anche questo è stato il natale!

ECCO  L’ALTRO NATALE!

(Fonte e Foto ANSA.it)

    Documentato in alcune immagini l’altro Natale: omicidi in Honduras, fame e miseria in Grecia, in Italia, in Polonia e  in Francia), tifone nelle Filippine. TANTE LACRIME A NATALE NEL MONDO!

     La foto più chockante è quella scattata in una delle strade di Tegucigalpa in Honduras: il cadavere di un uomo con la scritta “””Buon Natale scassinatori””” dove almeno altre 20 persone sono state uccise in quel Paese la notte di Natale per lo stesso motivo!

20 people violently dead and 15 wounded during Christmas eve in Honduras

In questo caso, MISERIA materiale e morale si sono incontrate!

Christmas meals for people in need and homeless in Athens                      (Atene-Pranzo di Natale dei senza tetto nello stadio)

Christmas distribution of gifts for the children of homeless and precarious families in Paris

(Parigi: distribuzione di piccoli pacchi dono ai bambini poveri)

Natale: Roma;in 550 a pranzo poveri a S. Maria in Trastevere

                    (Roma: pranzo per 550 poveri in Santa Maria in Trastevere)
17th Christmas Eve to the Needy
                                   (Polonia: un pasto caldo per la strada ai senza tetto a Cracovia)
NATO soldiers celebrate Christmas in Kabul
                                                (Kabul: pranzo di Natale dei soldati NATO)
Christmas in Al Hamra Street in Beirut
          (Beirut: distribuzione di dolci e giocattoli dei volontari ai bambini profughi siriani e libanesi)
Christmas in Typhoon devasted Province of Leyte
                                                           (Filippine: Natale dopo il tifone!)
Christmas time at the Tacumbu prison in Asuncion, Paraguay
                              (Paraguay: Natale dei detenuti in una prigione di Asuncion)
Christmas in Typhoon devastated Province of Leyte              (NATALE DI SOLIDARIETA’ nelle Filippine per i medici tedeschi volontari dopo il tifone)
image_pdfimage_print

twitt cretino della questura

 

la Questura di Roma twitta  contro i ROM (ma poi cancella)

dall’account  twitter uffciale della Questura di Roma parte un tweet contro i Rom

La Questura di Roma twitta contro i ROM (ma poi cancella).

E’ di poche ore fa un tweet  fatto dall’account ufficiale della Questura di Roma.

Una  battuta di dubbio gusto in cui l’autore paragona la sistemazione del ripostiglio  allo sgombero di un campo Rom. Il tweet viene subito cancellato ma un’utente risponde e salva l’immagine.

E’ la stessa utente che fa notare all’autore del tweet che paragonare la  sistemazione di pacchi et similia allo sgombero di essere umani non è  esattamente la stessa cosa. Intanto in rete monta la polemica. L’Ufficio stampa  della Questura capitolina ha diffuso un messaggio – sempre via Twitter – nel  quale prendeva le distanze dal tweet precedente e dispone verifiche per  accertare le responsabilità.

continua su: http://www.fanpage.it/la-questura-di-roma-twitta-contro-i-rom-ma-poi-cancella/#ixzz2ocDpfZ9U http://www.fanpage.it

Lettera alla Questura di Roma da parte dell’Associazione 21 luglio per il tweet anti rom

venerdì, 27 dicembre, 2013

L’associazione 21 luglio, che con il suo Osservatorio nazionale sull’incitamento alla discriminazione e all’odio razziale monitora dichiarazioni, comizi e interviste  su giornali locali, nazionali e sul web, ha inviato alla Questura di Roma una lettera nella quale sottolinea la gravità delle asserzioni a scapito delle popolazioni rom e il loro contenuto razziale, discriminatorio e lesivo della dignità umana.

«Dichiarazioni di tale tenore – si legge nella lettera dell’Associazione 21 luglio – sono suscettibili di veicolare messaggi con effetti dannosi non solo per i gruppi “target” ma anche per la popolazione maggioritaria che viene “impregnata” di stereotipi e pregiudizi. Le stesse provenendo poi da un organo di Stato hanno il duplice effetto di rendere concepibili e tollerabili esternazioni di tal fatta».

L’Associazione 21 luglio ha quindi specificato che l’episodio non può ritenersi risolto con la semplice rimozione e divulgazione di una comunicazione di verifiche in corso.

Pertanto ha chiesto alla Questura di Roma «di procedere tempestivamente e senza ritardi alle verifiche predisposte e di divulgare nel più breve tempo possibile l’esito degli accertamenti e delle relative misure correttive intraprese».

image_pdfimage_print

quando un rom è anche gay: la sua difficoltà

Quando il gay è rom

(minoranza nella minoranza)

Rom Rainbow

due omo

interessante esperienza di un ‘maestro’ gay (non sono riuscito a rintracciare più precisi dati identificativi) con dei ragazzi rom

il confronto tra le reciproche situazioni di ‘svantaggio’ data dall’essere  reciprocamente una ‘minoranza’, l’una in riferimento alla sessualità, l’altra in rapporto alla cultura

e quando un rom si scorge egli stesso omosessuale? (cominciano effettivamente ad emergere ed evidenziarsi i primi casi, da sempre prima accuratamente tenuti nascosti perché inevitabilmente e inesorabilmente e violentemente censurati) 

“Quello che mi domando è: come può un rom fronteggiare la scoperta della propria omosessualità? Come fa ad accettarsi un rom gay? Nella lingua romanés neanche esiste un termine per definire l’omosessualità”

struggente è la declinazione delle analogie delle reciproche difficoltà nel superare la ghettizzazione in cui ciascuno in quanto ‘minoranza’ è relegato e l’inasprirsi delle difficoltà quando un rom, oltre a dover gestire la emarginazione culturale, quando anche è gay deve con maggiori difficoltà far fronte alla dura censura sessuale:

In questi giorni in cui la legge contro l’omofobia sta tornando come tema principale della mobilitazione nazionale LGBT, mi è capitato sotto gli occhi l’articolo di Matteo Winkler de “Il Fatto Quotidiano” dal titolo “L’omofobia è razzismo” già pubblicato nel 2010 e riproposto in questi giorni, dove si evidenzia il ponte tra “Razzismo” e “Omofobia” che l’Unione Europea ha delineato nel definire proprio l’omofobia. Rileggendolo mi è tornato alla mente un episodio di quando vivevo a Roma e lavoravo all’interno di una associazione per la tutela dei Rom.

Piccola Pulce 1: Maestro posso farti una domanda? Maestro: sì Piccola Pulce 1: ma tu sei gay? Maestro: sì Piccola Pulce 2: cioè tu sei frocio? Maestro: sono gay, frocio è come se io dicessi a te “zingaro” invece gay è la parola giusta, come quando io dico che tu sei rom. Piccola Pulce 1: ma che significa se uno è gay? Maestro: significa che una persona si innamora di persone dello stesso sesso; un maschio di un altro maschio e una donna di un’altra donna. Piccola Pulce 1: giura che sei gay? Maestro: non ci credi? Guarda che non te lo devo giurare, te lo sto dicendo. Piccola Pulce 2: e com’è che uno è gay? tu… scegli…? Maestro: no, non si sceglie; è così, uno ci nasce… così come tu sei nato rom, io sono nato gay. Piccola Pulce 2: e i tuoi fratelli sono gay? Maestro: no, loro no. Piccola Pulce 2: e perché? Maestro: forse ti ho spiegato male, non è che se uno è gay lo è tutta la famiglia come per i rom, diciamo che ogni tanto in una famiglia nasce un gay. Piccola pulce 1: e tu stai bene? cioè va bene che sei gay? Maestro: sì, io sto bene… Piccola Pulce 2: e lo sanno tutti? Maestro: sì, lo sanno tutti. Mi dovrei vergognare di quello che sono? Piccola Pulce 1: io voglio essere come voi… voi gaggi [i non rom]… Maestro: come mai? Piccola Pulce 1: per voi è più facile… per noi… però no! io sono felice di essere zingaro. Maestro: devi essere felice di essere rom, è quello che sei. Piccola pulce 1: Io dico “zingaro” che mi piace di più. Mi piace la gente mia e poi io sono il maschio più grande quindi mi fanno tanti regali, mica come voi… cioè li fanno pure ai miei fratelli piccoli però a me di più. Piccola pulce 2: pure io sono il più grande e pure a me mi fanno i regali. Maestro: ah, siete fortunati allora… ora torniamo ai verbi, “io avevo…”?

Le Piccole Pulci erano due ragazzini di 12 anni che vivono nell’insediamento rom dove svolgevo, tra le altre cose, attività di doposcuola. Proprio questi due erano tra le principali pesti che mi davano filo da torcere ogni santissimo giorno, però, come tutti i bambini, se presi da parte sono degli angioletti… più o meno; infatti dopo aver finito i compiti hanno tappezzato l’insediamento di post-it con su scritto “Il maestro è gay”. Ma almeno ora non usano più la parola “frocio”, e già questa è stata una piccola grande vittoria. La cosa che più mi ha colpito è quello che difficilmente riesco a trascrivere: il non verbale; la Piccola Peste 1 quando ha iniziato a dire che lui vorrebbe essere come noi gaggi aveva gli occhi bassi, la schiena ricurva, il tono della voce più basso, le mani che giocherellavano nervosamente con la penna e poi di scatto si è alzato, ha riportato la schiena dritta e il petto in fuori per dire “però no! io sono felice di essere zingaro“. Non ho potuto fare a meno di pensare a come siamo simili. Anche io credo che per gli etero sia più facile e che sarebbe molto più semplice se io non fossi… ma poi tutto impettito (mi) ripeto che sono fiero di essere frocio.

Dovrebbe essere scontato sapere che io e le piccole pesti siamo simili: siamo entrambi minoranze. Entrambi siamo i diversi, “costretti” ad accettarci, a essere fieri di quel che siamo per essere felici, anche se, a oggi, è solo una parvenza di felicità, perché come io sogno il riconoscimento del mio matrimonio, loro sognano il riconoscimento della loro cultura ecc ecc…

Mentre andavo via dall’insediamento quel giorno mi sono ritrovato a pensare a come vivrebbe un gay nella cultura rom. Per quel che mi è dato sapere, dalla mia esperienza quadriennale in contatto con questa cultura, posso dire che i gay non sono propriamente ben visti, e non è difficile immaginarlo visto l’altissimo tasso di analfabetismo e il bassissimo livello socio-culturale.

Infatti anche nel relazionarmi con gli adulti dell’insediamento il mio orientamento sessuale ha influito. Molti avevano difficoltà a restare da soli con me nell’ufficio dove cercavo di sviscerare i cavilli giuridici per far ottenere loro un permesso di soggiorno o trovargli un lavoro, altri addirittura evitavano di parlare con me e preferivano rivolgersi a operatori con altre mansioni. Conosco alcuni casi di prostituzione omosessuale maschile tra i rom (tenuti comunque ben segreti), ma niente di più in merito. Probabilmente l’omosessualità viene completamente nascosta e vissuta nella clandestinità, qualora ci si riesca.

Walter Halilovic

Walter Halilovic (foto di repubblica.it)

Leggendo l’intervista al rom Valter Halilovic, mediatore culturale di religione islamica (e chi più di lui minoranza nella minoranza?), rilasciata a Repubblica in occasione del suo intervento all’Europride del 2011 le cose non sembrerebbero così drammatiche come ve le racconto io. Lui riporta di come, nonostante i tabù, alla fine i rom “ci stanno”! Già, perché la natura è natura, la carne è carne, puoi combatterla quanto vuoi… ma alla fine quella viene fuori. Ma come sempre non è questo quello che conta! Giovanardi potrà pure essere un gay represso, come spesso additiamo gli omofobi, ma questo riguarda la sua vita privata, il problema è quello che dice, quello che fa nella vita pubblica (ancor di più visto il ruolo che ricopre). I rom possono pure avere rapporti omosessuali appartati nelle loro roulotte… ma il problema è poi quello che dicono e fanno all’interno della comunità. Le conseguenze delle loro azioni, delle loro parole, si ripercuotono (a differenza degli amplessi che restano celati e circoscritti) su quelle persone che sentono premere i loro impulsi sessuali e i loro sentimenti ma che sono costretti a occultare e reprimere per non essere ghettizzati; e se pure il sesso prima o poi uno lo sperimenta e lo reitera sicuramente il sentimento invece non ha via di scampo ed è costretto a perire. Muore soffocato dalle risatine, dalle battute, dalla derisone e dai “pede” (come i rom chiamano i gay in senso dispregiativo) gridati agli omosessuali o presunti tali.

Ho preso il caso dei rom perché è quello che ho avuto davanti agli occhi. E ci tengo a precisare che “rom” può essere sostituito con qualsiasi altra nazionalità, etnia o anche religione che è minoranza e che non accetta l’omosessualità. Quello che mi domando è: come può un rom fronteggiare la scoperta della propria omosessualità? Come fa ad accettarsi un rom gay? Nella lingua romanés neanche esiste un termine per definire l’omosessualità. Io, come tanti altri della mia generazione, ho avuto il web come principale mezzo per confrontarmi e acculturarmi sul tema, ma anche il confronto con gli amici e in seguito con persone LGBT; quando sento affermazioni come quelle riportate nello spot “Spegniamo l’odio” realizzato da Arcigay in occasione della raccolta firme per un legge contro l’omofobia senza se e senza ma, io, grazie alla mia cultura, posso trovare il modo di rielaborare e interpretare quelle frasi e imparare a farmele scivolare di dosso o a contrastarle, per esempio facendo il volontario in Arcigay, ma i rom sono un popolo molto chiuso, rimangono all’interno del campo e difficilmente stringono rapporti con i non rom, tendono subito a sottolineare il “noi” e il “voi”, i casi di matrimonio tra persone rom e non rom sono malvisti dalla comunità, la loro cultura non scritta viene tramandata di padre in figlio in modo verbale e quelle parole e i pregiudizi sull’omosessualità vengono trasmessi e reinculcati senza troppe possibilità di cambiamento visto lo scarso confronto. La mia domanda è: se già per noi italiani è difficile essere quello che siamo, scoprirci tali, percorrere la strada dell’accettazione, fare tutti i gironi i conti con l’omofobia, ecc, com’è per chi, oltre a subire l’assenza di diritti, l’omofobia, i pregiudizi per la propria omosessualità, deve subire un carico maggiore dovuto all’appartenenza ad un altra minoranza? Tweet gay cristianiGià perché nei momenti di sconforto io ho, oltre alla comunità gay, anche quella buona parte di italiani che riconosce come normale l’omosessualità, sono sì una minoranza, ma la mia minoranza non è isolata. Invece, chi appartiene a queste minoranze dove l’omosessualità è generalmente rifiutata e ghettizzata, con cosa si ritrova? A chi chiede sostegno, comprensione e/o confronto? Si dovrebbe ritrovare con la comunità gay dei “gaggi”. Noi. Siamo noi che dovremmo essere pronti ad accoglierli. Però ahimè la nostra comunità, quella LGBT (e non solo), è composta anche da quelli che i rom li vorrebbe arrestare, malmenare, scacciare e rispedire non si sa bene dove (visto che moltissimi rom sono rom italiani essendo arrivati qui in Italia fin dal lontano 1400), da quelli che “gli stranieri tornassero da dove so’ venuti”, “vengono a rubarci il lavoro”, “so’ tutte troie che vengono qui a sposarsi i vecchietti per l’eredità”, “i musulmani sono arretrati mentalmente”. Ma anche senza arrivare a vere e proprie esternazioni razziste spesso ci dimentichiamo il significato della parola “inclusione” e “accoglienza” delle pluralità (e non “diversità” che pare sia brutto usare ormai).

Siamo in tanti a volere la piena estensione della Legge Mancino per quanto riguarda l’omofobia ma troppo spesso ci ritroviamo a far nostri comportamenti e atteggiamenti dettati dal razzismo come il mettere la mano sulla tasca del portafogli/stringere a sé la borsetta, se entra nel pullman una persona rom, guardare con aria di disprezzo lo straniero che ti chiede l’elemosina fuori dal supermercato o a dire “quel rumeno di merda” o ancora a ghettizzare i cattolici… Forse, continuando a gridare l’esigenza di tutele e pari diritti, dovremmo farci anche un esame di coscienza. Ci è diventato facile additare, giustamente, l’omofobia, ma dovremmo anche imparare a riconoscere le altre discriminazioni e a combatterle. Tutte.

Smorzo un po’ i toni di questo mio post che in alcuni punti è anche troppo semplicistico portandovi un caso interessante che ho scovato qualche anno fa, quello della star bulgara Azis, omosessuale di origine rom sposato in Germania, che è stato più volte nell’occhio del ciclone per aver tappezzato le città con foto del suo di dietro depilato, o in cui si bacia col suo compagno. Non so Azis che rapporti abbia con la sua comunità d’origine, i casi di rom inseriti perfettamente nella società (e che spesso hanno rinnegato la loro origine) sono migliaia, anche in Italia

image_pdfimage_print

natale: dove nascerebbe oggi il bambino?

 

 

 

natività

Il bambino oggi sarebbe nato in un campo profughi

Il Medioriente sull’orlo dell’abisso

 in un poco più che ‘biglietto natalizio’, nel suo Huffigton Post, Lucia Annunziata tenta di rispondere alla domanda: Gesù bambino dove nascerebbe oggi?

” queste righe sono solo un cartoncino natalizio, una nota per ricordare a noi stessi dove siamo. E magari per ricordarlo anche ai nostri politici. In effetti sarebbe bello se ogni tanto alzassero il naso dalle claustrofobiche battaglie italiane e ci facessero sapere cosa pensano del mondo grande in cui viviamo”

Il bambino la cui nascita festeggiamo, sarebbe nato oggi in un campo profughi. E non si parla qui di buoni sentimenti natalizi. E nemmeno si parla qui di cattolici e mussulmani, di ebrei e palestinesi, sunniti e sciiti.

I Maria e i Giuseppe odierni, in fuga dai despoti di turno, gli Erode sempre in forza in Medioriente, qualunque sia la loro denominazione, non avrebbero certo modo di  raggiungere l’Egitto da Betlemme, o il Libano dalla Siria, o la Giordania dall’Iraq, o, se è per questo, l’Italia dalle spiagge della Libia. Ed è probabile che la loro vita finirebbe con l’essere quella delle centinaia di migliaia di rifugiati che in questo momento sono sospesi fra confini nazionali e religiosi ormai collassati.

Mai come in questo Natale è evidente che i luoghi dov’è nata una buona parte della identità, volere o meno, del mondo in cui viviamo, sono vicini alla loro scomparsa. Il Medioriente come lo conosciamo è sull’orlo dell’abisso. In decenni di conflitti, terrorismo e guerre internazionali, pure non si è mai verificata la situazione attuale con ben quattro grandi stati, Iraq, Siria, Egitto e Libia, contemporaneamente e di fatto in piena guerra civile.

Il giorno della nascita del bambino di Betlemme ha fornito – involontariamente – il termometro di quanto alta sia la temperatura. In Egitto un’auto bomba contro le forze di sicurezza ha ucciso alla vigilia del Natale 13 persone e ne ha ferito 134. L’auto bomba, tragico simbolo delle guerre fratricide mediorientali, arma resa famosa dalla guerra in Libano negli anni Ottanta, rispunta ora in varie altre nazioni, come una rondine di una nuova tragica primavera.

L’auto di cui parliamo è esplosa nella città di Mansoura, nel Delta del Nilo. Ma di esplosioni in Egitto se ne contano ormai molte, dopo la cacciata del Presidente Morsi, e il  ritorno al potere dei militari. Molti degli attentati sono avvenuti in Sinai, ma il 5 Settembre è al Cairo che una bomba contro il convoglio in cui viaggiava quasi uccide il Ministro degli Interni Mohamed Ibrahim.

Rimanendo in argomento, è sempre un’auto bomba, la prima, quella usata in Libia alcuni giorni fa per attaccare a 50 chilometri da Bengazi, in direzione del confine con l’Egitto, un checkpoint militare. Sette le vittime.

Natale è stato invece festeggiato in Siria (e sì, ci sono ancora cristiani in quella nazione) da botti speciali: il 23 dicembre è stato il decimo giorno di bombardamenti sull’antica città di Aleppo. Impiegate, come si diceva, bombe speciali, si chiamano barrel bomb e sono semplici barili imbottiti di esplosivo e ogni sorta di pezzi di metallo, che rilasciano una micidiale pioggia di schegge all’impatto. Vengono buttate dagli elicotteri, costano molto poco, sono facili da fare, e non sono nella lista delle armi bandite dalle convenzioni internazionali, come quelle chimiche (su cui il mese prossimo si dovrebbe tenere una prima conferenza internazionale).

Secondo l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, organizzazione basata a Londra, nell’ultima settimana in Siria le vittime del conflitto sarebbero 1,460. Ad Aleppo le vittime sarebbero 364, di cui 105 bambini. E ancora un’altra strage, questa volta a Bagdad, nel giorno di Natale, con un’autobomba che è esplosa vicino a una chiesa nel sud della città subito dopo una funzione di natale. I morti sarebbero almeno 15.

Mi fermo qui.

Non voglio neppure toccare il perché e il per come di quanto accade. Di libri e analisi sul Medioriente ne abbiamo pieni gli scaffali, e senza grande utilità, in verità. Prova che il sapere non porta necessariamente a soluzioni.

Diciamo che queste righe sono solo un cartoncino natalizio, una nota per ricordare a noi stessi dove siamo. E magari per ricordarlo anche ai nostri politici. In effetti sarebbe bello se ogni tanto alzassero il naso dalle claustrofobiche battaglie italiane e ci facessero sapere cosa pensano del mondo grande in cui viviamo.

image_pdfimage_print

p. Zanotelli: “ma che natale celebra questo paese?”

vittime

le forti puntualizzazioni e critiche di p. Zanotelli a una politica e ad una realtà ecclesiale senza animo e senza autenticità evangelica:

 

Ma che Natale celebra questo paese?

Ma che Natale celebrano le comunità cristiane d’Italia?

 

I gravi eventi di questi giorni ci obbligano a porre questi interrogativi. Le immagini del video- shock: immigrati nudi e al gelo, nel CIE di Lampedusa, per essere ‘disinfestati’ dalla scabbia con getti d’acqua. Immagini che ci ricordano i lager nazisti.

Le foto degli otto tunisini e marocchini del CIE di Porta Galeria a Roma con le labbra cucite in protesta alle condizioni di vita del centro. Bocche cucite che gridano più di qualsiasi parola!

Ed ora il deputato Khaled  Chaouki che si rinchiude nel CIE di Lampedusa ed inizia lo sciopero della fame, per protestare contro le condizioni disumane del centro e in solidarietà con i sette immigrati che , per le stesse ragioni, digiunano .

Sono le urla dei trecento periti in mare il 3 ottobre a Lampedusa, le urla dei quarantamila immigrati morti nel Mediterraneo che è diventato ormai un cimitero.

Tutto questo è il risultato di una legislazione che va dalla Turco-Napolitano che ha creato i CIE, alla Bossi-Fini che ha introdotto il crimine di clandestinità e ai decreti dell’allora ministro degli Interni, Maroni, che trasudano di razzismo leghista. Possiamo riassumere il tutto con una sola parola: Razzismo di Stato.

Le domande che sorgono sono tante e angoscianti.

Come mai un paese che si dice civile ha permesso che si arrivasse ad una tale legislazione razzista e a una tale tragedia?

Come mai la  Conferenza Episcopale Italiana sia rimasta così silente davanti a un tale degrado umano?

Come mai la massa delle parrocchie e delle comunità cristiane non ha reagito a tante barbarie?

“Sono venuto a risvegliare le vostre coscienze- ha detto Papa Francesco quando è andato a Lampedusa.” Ed ha aggiunto: “La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri.”

Ma allora viene spontaneo chiederci: “Ma che Natale celebriamo?” Natale non è forse fare memoria di quel Bimbo che nasce sulle strade dell’Impero (“non c’era posto per lui nell’albergo”) e diventa profugo per fuggire dalle mani di Erode? Natale è la proclamazione che il Verbo si fa carne, carne di profughi, di impoveriti, di emarginati. “La carne dei profughi-ci ha ricordato Papa Francesco- è la carne di Cristo.”

E allora se vogliamo celebrare il Natale, sappiamo da che parte stare, con chi solidarizzare.

Ecco perché dobbiamo avere il coraggio di chiedere al governo italiano , come dono di Natale, l’abolizione delle leggi razziste emanate in questi anni dalla Turco-Napolitano alla Bossi-Fini , e il varo di una legislazione che rispetti i diritti umani e la Costituzione. Inoltre chiediamo che in questa nuova legislazione venga introdotto il diritto all’asilo politico e allo ius soli.

E altrettanto chiediamo, come dono di Natale, ai vescovi italiani un documento che analizzi, in chiave etica, la legislazione razzista italiana e proponga le strade nuove da intraprendere per arrivare a una società multietnica e multireligiosa. Proprio per evitare quel pericolo che Papa Francesco ha indicato nel suo discorso a Lampedusa: ”Siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del levita, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto.”

Auguro a tutti di posare davanti al presepe dove troverete un Bimbo-profugo vegliato da una famiglia transfuga e attorniato dal bue e dall’asino che ci ricordano le parole del profeta Isaia:

“Il bue conosce il proprietario

e l’asino la greppia del padrone,

ma il mio popolo non comprende.”

Alex Zanotelli

image_pdfimage_print

la bibbia e l’omosessualità

una certa e tradizionale interpretazione della Bibbia  costringe molti omosessuali cattolici e di altre fedi a nascondere il proprio orientamento sessuale o identità di genere pur di rimanere inseriti nella comunità di fede alla quale appartengono

in questo processo soffrono molto e, disgraziatamente, alla lunga finiscono per allontanarsi dalla religione alla luce della quale sono stati allevati: tenta un’analisi più approfondita l’articolo qui sotto riportato:

 

L’omosessualità nella Bibbia

Le nuove interpretazioni

 di Daniel Shoer Roth

tratto da About.com – Comunidad Gay (Stati Uniti)

 
Gli atteggiamenti negativi delle istituzioni religiose tradizionali verso le persone omosessuali, centrati sull’affermazione che l’atto sessuale tra persone dello stesso sesso è peccato, si basa su interpretazioni delle Sacre Scritture che sembrano condannare l’omosessualità. In questo senso l’interpretazione della Bibbia costituisce una delle fonti storiche dell’omofobia che costringe molti omosessuali cattolici e di altre fedi a nascondere il proprio orientamento sessuale o identità di genere pur di rimanere inseriti nella comunità di fede alla quale appartengono.

In questo processo soffrono molto e, disgraziatamente, alla lunga finiscono per allontanarsi dalla religione alla luce della quale sono stati allevati. Gli insegnamenti religiosi che promuovono l’odio verso l’omosessualità coinvolgono anche i familiari delle persone LGBT, che a volte si vedono obbligati a scegliere tra i propri amati congiunti e le comunità religiose a cui appartengono, a causa della pressione di queste ultime.
Per i credenti omosessuali la Bibbia assume un significato speciale, dato che è di ispirazione divina. Per questo fanno fatica a conciliare i testi biblici che li svalutano come esseri umani e la propria identità. Tuttavia comprendiamo che gli autori di queste scritture hanno espresso concetti adeguati alle conoscenze dell’epoca e che oggi, vari millenni più tardi, non possono essere interpretati alla lettera.
L’epoca moderna
L’insegnamento cattolico proibisce l’atto omogenitale (sesso tra persone dello stesso sesso), così come gli anticoncezionali, la masturbazione, il sesso prima del matrimonio e fuori dal matrimonio, poiché considera che lo scopo dell’attività sessuale sia la procreazione. Ma oggi si potrebbe considerare che la maggior parte delle persone qualche volta si è masturbata, le coppie eterosessuali qualche volta hanno usato metodi anticoncezionali per prevenire la gravidanza e non tutto il mondo è arrivato vergine al matrimonio. Tuttavia in questo processo di condanna e isolamento di un gruppo perché ha violato queste norme, le persone omosessuali sono le più bersagliate e accusate dalla Chiesa di essere dei “peccatori”. Il mondo si evolve. Ad esempio, nell’epoca biblica, le spose e le figlie erano proprietà dell’uomo. Fino a cento anni fa le donne subivano ancora svantaggi legali. Ma in questa era contemporanea, per lo meno in Paesi progrediti, il ruolo della donna cristiana è cambiato è c’è uguaglianza di genere. Tutti noi esseri umani siamo figli di Dio, compresi gli omosessuali, e siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza, non importa quale sia il nostro orientamento sessuale o la nostra identità di genere. Perciò l’omosessuale può avere una relazione con una persona dello stesso sesso ed essere un cristiano fedele.
Una nuova lettura
E’ fondamentale prestare attenzione ai diversi punti di vista e interpretazioni di un testo biblico, per via della sua antichità. La condanna dell’omosessualità si basa su qualche episodio il cui contesto non è molto chiaro. Come possiamo allora interpretare la lettura di questi passaggi che sono stati travisati per condannare l’identità sessuale? Non è facile sintetizzare tutta la mole di studi riguardanti l’omosessualità nella Bibbia. Ma queste sono le interpretazioni proposte da alcuni esperti, conclude Dignity USA, organizzazione che si adopera per ottenere cambiamenti in quello che è l’insegnamento della Chiesa a proposito dell’omosessualità. Con la sua autorizzazione ho riassunto e adattato alcuni passaggi.
Riferimenti all’omosessualità nella Bibbia
La storia di Sodoma e Gomorra nel libro della Genesi cap. 19 tratta dell’offesa al sacro dovere dell’ospitalità. Questa è l’interpretazione che Ezechiele 16:48-49 e altri profeti danno di questo testo. Il tentativo di violenza all’uomo in questo contesto è soltanto un’accentuazione dell’atrocità di non essere ospitali.
Levitico 18:22 proibisce il sesso tra due maschi e lo definisce “un abominio”. Ma la parola abominio in questo contesto significa soltanto un’impurità o un tabù religioso, come mangiare carne di maiale. Proprio come avveniva presso i cattolici che proibivano di mangiar carne il venerdì, pena il commettere peccato mortale; l’offesa non sta nell’azione in sè, ma nel tradimento della propria religione. Gli ebrei dell’epoca biblica erano soliti evitare pratiche considerate impure per motivi che alla nostra epoca appaiono ingiustificati.
Romani 1:27 parla di “uomini che hanno rapporti con uomini”. Ma i termini usati in questo racconto per descriverli sono “disonorati” e “svergognati”. Questi aggettivi si riferiscono direttamente al biasimo sociale e non ad una condanna morale. Paolo vede il sesso tra uomini come un’impurità (Romani 1:24) allo stesso modo della mancanza della circoncisione o del mangiare cibi proibiti.
Genesi 1-3 considera Adamo ed Eva creati per la reciproca compagnia e la procreazione. Questi racconti usano le relazioni umane più comuni per dare un insegnamento religioso. Il punto è l’amore e la sapienza di Dio, che ha creato tutto per il bene e non desidera per noi alcun male. Non c’è alcuna evidenza che suggerisca che gli autori biblici abbiano cercato di darci una lezione sull’orientamento sessuale.
Testo originale: Homosexualidad en la Biblia. Nueva perspectiva sobre pasajes bíblicos empleados contra los gays

image_pdfimage_print

natale mistico

 

presepe a Lucca

la fede una cosa da bambini? la fede ridotta ad una combinazione  di sentimento e fantasia dal momento che l’approccio critico al testo sacro evidenzia sempre più che la trdizionale ‘storia della salvezza’ che si riteneva poggiasse su fatti storici in realtà si rivela come una costruzione mitico-teologica?

M. Vannini, in questo bell’articolo apparso su ‘la Repubblica’ la vigilia di natale sostiene invece che “la fede non produce affatto credenze ma al contrario le toglie via tutte!:

Natale mistico

 

di Marco Vannini

in “la Repubblica” del 24 dicembre 2013

 

La nascita di Gesù fu posta dalla Chiesa latina al solstizio di inverno perché in quella data i romani

festeggiavano il sol invictus, ovvero il sole che, giunto al punto più basso del suo corso nel cielo,

non scompare, ma sembra fermarsi in attesa, e riprende da allora in poi vigore. Come molte altre,

questa festività cristiana prese così il posto di una pagana: Cristo, sole di giustizia, sostituì la

precedente divinità astrale.

In questi giorni del solstizio tutti provano comunque una sensazione di pace, che invita al

raccoglimento, alla meditazione, e non v’è dubbio che la stagione astronomica e meteorologica sia

per questo determinante: il tempo sembra fermarsi, la natura sembra silenziosa, in ascolto, la

vegetazione in attesa di rinascita. Oltre alla natura però contribuisce potentemente a questa

sensazione la cultura, ovvero il passato cristiano, la cui influenza continua a farsi sentire nella

nostra società post-cristiana: anche molti secoli dopo che Buddha era morto, come ricorda

Nietzsche, la sua ombra continuò ad essere presente.

E non meraviglia che sia così: quel passato era infatti ricco, forte, tanto – ad esempio – da dare a un

oscuro maestro elementare e a un povero parroco di villaggio l’ispirazione per quella

Stille Nacht, la cui struggente melodia, colma di nostalgia, muove tutti gli animi alla pace,

all’amore, indipendentemente da ogni religione.

Si capisce allora come la Chiesa cerchi di far leva su questo sentimento per cercare di ravvivare la

fede che una volta si riteneva fondata su reali eventi storici, ovvero sulla “storia della salvezza” che

da Adamo procede verso Cristo. Oggi, però, dal momento che quella storia appare per ciò che è, una

mera costruzione mitico-teologica, la fede si è ridotta a una combinazione di sentimento più

fantasia: una cosa da bambini, dunque. Non a caso ai nostri giorni il Natale è festa non solo per un

Bambino, ma soprattutto per bambini.

La fede è infatti in questo caso una credenza, che si difende con una sorta di infantile testardaggine,

ignorando la realtà, tanto storica quanto psicologica. Se invece la fede è volontà di verità, essa

guarda in faccia la realtà, scoprendo che quella credenza è desiderio di consolazione e

rassicurazione, frutto del desiderio di permanenza di un ego che si sente debole e incerto e che

perciò cerca “salvezza” nel rimando ad altro fuori di sé, restando così sempre nell’attesa,

nell’anelito. La fede allora non produce affatto credenze ma, al contrario, le toglie via tutte,

smascherando come menzogna anche l’immaginazione teologica. La fede – scrive san Giovanni

della Croce – «non solo non produce nozione e scienza, ma anzi accieca e priva l’anima di

qualunque altra notizia e conoscenza: la fede è notte oscura per l’anima e, quanto più la ottenebra,

tanto maggiore è la luce che le comunica». Fede come notte, dunque, ma una notte che mentre

libera da ogni presunto sapere di verità esteriori, fa risplendere una luce interiore, sapere non di

altro ma di se stessa, sapere che è un essere: questa, possiamo dire, è la vera stille nacht, heilige

nacht, notte silenziosa, notte santa.

La notte in cui Dio nasce nell’umanità è la notte prodotta dalla fede, ovvero il silenzio, il vuoto che

l’intelligenza ha fatto nell’anima. Il Natale, riferimento a una nascita del divino nel tempo, ha

dunque il senso di ri-cordare, nel suo senso etimologico di riportare all’interiorità, risvegliare

nell’anima nostra ciò che le è proprio ed essenziale: il divino che è nel suo fondo più intimo. Questo

è il passaggio

aus historie ins wesen, dalla storia all’essenza, come dicevano i mistici tedeschi,

ovvero da una verità esteriore, che non ha alcun effetto, a una verità interiore, che salva davvero.

La salvezza non è infatti dal peccato di un altro, Adamo, da cui un altro, Cristo, ti deve liberare, ma

da quel peccato davvero “originale” che è l’amore di sé. In te è Adamo, in te è Cristo, ovvero tanto

l’amore di te stesso quanto l’amore del Bene, e la salvezza ti appare nella sua realtà, non futura ma

presente, non sperata ma reale, quando il bene degli altri ti è caro quanto il tuo, assolutamente, in

nulla di meno. Niente può turbare allora la pace dell’anima: non a caso i mistici ripetono la

cosiddetta supposizione impossibile: se anche Dio mi destinasse all’inferno, sarei comunque

“salvo”.

Il senso vero del Natale non va dunque cercato all’esterno ma in se stessi, non in una costruzione

teologica, ma nel vuoto, nel distacco. Questo è anche il senso profondo della storia che precede e

rende possibile la nascita del Figlio, come del resto ogni nascita umana, ovvero la storia della

Madre: Maria fu capace di generare il divino per la sua umiltà, per la sua verginità, che non

significa una condizione fisica, ma il vuoto fatto in se stessa. Il Logos nasce infatti nell’anima di

ciascuno di noi quando essa è come Maria: distaccata, ovvero libera, spoglia di ogni preteso valore

e preteso sapere. Il mistico poeta Angelus Silesius perciò recita: «Davvero ancor oggi è generato il

Logos eterno! Dove? Qui, se in te hai dimenticato te stesso».

Il mistero del Natale si svela infatti quando si comprende il significato non blasfemo, ma al

contrario profondamente spirituale -anzi, esso solo cristiano, senza il quale la religione resta

superstizione, la fede credenza infantile – del principio che innerva la mistica: tutto quello che la

Sacra Scrittura dice di Cristo, si verifica totalmente anche in ogni uomo buono e divino.

Purtroppo tale principio fu condannato come eretico da uno di quei papi avignonesi che Dante

definisce “lupi rapaci”, separando così divino da umano, sacro da profano, avocando alla chiesa il

monopolio del sacro e con questo ribadendo la divisione ragione-fede, scienza-religione che perdura

ancora oggi e che costringe i “credenti” in quella condizione di minorità da cui l’illuminismo,

secondo le celebri parole kantiane, ha inteso togliere l’uomo occidentale.

Accanto a un Natale storico, nel quale una sola volta, in un solo luogo e in una sola persona, il

divino è nato sulla terra, c’è dunque un Natale eterno, per cui, secondo le parole di Origene, il

divino si genera nell’anima non una volta soltanto, ma in ogni istante, in ogni luogo e in ogni uomo,

in ogni pensiero che egli rivolge a Dio con purezza, in ogni gesto di amore che compie.

Anche se non legata al solstizio d’inverno, la nascita di Gesù è comunque un evento reale, non un

mito. In quanto ha a che fare con realtà profonde ed universali dell’anima umana, il mito riguarda

ciò che non è mai avvenuto ma in eterno avviene, come diceva un filosofo pagano, mentre per il

Natale noi dobbiamo dire: ciò che è avvenuto una volta e in eterno avviene. Attenzione però:

avviene solo se avviene. Perciò lo stesso poeta mistico che abbiamo prima citato lancia al suo

lettore un avvertimento davvero terribile: «Nascesse mille volte Cristo in Betlemme, se in te non

nasce, sei perduto in eterno».

image_pdfimage_print

riflessioni dall’ ‘inferno’

 

migranti-tuttacronaca

 

Vi racconto l’inferno

 

di Khalid Chaouki

Qui a Lampedusa è notte ormai. Mi appresto ad andare nella stanza dove un gruppo di profughi

siriani mi hanno offerto ospitalità.

Questa è loro malgrado la loro casa e io sono loro ospite. Mi è stato consegnato dal direttore del

Centro il kit dei profughi. Asciugamani, un lenzuolo, spazzolino da denti e una coperta. Stare qui

insieme ai profughi e insieme ai volontari di questo Centro è stata una scelta estrema, forte e

difficile. Ma non me la sono sentita. Per l’ennesima volta di salutare e tornarmene a casa. Fare

qualche comunicato, denunciare via Facebook e depositate un’interrogazione. La nostra routine di

palazzo qui non regge più. Come non regge nemmeno a ponte Galeria o al Cara di Mineo. Serve

un’azione concreta da parte delle Istituzioni. Qui ho conosciuto e sto scoprendo storie e volti segnati

dalla guerra e dalle persecuzioni. Siria, Somalia ed Eritrea, tre Paesi rappresentati qui tra le 219

persone, tra cui sette scampati alla tragedia dello scorso 3 ottobre.

 

Il gesto di un nuovo italiano che spalanca la porta sull’orrore

di Gad Lerner

in “la Repubblica” del 23 dicembre 2013

Un gesto davvero onorevole perché nobilita la funzione del parlamentare, chiamato a farsi prossimo

di una sofferenza che ha generato scalpore ma che finora non ha rotto il muro d’indifferenza delle

istituzioni.

Chaouki è un giovane cittadino italiano nato in Marocco di fede musulmana, da tempo impegnato

nel dialogo contro ogni forma di integralismo. Non stupisce che incontrando i superstiti del

naufragio del 3 ottobre scorso ancora detenuti a Lampedusa, e gli altri migranti in sciopero della

fame contro il trattamento umiliante che loro stessi hanno filmato, sia scattato in lui un impulso

d’immedesimazione. Non lo aveva programmato, aveva in tasca il biglietto aereo di ritorno a Roma.

Proverà cosa vuol dire dormire al freddo e nella sporcizia di quella struttura diroccata che in troppi

visitano per poi voltarle le spalle. Il suo esempio testimonia quant’è importante che sia approdata in

Parlamento l’esperienza di vita dei nuovi italiani, ormai una percentuale significativa della nostra

popolazione. Ma sarebbe miope relegare la sistematica violazione dei diritti umani dei migranti a

questione marginale, riguardante solo una sia pur cospicua minoranza. La negligenza delle strutture

amministrative coordinate dal ministero degli Interni nel tutelare profughi e richiedenti asilo, così

come la prolungata reclusione nei Centri di Identificazione e Espulsione di cittadini stranieri privi di

documenti in regola, configura un degrado di civiltà cui sarebbe pericoloso assuefarsi. Deturpa la

natura democratica dello Stato e quindi incrina i pilastri della nostra convivenza civile.

Già la legge Bossi-Fini e i suoi successivi inasprimenti col reato di clandestinità e con la proroga

dei limiti di detenzione nei Cie, ha trasformato questi Centri in focolai di disperazione. Se otto

ragazzi di vent’anni senza pendenze giudiziarie sono giunti a cucirsi la bocca per protesta nel Cie

romano di Ponte Galeria, significa che l’infezione è degenerata, senza che le ripetute denunce

abbiano mosso il governo a intervenire.

Decenni di allarmismo e propaganda hanno costruito purtroppo un vasto consenso intorno alle

misure discriminatorie varate dai governi di destra. Ancora ieri c’è chi ha reagito con stizza alla

protesta del deputato Chaouki, compiacendosi che sia tornato “fra i suoi simili” perché non riescono

ad accettare l’idea che un nativo del Maghreb possa diventare cittadino italiano e addirittura

rappresentante del popolo. Soffriamo un ritardo culturale drammatico che ha incentivato la pavidità

delle istituzioni. Il ministro Alfano è ancora lì che adopera espressioni anacronistiche come “prima

gli italiani” per giustificare le sue inadempienze. Fingendo di ignorare che il flusso migratorio ci ha

già profondamente trasformati come nazione, e che il riconoscimento dei diritti dei migranti e dei

profughi rappresenta un’urgenza dell’intera comunità italiana.

Chaouki è giunto a Lampedusa all’indomani della visita del segretario del suo partito, Matteo Renzi

che vuole modificare la legge Bossi-Fini. Ma nel frattempo? Ci era già andato in pellegrinaggio

papa Francesco, scuotendo le coscienze. Il presidente della Commissione europea Barroso e il

premier Letta vi hanno versato lacrime di indignazione. Com’è possibile che in tutti questi mesi la

situazione non sia cambiata, anzi, se possibile, è peggiorata? Sorge legittimo il sospetto che la

nomina di un ministro dell’integrazione nella persona significativa di Cécile Kyenge sia stata

escogitata come mero atto dimostrativo. Possibile che in tutti questi mesi nulla sia stato fatto per

correggere l’obbrobrio dei Cie e del Centro di Lampedusa? Possibile che il governo non abbia

varato alcuna modifica della Bossi-Fini e neppure un disegno di legge per la cittadinanza dei minori

figli di immigrati?

La stessa Kyenge dovrebbe finalmente battere il pugno sul tavolo, se non vuole apparire una foglia

di fico del menefreghismo altrui, come le ha ricordato nei giorni scorsi Chaouki. Ma intanto c’è da

augurarsi che l’esempio di quest’ultimo sia seguito da altri parlamentari, non solo “nuovi italiani”,

perché la violazione dei diritti umani è una vergogna che tutti ci accomuna

image_pdfimage_print

intervista ad H. Kung

 

Trasmissione Raitre Che tempo che fa

Il discusso teologo Hans Küng: “Non mi aggrappo alla vita”

 

intervista a Hans Küng, a cura di Markus Grill

 

in “www.spiegel.de/international” del 12 dicembre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

 

Hans Küng ha lottato per tutta la vita per le riforme che oggi vengono prese in considerazione dal

 

Vaticano. In un’intervista a Spiegel, l’anziano teologo svizzero parla delle chance di papa

 

Francesco di rivoluzionare la Chiesa, dei motivi per cui Giovanni Paolo II non dovrebbe essere

 

canonizzato e di che cosa spera di venire a sapere in paradiso.

 

Il teologo svizzero Hans Küng è stato una voce che per decenni si è levata a chiedere riforme nella

Chiesa cattolica riguardanti l’infallibilità del papa, il celibato dei preti e l’eutanasia. La difesa delle

proprie posizioni gli è costata l’autorizzazione ad insegnare teologia cattolica e ha spinto molti ad

etichettarlo come eretico. Da ottantacinquenne malato di Parkinson e di altri malanni, osserva la

Chiesa sotto papa Francesco che sta prendendo in considerazione molte delle riforme da lui a lungo

sostenute. Ha recentemente accettato di parlare a Spiegel in una lunga e varia conversazione sulla

sua vita e sulle sue speranze per il futuro della Chiesa.

 

Professor Küng, Lei andrà in paradiso?

 

Certo lo spero.

 

Alcuni diranno che Lei andrà all’inferno perché agli occhi della Chiesa Lei è un eretico.

 

Non sono un eretico, ma un teologo critico e desideroso di riforme. A differenza di molti miei

critici, io uso il vangelo come punto di riferimento, e non teologia, liturgia e diritto canonico

medioevali.

 

Ma l’inferno esiste poi?

 

Alludere all’inferno è un ammonimento che indica che una persona può mancare totalmente

l’obiettivo della sua vita. Non credo in un inferno eterno.

 

Se inferno significa mancare l’obiettivo della propria vita, sembrerebbe una nozione

 

abbastanza secolare.

 

Sartre dice che l’inferno sono gli altri. La gente crea il proprio inferno. Ad esempio, in guerre come

quella in Siria, ad esempio, oppure come in un capitalismo senza regole.

 

In un suo saggio sulla religione, Thomas Mann ammise di pensare alla morte quasi ogni

 

giorno della sua vita. Anche Lei lo fa?

 

In realtà, mi aspettavo di morire prima, perché pensavo che, dato il mio modo di vivere, non sarei

arrivato al mio 50° compleanno. Ora sono sorpreso di aver compiuto 85 anni e di essere ancora

vivo.

 

Lei è andato a sciare per l’ultima volta nel 2008. Come ci si sente quando si sa che si sta

 

facendo una cosa per l’ultima volta?

 

Certamente mi fa venire un po’ di malinconia pensare a quell’ultima volta, quando stavo lassù a

Lech, sulle montagne dell’Arlberg. Mi piace molto l’aria limpida e fredda delle Alpi. Andavo lì

quando volevo liberare la mia mente oppressa. Ma accetto il mio destino. In realtà sono felice di

essere stato in grado di andare a sciare ad ottant’anni.

 

Lei è un uomo vecchio e malato. Ha una forte perdita dell’udito, osteoartrite e degenerazione

 

maculare, che distruggerà la sua capacità di lettura…

 

Sarebbe la cosa peggiore, non essere più in grado di leggere.

 

Le è stato diagnosticato il morbo di Parkinson un anno fa.

 

Eppure lavoro ancora molto ogni giorno. Tuttavia interpreto tutte queste cose come avvertimenti

della mia morte incombente. La mia grafia sta diventando sempre più piccola e spesso illeggibile,

come se stesse scomparendo. Le mie dita non trattengono più. È un dato di fatto che le mie

condizioni generali si sono deteriorate, e tuttavia combatto anche contro tutto ciò.

 

Come?

 

Ogni giorno nuoto un quarto d’ora qui nell’edificio, e faccio esercizi di fisioterapia sul pavimento, e

anche esercizi con la voce, e mi concentro su nuove attività. Inoltre, prendo diverse pillole al

giorno.

 

Lei ha scritto più di 60 libri, è sempre stato un uomo che ha prodotto molto e a cui è sempre

 

piaciuto andare a fondo negli argomenti. Nelle sue memorie, riflette sulla possibilità di

 

diventare presto null’altro che l’ombra di se stesso.

 

Naturalmente le diagnosi e le prognosi dei medici sono imprecise. La mia vista, ad esempio, si sta

deteriorando più lentamente di quanto predetto. Due anni fa il medico mi disse che sarei stato in

grado di leggere solo per altri due anni. Ed ora, riesco ancora a leggere! Ma vivo pensando di aver

poco tempo davanti a me e sono preparato a dire addio in ogni momento.

 

Il suo Parkinson progredirà.

 

Muammad Ali (Cassius Clay), anche lui malato di Parkinson, è apparso alla cerimonia di apertura

delle Olimpiadi di Londra l’anno scorso. È stato fatto sfilare davanti a tutti, assente e muto. È stato

terribile. Penso che sia stata un’idea orribile.

 

Il suo amico, lo scrittore ed intellettuale Walter Jens, è entrato in uno stato di demenza con

 

rapido peggioramento nove anni fa. È morto quest’anno.

 

Sono stato a trovarlo diverse volte, anche poco prima che morisse. Fino a pochi anni fa, il suo volto

si illuminava quando arrivavo da lui. Ma, negli ultimi anni, non ricordava neppure se ero andato a

trovarlo il giorno prima o a distanza di un mese. Alla fine, non mi riconosceva più. Era deprimente

pensare che Jens, uno degli intellettuali più importanti del dopoguerra, era tornato in una specie di

infantilismo.

 

La demenza era un peso anche per Jens o solo per i parenti e gli amici?

 

All’inizio della sua malattia, quando gli si chiedeva come stava, rispondeva quasi sempre

“terribilmente” o “male”. Allo stesso tempo, apprezzava piccole cose, come bambini, animali e

dolciumi. Gli portavo del cioccolato. All’inizio, lo mangiava da solo, ma più tardi dovevo

metterglielo io in bocca. Non riusciamo a sapere che cosa provasse Jens alla fine. Ma non ci si può

aspettare che io accetti di essere in una condizione come quella.

 

Nel 1995, Lei e Jens avete scritto insieme il libro “Morire con dignità”. Come cristiano, lei è

 

autorizzato a por fine alla sua vita?

 

Sento che la vita è un dono di Dio. Ma Dio mi ha reso responsabile di questo dono. La stessa cosa

vale anche per l’ultima fase della vita: morire. Il Dio della Bibbia è un Dio di compassione e non un

despota crudele che vuole vedere le persone passare il massimo tempo possibile in un inferno nel

proprio dolore. In altre parole, il suicidio assistito può essere la forma ultima, finale, di aiuto nella

vita.

 

La Chiesa cattolica considera un peccato l’eutanasia, uno sconfinamento nella sovranità del

 

Creatore.

 

Non ho apprezzato quando il portavoce del vescovo di Rottenburg ha prontamente dichiarato che

ciò che avevo scritto rappresentava l’insegnamento del Signor Küng e non l’insegnamento della

Chiesa. Una gerarchia ecclesiastica che ha avuto idee così sbagliate sul controllo delle nascite, sulla

pillola e sull’inseminazione artificiale, non dovrebbe fare gli stessi errori ora su problemi relativi

alla fine della vita. Dopo tutto, la nostra situazione è fondamentalmente cambiata nel XXI secolo.

L’aspettativa media di età cento anni fa era di 45 anni, e molte persone morivano giovani. Ora ho 85

anni, ma è un’estensione artificiale del mio tempo di vita – grazie a quelle 10 pillole che prendo

ogni giorno e grazie ai progressi dell’igiene e della medicina.

 

La spaventa una lunga e persistente malattia?

 

Beh, ho scritto una direttiva anticipata attentamente formulata, e recentemente mi sono iscritto ad

un’organizzazione per il suicidio assistito. Questo non significa che il mio scopo sia commettere

suicidio. Ma, nel caso che la mia malattia peggiorasse, voglio avere una garanzia di poter morire in

maniera dignitosa. Da nessuna parte nella Bibbia viene detto che una persona debba sopportare fino

in fondo una fine decretata. Nessuno ci dice cosa significa “decretata”.

 

Deve andare in un altro paese per avere accesso al suicidio assistito.

 

Sono un cittadino svizzero.

 

Come funziona esattamente? Lei telefona e dice: “Sto arrivando”?

 

image_pdfimage_print

il ‘vangelo’ di natale

 

NATALE

 UN DIO DAL VOLTO UMANO

 

Da sempre gli uomini hanno cercato di diventare dèi, di innalzarsi sugli altri uomini, e “diventerete come Dio” è la menzogna dell’antico serpente (Gen 3,5). Gli uomini avevano collocato la divinità nel più alto dei cieli (“Non è forse Dio nell’alto dei cieli?”, Gb 22,12), e in ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di elevarsi al di sopra di tutti (“Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo”, Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere dio e di essere alla sua pari mediante l’accumulo del potere; le persone religiose attraverso l’accumulo delle preghiere.
Con il Natale, invece, Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la “follia di Dio” (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a rimanerlo: il Signore “spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil 2,7).
Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore.
Potenti e religiosi pensavano di raggiungere la condizione divina separandosi dagli altri uomini, i primi per dominarli, i secondi per essere loro fulgido esempio.
Più il potente voleva salire e più sprofondava nelle tenebre, “nella profondità dell’abisso” (Is 14,15), perché più si allontanava dagli altri uomini più diventava disumano. Più l’uomo religioso si distaccava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile, perché separandosi dagli uomini si separava dal Signore (Lc 18,14).
Con il Natale si è capito perché. Non bisogna salire per incontrare il Signore, ma scendere, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e si è messo a servizio degli uomini.
Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere (“A quanti l’hanno accolto…”, Gv 1,12). Lui è il “Dio con noi” (Mt 1,23), e chiede di essere accolto e con lui, e come lui, andare verso ogni persona per inondarla del suo amore e rendere il mondo più umano.
In Gesù Dio si è rivelato attento e sensibile alle sofferenze degli uomini e alle loro necessità. Più si è umani e più si libera il divino che è già in noi. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore

Alberto Maggi

 

NATALE: UN DIO DAL VOLTO UMANO<br /><br /><br />
Di Alberto Maggi </p><br /><br />
<p>Da sempre gli uomini hanno cercato di diventare dèi, di innalzarsi sugli altri uomini, e "diventerete come Dio" è la menzogna dell’antico serpente (Gen 3,5). Gli uomini avevano collocato la divinità nel più alto dei cieli ("Non è forse Dio nell’alto dei cieli?", Gb 22,12), e in ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di elevarsi al di sopra di tutti ("Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo", Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere dio e di essere alla sua pari mediante l’accumulo del potere; le persone religiose attraverso l’accumulo delle preghiere.</p><br /><br />
<p>Con il Natale, invece, Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la "follia di Dio" (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a rimanerlo: il Signore "spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini" (Fil 2,7).</p><br /><br />
<p>Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore.</p><br /><br />
<p>Potenti e religiosi pensavano di raggiungere la condizione divina separandosi dagli altri uomini, i primi per dominarli, i secondi per essere loro fulgido esempio.</p><br /><br />
<p>Più il potente voleva salire e più sprofondava nelle tenebre, "nella profondità dell’abisso" (Is 14,15), perché più si allontanava dagli altri uomini più diventava disumano. Più l’uomo religioso si distaccava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile, perché separandosi dagli uomini si separava dal Signore (Lc 18,14).</p><br /><br />
<p>Con il Natale si è capito perché. Non bisogna salire per incontrare il Signore, ma scendere, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e si è messo a servizio degli uomini.</p><br /><br />
<p>Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere ("A quanti l’hanno accolto…", Gv 1,12). Lui è il "Dio con noi" (Mt 1,23), e chiede di essere accolto e con lui, e come lui, andare verso ogni persona per inondarla del suo amore e rendere il mondo più umano.</p><br /><br />
<p>In Gesù Dio si è rivelato attento e sensibile alle sofferenze degli uomini e alle loro necessità. Più si è umani e più si libera il divino che è già in noi. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore.<br /><br /><br />
(Natale 2012)
image_pdfimage_print
image_pdfimage_print