, mi comporto normalmente”.

MAI UN BACIO

Tommaso svela la sua frustrazione più profonda: “Non sono mai stato con un ragazzo. Nemmeno con una ragazza, a dire il vero. Non ho mai neanche baciato nessuno, a meno che non valgano quei baci a stampo durante il gioco della bottiglia, in seconda media. Ho 17 anni e sono come un preadolescente. Devo ricominciare tutto da capo: é come se avessi 12 anni, non so fare niente, mi sento completamente inadeguato”. E alle amiche, che insistono per accompagnarlo in un locale gay, risponde: “Perché devo andare in un posto pieno di sconosciuti, spesso molto più grandi di me? Per gli eterosessuali sperimentare é molto più semplice, e possono farlo con i coetanei. Io non me la sento di andare in quei locali. Soprattutto per via della mia più grande paura: che non succeda proprio niente. Che la vita passi senza che io la viva” .

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UNA MADRE RACCONTA
“Mia figlia lesbica? Egoista, non doveva dirmelo”

La telefonata dura circa un quarto d‘ora. Poi la madre di Vera, avvocato sulla cinquantina, butta giù il telefono. Spiega come può la frustrazione che l’accompagna da quando sua figlia le ha raccontato di essere lesbica: “Vera mi ha detto che le piacciono le ragazze l’estate scorsa, il giorno del suo compleanno, L’ho trovata una delle cose più egoiste che potesse fare. Io lo sapevo già, i genitori queste cose le sanno sempre. E per anni le ho fatto capire che non me lo doveva dire, che doveva far finta di niente, almeno con me, Che bisogno c’era di rovinarmi la vita?”. Parole che, proprio perché vengono da una donna in carriera, ancora giovane, e con una figlia in gamba (ottimi voti a scuola e già due stage nel curriculum), stupiscono ancora di più. E svelano il punto di vista di una madre che non riesce ad accettare sua figlia, né a dirle pm che le vuole bene (“é ovvio che la amo, ma perché dovrei dirglielo? Potrebbe pensare che sono d’accordo con le sue scelte), né a capire che di scelte non si tratta. Claudia e Vera vivono a Vicenza e a pesare é anche il giudizio dei vicini di casa: “Parliamo sempre dei nostri figli e ora che lei mi ha detto che é lesbica non so più cosa fare. Devo mentire ai miei amici? O continuare a pretendere che non sia vero?”. E poi, più in profondità, la paura che la sua omosessualità possa pesare sul futuro: “Ma si rende conto che non potrà avere figli? E io non sarò mai nonna”. Claudia sa che questo comportamento ferisce la figlia, eppure insiste: “Capisco che per lei é difficile, ma a me chi ci pensa?”.

 

 




aiuto, papa Francesco, sono gay: non voglio sentirmi ‘fuori posto e fuori casa’

due omo

così grida un ragazzo gay che al momento della elezione di papa Francesco ha pianto come per un’intuizione di un “graduale percorso di apertura e avvicinamento alla questione omosessuale” del nuovo papa

vive da 29 anni “una serena e felice vita di coppia” e però sente di non essere accolto da una chiesa che lo fa sentire ‘fuori posto e fuori di casa’ e chiede perciò al papa  “una nuova pastorale per le famiglie che includa tutti”

vede troppo spesso le persone omosessuali  descritte come un obbrobrio, come una minaccia per la società, come un pericolo pubblico di “attentato alla famiglia”: “chi ci accoglierà? chi si prenderà cura di noi? … come la parrocchia potrà tornare casa per noi?”:

Caro papa Francesco,

ti confesso che dal momento della tua elezione ho sentito veramente lo Spirito soffiare. Non sapevo chi fossi, non avevo mai sentito prima il tuo nome, eppure ho pianto.  Ho pianto perché inspiegabilmente mi sono sentito dopo tanto tempo a casa, pur non avendo alcun elemento razionale che giustificasse questo sentimento.  Sono gay, e vivo da quasi 29 anni una felice e serena vita di coppia. E sto seguendo con grandissima speranza il tuo graduale percorso di apertura e avvicinamento alla questione omosessuale. Lo hai fatto sin da quella prima intervista, di ritorno da Rio, in cui quel “Chi sono io per giudicare un gay?” è risuonato sorprendente nella sua disarmante semplicità. Decenni di catechismo e magistero consolidati sulla questione omosessuale sono apparsi improvvisamente schiacciati sotto il peso dell’essere forse norme più scritte guardando a noi con gli occhi della legge che con gli occhi del cuore.  Fino ad oggi io e Dario abbiamo dovuto camminare in solitudine, inventandoci dal nulla cosa potesse essere una vita di coppia, non avendo alcun riferimento a disposizione, noi che ci siamo innamorati a metà degli anni ’80.  Abbiamo vissuto nascosti per oltre 15 anni, prima di capire ed accettare la bellezza e la fedeltà della nostra storia d’amore e smettere di temere tutto e tutti: la famiglia, gli amici, financo Dio di cui abbiamo finalmente riconquistato l’immagine di Padre spazzando via quella di Giudice. Finora, è vero, non si è ancora concretizzato un reale cambiamento. Le tue parole di accoglienza, apertura non hanno generato un nuovo catechismo, una nuova pastorale per le famiglie che includa tutti e non faccia sentire nessuno “fuori posto e fuori di casa”. Ma alcune cose, lette dall’interno e con il linguaggio e le modalità della chiesa cattolica, non possono che prefigurare l’inizio di un percorso: qualche mese fa è stato inviato a tutte le diocesi del mondo un questionario con l’obiettivo di raccogliere stimoli per il Sinodo straordinario sulla famiglia  dell’ottobre 2014. Per la prima volta, credo nella storia della chiesa cattolica, su un suo documento ufficiale è presente, nero su bianco, la dicitura “unioni di persone dello stesso sesso”, e si chiede quale attenzione pastorale sia necessario avere per queste unioni e addirittura per i bambini eventualmente adottati. Ecco, nominare le cose significa per me inaugurare, superando i principi, una nuova stagione animata da un desiderio reale di confronto. Finora, infatti, negli ambiti comunitari, nelle parrocchie, nei cammini di fede, l’omosessualità è stata trattata solamente come categoria morale o come problematica sociale. I ragazzi e le ragazze omosessuali si sono trovati, quindi, a vivere nel silenzio più assoluto la loro condizione, ad impiegare moltissime risorse personali a nascondere una parte importantissima della loro esistenza, a controllare tutto ciò che avveniva dentro loro, fuori loro. Insomma a comprimere la loro vita invece che ad espanderla, privati di tutta quella “normalità” (innamorarsi, condividere con gli amici il proprio innamoramento, sognare una persona, immaginarsi insieme, …) che costituisce parte integrante del percorso di crescita di un essere umano, e che alimenta quello slancio progettuale che dovrebbe essere appannaggio di tutti.

Dio ama gli omosessuali

Ho letto ieri che sembra tu ti stia accingendo a studiare le unioni gay. Ne sono contento. Finalmente sembra che siano stati presi in carico i nostri appelli, fatti a moltissime diocesi, e anche a te direttamente,  dai vari gruppi di gay credenti italiani (tra cui anche quello di cui faccio parte, Nuova Proposta) di conoscere in prima persona le nostre vite, le nostre storie. Non ti nascondo che negli anni passati neanche io (che pure ho fatto un cammino lungo per arrivare ad una serena esistenza in coppia) sono stato immune da un certo scoramento, sorto nel constatare che posto per noi nelle comunità cristiane non c’era. Non ce n’era soprattutto nel momento in cui ci si sarebbe dovuti presentare in coppia o, in alcuni casi, anche come genitori. Perché è proprio l’unione tra due persone dello stesso sesso che non esiste per le comunità cattoliche, a causa, purtroppo, di una terribile battaglia ideologica che si sta consumando a scapito delle esistenze di tante persone. Vedo “sentinelle in piedi” protestare contro la proposta di legge contro l’omofobia (che dovrebbe proteggere le persone dal bullismo, dalla violenza e dal dileggio. Vedo gruppi definirsi cattolici ed armarsi per combattere il pericolo dell’attentato alla famiglia che proverrebbe da due persone dello stesso sesso che decidono di amarsi senza nascondersi e, pertanto, richiedere alla società di cui fanno parte di condividere diritti e doveri come qualunque altra coppia. Vedo le persone omosessuali descritte come un obbrobrio, come una minaccia per la società. Le nostre vite di coppia, le nostre famiglie, con e senza figli, esistono già oggi, adesso. Non sono una minaccia che viene da un ipotetico futuro. Mi chiedo, come un figlio farebbe con un padre e facendo riferimento alla cura pastorale che deve essere dedicata ad ogni essere umano e declinata per la sua specifica esistenza: chi ci accoglierà? Chi si prenderà cura di noi? Potremmo avere anche noi bisogno di sostegno fraterno e spirituale dalla parrocchia, quella che per tanti anni abbiamo considerato una seconda casa? E parlando dei tanti figli di coppie omosessuali:  non devono anch’essi poter contare su un ambiente accogliente, in grado di sostenerli nel loro percorso di crescita spirituale e umana? Come la parrocchia potrà tornare ad essere casa per noi e per i nostri bambini? La speranza che soffia in me credo sia fortemente animata dallo Spirito. Spero in un cammino serio di confronto, di approfondimento senza pregiudizio. Spero in un sinodo che produca, nel 2015 una pastorale finalmente inclusiva e che porti “Tutti dentro!” come ci hai tu stesso ricordato in una delle tue omelie mattutine. Spero anche tu voglia, in questo percorso di conoscenza, incontrare alcuni di noi, omosessuali, transessuali, singoli o in coppia, con figli o senza figli, per contemplare insieme come il disegno di Dio possa essere creativo nel generare Bellezza nell’esistenza di ciascuno di noi e  ’interno della propria specificità.