“one natio one blood”

abbraccio

un piccolo grande gesto dal valore incommensurabile!

Ieri a Islamabad in Pakistan si è ripetuto un piccolo gesto che meriterebbe le prime pagine dei giornali e che, al contrario, viene pressoché ignorato. Una catena umana di più di 300 musulmani hanno composto una catena umana per circondare e proteggere simbolicamente come “scudi umani” la chiesa di Our Lady of Fatima mentre era in corso la celebrazione della Messa. Una risposta all’attacco che era avvenuto il 22 settembre scorso a Peshawar provocando oltre 100 vittime. Nel corso della manifestazione organizzata dal gruppo Pakistan For All, il Mufti ha letto alcuni passi del Corano che invitano alla tolleranza e alla pace e il parroco, dopo la celebrazione è uscito per unirsi al gruppo dei manifestanti e stringere la mano al religioso islamico e al coordinatore del gruppo, il musulmano Mohammad Jibran Nasir. La gente innalzava cartelli con la scritta One Nation one blood (Una Nazione un sangue). È la terza manifestazione di questo genere dopo quelle organizzate nelle scorse domeniche a Karachi e a Lahore. Ogni ulteriore commento rischia soltanto di sminuire la portata di queste iniziative che parlano già da sé. Di incontro, di umanità, di fraternità, di pace ben oltre la semplice tolleranza. La cronaca sembra dare più ascolto (ed eco) al tragico fragore delle bombe che a queste iniziative, ma siamo convinti che la storia scriverà pagine nuove proprio a partire da questi gesti.




il ‘sogno’ di una chiesa meno clericale

 

grosse fragole

il teologo domenicano, F. Boespflug, professore di storia delle religioni a Strasburgo, delinea il suo ‘sogno’ di una chiesa meno clericale, che dia spazio effettivo alla donna, che metta al primo posto la parola e riveda le sue decisioni rispetto a tante bocche che ha duramente tappato

Ho un sogno: una Chiesa meno clericale

di François Boespflug*
in “www.lavie.fr” del 9 ottobre 2013

Se dovessi citare una sola priorità per la riforma in corso nella mia Chiesa, sarebbe quella di una Chiesa meno clericale nei suoi modi di fare e di parlare, di cui papa Francesco mostra l’esempio quasi ogni giorno con gioia e che dà al suo messaggio un ritorno di giovinezza, di vitalità, di semplicità evangelica e di pertinenza profetica. dare uno spazio effettivo alle donne Questo cambiamento passa innanzitutto dalla fine del monopolio clericale (o diaconale), in ogni caso maschile, sul diritto di predicare nell’ambito della liturgia, e dal diritto, per le donne formate per questo ministero (attraverso una qualificazione in bibbia, teologia e liturgia) di esercitarlo. Semplicemente non è più tollerabile dalla coscienza comune né veramente vivibile in questi tempi di crisi delle vocazioni sacerdotali il fatto che continui a dominare ancora per molto, senza la minimo prospettiva di cambiamento, la disciplina di ferro che regna in questo ambito a partire dalla riforma gregoriana. Non c’è alcun argomento teologico convincente, eccetto quello della tradizione (benché Maddalena abbia meritato il titolo di “apostola apostolorum” e ad ogni modo, come insegna san Tommaso d’Aquino, l’argomento della tradizione è il più debole di tutti dal punto di vista razionale) perché sia mantenuta questa regola, nel senso dell’adagio paolino, “che le donne tacciano nella Chiesa”. Questa affermazione, e le conseguenze che ne sono state tratte, non sono più accettabili. Altre Chiese cristiane hanno voltato pagina, non senza coraggio, e stanno alquanto meglio, e si farebbe bene a meditare sul loro esempio approfittando della loro esperienza. Sarebbe una scelta di classe che la Chiesa di Roma avesse il coraggio di consultare la Chiesa anglicana… In ogni caso, ci si può aspettare molto da una evoluzione in questo ambito ed è perfino permesso pensare che i benefici dell’apertura alle donne della predicazione liturgica produrranno frutti positivi, numerosi ed imprevedibili. Manca qualcosa all’esercizio attuale di questo ministero, che passerà tramite le donne e sarà ridato alla Chiesa tramite loro, e solo tramite loro. Si tratta di un provvedimento è di tale natura da far evolvere l’esercizio del sacerdozio stesso. Su questo piano come su tutti gli altri, dove tale evoluzione avviene, quando avviene davvero, l’incontro del maschile e del femminile ha la grande opportunità di essere feconda. È molto dannoso che la predicazione del vangelo non abbia ancora potuto beneficiare di questa sorta di fattore di umanizzazione completa che permette la condivisione del compito tra uomini e donne, come si constata che lo procura l’accesso delle donne a funzioni di responsabilità nelle imprese e in altre istituzioni. Non è affatto necessario, secondo noi, condizionare questo provvedimento all’accesso delle donne al diaconato o al presbiterato. Ogni cosa a suo tempo. Mettere al primo posto la parola Poiché la vita della Chiesa si nutre della Parola di Dio e della liturgia, metterei nella riforma al secondo posto la riabilitazione della parola durante la messa e suggerirei al papa di redigere una enciclica vigorosa sull’alleanza strutturale indispensabile, nella celebrazione dell’eucaristia, della tavola della parola e della tavola del pane, alleanza insegnata e sostenuta dal Concilio Vaticano II nel solco del rinnovamento patristico, ma che è oggi malata dell’esaltazione della presenza reale a detrimento della parola viva – un’esaltazione che risale senza dubbio alla Controriforma, se non oltre, e giunge non solo all’ostensorio, ma all’interruzione della celebrazione alla consacrazione per adorazione e alla correlativa sospensione dell’omelia. Quindi una enciclica sull’omelia sembra urgente e prioritaria, accompagnata forse da una riflessione ecclesiale di grande portata, coraggiosa e ambiziosa, sulla crisi della predicazione nella Chiesa. Bisogna finirla con una teologia dell’eucaristia che oppone sacramento e omelia come l’essenziale e l’accessorio. La maggior parte delle disaffezioni alla messa domenicale provengono non tanto da un
dubbio relativamente alla presenza di Cristo nel pane e nel vino consacrati quanto da una invincibile noia ripetuta di settimana in settimana: mentre la testa e il cuore soffrono la fame, puntare tutto sull’ostia soltanto per colmo di mancanza di nutrimento dello spirito è un controsenso teologico ed antropologico. È quindi la teologia della messa che occorre correggere in un senso che tenga conto della ricezione concreta della liturgia da parte dei fedeli e delle condizioni sine qua non della loro partecipazione prolungata e resistente, tranquilla e convinta. riabilitare i teologi Infine sogno una rivalorizzazione globale e decisa dello studio, dovere religioso numero uno degli ebrei e presto, se non si sta attenti, ultima delle preoccupazioni dei cattolici; una dichiarazione solenne sull’importanza della lettura assidua, della perizia paziente, della vita intellettuale in generale, della ricerca e del mestiere di teologo in particolare, nella vita della Chiesa. Certo è bello che l’azione cattolica, la militanza, il volontariato, la carità creativa sotto tutte le sue forme, da un lato, la preghiera, il gusto della condivisione comunitaria, la devozione, la vita interiore e la contemplazione dall’altra, abbiano conosciuto dei bei giorni da diversi decenni, in particolare grazie all’Azione Cattolica, a diversi rinnovamenti (liturgici, biblici, patristici, ecc.), al Concilio Vaticano II (1962-1965), a quello che è stato chiamato movimento carismatico (dal 1972) e all’impegno dei cristiani in diversi campi d’azione umanitari. Ma è profondamente negativo, nefasto, controproducente che la fiducia e la stima per coloro che dedicano la loro esistenza all’acquisizione di una vero saper-fare in materia di riflessione critica sulle condizioni e sui mezzi della vita cristiana e della testimonianza cristiana, abbiano conosciuto un tale crollo che ormai è corrente sentir dire e perfino leggere che non ci sarebbero più intellettuali cristiani. I teologi di mestiere (sì, sì: di mestiere!) sono sempre meno sollecitati a dare la loro opinione e le loro analisi non solo negli organi di stampa non confessionali, ma perfino nella stampa di obbedienza cristiana; così come è negativo che tanti vescovi immaginino di non doversi più consigliare con i saggi e soprattutto con i ricercatori appassionati della Chiesa (condizione necessaria, non sufficiente) e ben informati in materie come morale, finanza, politica, media, questioni interreligiose, faccende di immagini e arte, come se la loro ordinazione episcopale li avesse colmati ipso facto e durevolmente dei sette doni dello Spirito Santo. Questa tendenza larvata anti-intellettualistica nuoce sia alla qualità del dibattito nella Chiesa, che non è in buona salute, e alla pertinenza delle prese di posizione dei cristiani nei media.
Nel caso felice che i tre desideri che ho appena formulato si realizzassero, per quanto minimamente, ne conseguirebbe la de-clericalizzazione del linguaggio dell’omelia, della catechesi, delle dichiarazioni episcopali, e del tono dei preti e del loro abbigliamento. E prego lo Spirito Santo di diffondere generosamente sulla Chiesa il parlar franco, che può aiutare le evoluzioni in questo senso.
Utinam!
*François Boespflug domenicano, professore di storia delle religioni alla Facoltà di teologia cattolica di Strasburgo, autore di diverse opere religiose, tra cui Le prophète de l’islam et ses images, une question tabou (Bayard).




dialogo sulla democrazia tra Scalfari e Cacciari

 

Scalfari
Scalfari e Cacciari, dialogo sulla democrazia
“Non è solo una questione di voto”

Il filosofo e il fondatore di Repubblica hanno discusso dell’Europa e della qualita della sua democrazia. L’ex sindaco di Venezia: “Dove il potere politico è debole cresce la forza della burocrazia”. Il giornalista: “Il Comune è il punto dove si realizza la partecipazione”
di GLORIA BAGNARIOL

 

 “Europa e euro: dentro o fuori?” Questo il tema scelto per la quinta edizione di Repubblica delle Idee. che fra l’inaugurazione alla Fenice di Venezia e le giornate mestrine ha visto una grande partecipazione di pubblico in teatro ed anche sui social network, su Twitter l’hashtag #rep2013ve è statto fra i trend topic del week end. La risposta che si è venuta a creare attraverso gli incontri e le tavole rotonde dei primi due giorni che hanno ospitato imprenditori e politici locali, nazionali e europei è stata chiara: dentro. Anche le condizioni sono state condivise: è necessario un salto da un’unione meramente monetaria a una politica. Ma cosa significa? La risposta è stata affidata all’incontro conclusivo della manifestazione: il dialogo tra Eugenio Scalfari e Massimo Cacciari, nel quale si è indagata la qualità democratica di cui questa Europa ha bisogno. Per concludere che “la democrazia non è solo questione di voto”.

“Pericle – spiega Eugenio Scalfari – è ancora raccontato nei libri di storia come il simbolo massimo della democrazia greca, madre di tutte le democrazie. C’era partecipazione nel popolo di Atene? Sicuramente no, e questo può bastare a dire che non c’era democrazia?”. Bisogna quindi mettersi d’accordo sul senso del termine e, come chiarisce Massimo Cacciari: “Articolare il tipo di democrazia del quale abbiamo bisogno per poterne salvare l’idea”. Partire dalla convinzione che la democrazia non si esaurisce nel voto, ma ha bisogno della partecipazione.

La storia degli Stati nazionali ha portato a una declinazione del concetto di democrazia che non può applicarsi tout court al Vecchio Continente che ha avuto un percorso evolutivo differente. Secondo Cacciari, con il quale Scalfari concorda, “L’Europa è policentrica per sua natura e non può essere ridotta a uno. Tutti coloro che ci hanno provato hanno fallito, ha fallito anche Napoleone”. Il presupposto
necessario è quindi realizzare il passaggio da confederazione a federazione: “Sganciarsi dall’idea di uno Stato centrale per poter ragionare seriamente e serenamente in termini federalistici”.

Una federazione che abbia competenze determinate per poter risolvere le sfide di una società globale alle quali gli Stati-nazione non possono trovare da soli le risposte e che garantisca a livello locale il rapporto con il cittadino, necessario a garantire quella sovranità che ora sente di aver perduto. “Il Comune – sottolinea Scalfari – il municipio nelle metropoli, è il punto in cui si realizza al meglio la partecipazione, mano mano che si sale si può avere solo una democrazia indiretta”.

Non bisogna quindi chiedersi se vogliamo l’Europa, ma quale Europa vogliamo e come poterla costruire, come la sua articolazione possa difendere quei valori che riconosciamo come fondanti. Repubblica delle idee ha scelto Venezia per parlarne proprio perché “questa terra – come ha detto il direttore Ezio Mauro – quando parla di Europa parla di se stessa”. La quinta edizione termina quindi tra gli applausi del pubblico del Teatro Toniolo e con l’invito di Ezio Mauro a partecipare alle prossime tappe: “Abbiamo scelto questa notte dove andremo nel 2014, ma devo ancora avvertire il sindaco, quindi non posso dirlo”.




diritto d’asilo e alla sicurezza

migranti

un contributo alla riflessione su un problema da troppo tempo di drammatica attualità:

Diritto all’asilo e alla sicurezza

(Tito Boeri).

 

Almeno 6.772 persone, quasi 2 al giorno, sono morte negli ultimi 10 anni nell’attraversamento del Canale di Sicilia, in cerca di asilo. È una stima per difetto perché di molti barconi e persone inghiottite dal mare non si è mai avuto notizia. Il presidente del Consiglio Letta ha annunciato, da oggi, un impegno straordinario del nostro Paese con missioni navali ed aerei per rendere il Mediterraneo il mare più sicuro possibile.

Speriamo che serva almeno a contenere questa macabra contabilità. Qualche ragione per dubitarne purtroppo c’è. Molti affondamenti sono coincisi proprio con l’avvistamento di una nave o di un aereo, per via della concitazione a bordo di imbarcazioni sovraffollate. Già prima del naufragio dell’Isola dei Conigli erano state salvate, secondo i siti specializzati, circa 2.200 persone: quindi i pattugliamenti c’erano già e non hanno evitato quelle stragi. Il fatto è che il monitoraggio, per quanto accurato, non riesce a identificare piccole imbarcazioni alla deriva, specie in condizioni meteorologiche avverse. Infine, anche se il piano funzionasse davvero, rendendo il mare un po’ più sicuro c’è sempre il rischio di spingere più persone a mettersi in mare su imbarcazioni di fortuna con il risultato, alla fine, di aumentare il numero dei morti anziché ridurlo.
Bisogna quindi fare di più se vogliamo che il sentimento di vergogna per queste morti si trasformi in energia positiva. Molto spetta all’Europa, ma non deve essere un alibi perché abbiamo parecchio lavoro da fare anche da noi.
Cominciamo dall’Europa. Nelle ultime settimane, grazie anche alle pressioni del governo italiano, ci sono stati segnali di una maggiore attenzione che in passato. Bene approfittarne. Date le proporzioni del conflitto in Siria e il numero di potenziali richiedenti asilo (si parla di 2 milioni), ci sono gli estremi per richiedere un regime di protezione temporanea per gestire la crisi. Questo significa spartire l’onere di fornire asilo fra i paesi membri, alleggerendo quelli di frontiera. È un principio giusto perché è opportuno condividere non solo l’onere di protezione delle frontiere (e a tal fine bisognerebbe rifinanziare Frontex e coprire anche le missioni italiane di questi giorni), ma anche quello di accoglienza. Prendendo queste decisioni a livello europeo, è possibile sottrarle alla demagogia di politici locali che vogliano cavalcare i sentimenti anti-immigrati latenti nell’elettorato. Degno di nota il fatto che i paesi che hanno ristretto maggiormente le politiche d’asilo negli ultimi anni sono proprio quelli cui non si applicano le direttive comunitarie sull’asilo, come il Regno Unito, mentre in Norvegia il partito uscito vincente dal voto sta stringendo un accordo con l’ultradestra xenofoba attorno al restringimento delle politiche d’asilo. Per gestire la protezione temporanea bisognerebbe creare un fondo di solidarietà a livello europeo, sapendo che la concessione dell’asilo ha costi non indifferenti (si stima il costo dei 26 mila richiedenti asilo in Italia nel caso dell’emergenza Nordafrica in circa un miliardo e 400 milioni nel giro di due anni).
Ma anche il cosiddetto burden sharing (condivisione degli oneri dell’asilo) non risolve il problema delle morti nel Mediterraneo perché interviene solo
ex post, una volta che queste persone sono arrivate in qualcuno dei paesi dell’Unione, con tutti i rischi che questo viaggio della speranza comporta. Né sembra possibile organizzare esodi di massa dai paesi in conflitto, dato il numero potenzialmente incontrollato delle persone che ne potrebbero trarre vantaggio e la stessa indeterminatezza circa i paesi in conflitto (molti dei disperati arrivati a Lampedusa provenivano dall’Eritrea, non dalla Siria). Serve, invece, dare la possibilità di formulare domanda di asilo ancora prima di mettersi in viaggio verso l’Unione. Questo permetterebbe a molti di viaggiare in condizioni più sicure: oggi il viaggio in aereo viene reso impossibile non tanto dai costi (i sopravvissuti raccontano di 1.500 o 2.000 euro pagati per salire sulle navi delle morte, molto di più di quanto costerebbe un regolare biglietto d’aereo), ma dal fatto che le compagnie aree si rifiutano di accogliere a bordo chi non ha un visto per paura di incorrere in sanzioni e oneri di rimpatrio. Inutile sottolineare che, anche in questo caso, è molto probabile che ci sia un numero altissimo di domande d’asilo. Bisognerebbe perciò porre dei limiti alle domande che possono essere accolte e stabilire dei meccanismi di selezione, ad esempio in base alla gravità del conflitto, alla presenza di bambini o anziani fra i richiedenti, eccetera… Questo comporta un cambiamento non piccolo della normativa comunitaria che oggi attribuisce un diritto soggettivo all’asilo da parte di chiunque metta piede sul territorio dell’Unione fuggendo da una zona di guerra. È una normativa che era stata creata per gestire i piccoli numeri dei rifugiati politici, non i milioni di persone che hanno la sfortuna di vivere in aree in conflitto. Bene prenderne atto e porvi rimedio prima che venga del tutto annullato il diritto d’asilo per via delle reazioni dell’opinione pubblica, come avvenuto in Germania con la cancellazione di norme costituzionali dopo l’arrivo di 500 mila rifugiati bosniaci. Fondamentale anche che l’Unione aiuti i paesi ai confini delle aree in conflitto, come la Giordania, in cambio della loro cooperazione nella gestione dell’emergenza profughi.
Mentre l’Europa deve costruire le sue politiche d’asilo e dotarsi di un fondo di solidarietà per gestirle, noi dobbiamo rimettere mano alle nostre politiche dell’immigrazione economica, che portano anch’esse una responsabilità non indifferente nel cimitero Mediterraneo perché molte vite umane troncate sono di persone che non fuggivano dalla guerra ma dalla miseria. In questi giorni si parla molto di abolire la Bossi-Fini e soprattutto il reato di immigrazione clandestina. Sono scelte condivisibili, ma irrilevanti nel gestire l’emergenza umanitaria. Il reato di immigrazione clandestina non è in realtà quasi mai applicato. Ha il solo effetto, imponendo sanzioni inesigibili, di appesantire il lavoro dei nostri Tribunali. Sacrosanto toglierlo dal nostro ordinamento, ma sapendo che è un problema che ha a che fare più con la riforma della giustizia che con la riforma delle politiche dell’immigrazione. Quanto alla Bossi-Fini, credo di essere stato uno dei primi a denunciarne l’inadeguatezza e la demagogia. Ma ciò che va cambiato nelle nostre leggi di immigrazione per evitare nuove stragi in mare, ha a che vedere con norme che erano già nelle leggi antecedenti, a partire dalla Turco-Napolitano. Si tratta dell’ipocrisia secondo cui è possibile trovare un lavoro agli immigrati quando sono ancora nel paese di origine. Come se avessimo centri dell’impiego che funzionano nell’Africa sub-sahariana, quando non riusciamo a far funzionare neanche quelli di molte regioni italiane. Questa ipocrisia impone agli immigrati di arrivare illegalmente da noi, con mezzi di fortuna e ricorrendo a scafisti senza scrupoli. Bisognerebbe, invece, permettere un numero di ingressi realistico, che tenga conto delle esigenze non solo delle imprese ma anche delle famiglie italiane, e permettere alle persone che vogliono lavorare in Italia di arrivare da noi con visti temporanei, finalizzati alla ricerca di un posto di lavoro.

Da La Repubblica del 14/10/2013.




da ateo ho imparato dal card. Martini

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Giulio Giorello 

La lezione di Martini. Quello che da ateo ho imparato da un cardinale

Martini vivant! avrebbe scritto un altro più celebre ateo, Jean Paul Sartre. Scorrendo infatti le pagine commosse di questo libro non possono che venire in mente gli elogi post mortem che il filosofo dell’esistenzialismo aveva profuso ai suoi amici-avversari (Merleau Ponty o Camus giusto per fare qualche nome). Giorello marca le differenze emotive e sostanziali con il cardinal Martini, ma ne traccia un ritratto di uomo e pastore intellettualmente onesto e aperto al dialogo. Un libro che acquista un sapore nuovo in tempi in cui un papa emerito scrive a un matematico impertinente e un papa in carica risponde alle sollecitazioni del decano dei giornalisti dichiaratamente ateo. Tempi di interlocuzione e confronto, dunque. Ma ne “La lezione di Martini” c’è una pregnanza ulteriore. Finanche qualcosa da imparare, per un ateo, da un principe della Chiesa. Con un velo di ironia Giorello dichiara che taluni atei integralisti non gli perdoneranno l’ammirazione che egli nutre per Martini che chiamerà ad un certo punto “il mio arcivescovo”.

Giorello venne chiamato proprio da Martini alla “Cattedra dei non credenti” che il cardinale volle nella diocesi ambrosiana. Niente a che vedere con l’annacquato Cortile dei Gentili di ravasiana memoria, ma un luogo irripetibile di confronto tra credenti ed atei pensanti, che i successori Tettamanzi e Scola non saranno all’altezza di ripetere. Tra queste pagine vengono riportati alcuni stralci delle lezioni martiniane (in particolare l’XI sessione) alla “Cattedra” e a emergere è una figura che guarda al relativismo non come una iattura ma come atteggiamento propedeutico per la ricerca della verità, un rifiuto endemico per ogni egemonia (foss’anche in nome della verità), una rara capacità di ascolto ed interlocuzione. Lo stesso Martini dimessosi da cardinale e in ritiro a Gerusalemme per ritrovare le radici di una Chiesa che riteneva “indietro di almeno 200 anni” e per la quale negli ultimi tempi, in preda al Parkinson che lo costringerà a ritornare in Italia, non cessava di pregare, che ebbe a dire che “la solitudine è forse il carattere più drammatico della vita di ogni essere umano”.

Questa è la lezione profetica di Martini, antesignano di una Chiesa ancora di là da venire perché sono “i sognatori a tenere aperte le sorprese dello Spirito”. Un libro tenue e senza asprezze, ricco di suggestioni e dal profilo etico altissimo, dove aldilà delle latitudini fa capolino la parola “amicizia” che azzera ogni differenza.




in ripresa l’industria lucchese?

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In ripresa l’industria lucchese, ma raddoppia la cassa integrazione. Bene nautica, calzaturiero e cartario, salgono i prezzi dell’alimentare

 Dopo sei trimestri consecutivi l’industria lucchese interrompe la flessione produttiva e di fatturato, facendo segnare nel secondo trimestre 2013 un lieve miglioramento degli indicatori, unica provincia Toscana a non registrare perdite ulteriori rispetto al disastroso 2012. Galeotti: “In aumento la fiducia, ma raddoppiate le ore di cassa integrazione richieste rispetto all’anno precedente”. Benissimo la nautica, bene calzaturiero e carta, ancora in calo i settori metalmeccanico, marmo e alimentare, con quest’ultimo che fa registrare il vertiginoso aumento del 10% dei prezzi.

L’indagine congiunturale condotta dalla Camera di Commercio e dall’Associazione degli Industriali di Lucca relativa al secondo trimestre 2013 ha evidenziato una tenuta della produzione dell’industria manifatturiera provinciale (+0,2% contro il -1,8% del valore regionale) e del fatturato (+0,3% contro -3,0% della media toscana), rispetto allo stesso periodo del 2012.

“Purtroppo – sottolinea la presidente dell’Associazione degli Industriali di Lucca, Cristina Galeotti – perdura l’eccesso di capacità produttiva con la conseguente necessità di un ricorso a ristrutturazioni degli organici. Nei primi otto mesi del 2013, infatti, le ore autorizzate di Cassa Integrazione Ordinaria nel manifatturiero sono raddoppiate rispetto al 2012 e quelle di Cassa Straordinaria hanno mostrato una crescita allarmante in seguito al susseguirsi di crisi aziendali. Tuttavia a settembre si intravedono i primi segnali di un calo delle richieste di Cassa Integrazione Ordinaria da parte delle imprese industriali della provincia”.

Chiaramente i parametri di confronto sono quelli del disastroso 2012, ma a Lucca come nel resto del Paese il secondo e il terzo trimestre del 2013 hanno fatto segnare timidi segnali di ripresa che certamente avevano fatto sperare in una risalita, seppur lentissima. Adesso bisognerà vedere quale sarà l’impatto dell’aumento dell’Iva sulla lieve ripresa per poter essere certi che a piccoli passi la contingenza stia diventando più favorevole.

Sul fronte dei prezzi, rimane stazionario il livello medio (+0,3%) per quasi tutti i comparti, con l’unica eccezione del settore alimentare (+10%) a causa della crescita a ritmo elevato del prezzo dell’olio di oliva. Riguardo agli ordinativi, si registra una sostanziale stabilità (+0,6%), mentre a livello regionale prosegue la perdita di commesse (-2,7%). Nel complesso, gli ordinativi dall’estero fanno registrare un aumento significativo (+1,6%). Resta comunque elevata l’incidenza del fatturato estero per le imprese esportatrici lucchesi (45,2%), a testimonianza del forte orientamento verso i mercati internazionali. Rimane stabile l’andamento occupazionale rispetto al trimestre precedente sia a livello provinciale che nel complesso regionale (rispettivamente +0,1% e +0,5%).

“L’andamento produttivo a livello settoriale – spiega il presidente della Camera di Commercio, Claudio Guerrieri – è abbastanza eterogeneo con settori che mostrano sensibili segnali di ripresa ed altri che risentono ancora delle difficoltà del periodo. La nautica, settore che chiude il trimestre con la crescita più consistente, registra infatti un incremento produttivo del +21,3% dopo il +4,9% del primo trimestre; positivi i risultati anche per il tessile, abbigliamento e calzature (+7,0%) grazie al contributo delle calzature (+10,5%). In crescita anche l’elettronica (+4,7%) e la carta (+2,5%). Invece, prosegue il calo della produzione per gli altri settori. Flessione avvertita in misura maggiore dalla metalmeccanica (-7,5%), all’interno del quale il comparto della meccanica registra le perdite maggiori (-10,5% contro il -3,5% dei metalli). In calo anche il marmo (-4,7%) e il comparto alimentare (-4,8%)”.

“Un ultimo elemento confortante – conclude Cristina Galeotti – risiede nelle previsioni relative al terzo trimestre: nella valutazione della maggior parte degli imprenditori intervistati, infatti, trova conferma un miglioramento del clima di fiducia anche nei prossimi mesi”.

“I dati congiunturali relativi all’andamento dell’industria indicano finalmente segnali positivi – commenta il presidente della Provincia Stefano Baccelli -. Nessuno sa dire se questo significa che siamo usciti definitivamente dal tunnel della crisi. Sicuramente, è una boccata di fiducia di cui tutta l’economia locale avrebbe bisogno. E non è un caso che tra gli imprenditori intervistati si manifesti un clima di rinnovato ottimismo. Come Provincia siamo soddisfatti della conclusione del processo di cablaggio a fibra ottica che presenteremo nei prossimi giorni in occasione del Miac 2013”.

@LoSchermo




i rom sono ladri: bifera al Parlamento Europeo

 

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il parlamentare europeo italiano, tale Morganti, di Prato, accusa i rom di essere ladri e suscita una bufera e una dura reazione di Viviane Reding, vice presidente della Commissione Europea e responsabile per la Giustizia:

 Viviane Reding: “Provo vergogna per certe parole”

“Ho davvero provato vergogna di essere presente e aver ascoltato certe parole”. Cosi’ Viviane Reding, vicepresidente della Commissione europea e responsabile per la Giustizia, ha reagito agli attacchi ai Rom fatti da alcuni eurodeputati euroscettici, tra i quali il pratese Claudio Morganti (ex Lega Nord), l’indipendentista fiammingo Philip Claeys (Vlaams Belang), il bulgaro di estrema destra Dimitar Stoyanov ed il britannico Paul Nuttall dell’Ukip, durante il dibattito in aula. “I Rom sono esseri umani – ha aggiunto Reding – Dobbiamo smetterla di stigmatizzare alcuni nostri concittadini a causa della loro origine etnica”. Negli interventi degli euroscettici e della destra i Rom sono stati additati come dediti al furto e all’accattonaggio. Morganti ha affermato che a una comunita’ Rom di Pisa “sono state regalate, con soldi nostri, villette con tutti i confort”, e che esse sarebbero state “usate come base operativa per il saccheggio delle nostre case, tanto che vi sono stati trovati oggetti rubati per un valore di 300.000 euro”. Ha inoltre parlato di una ragazza “maltrattata e seviziata per costringerla a sposare un Rom”.




il grido di Gad Lerner, il grido di ciascuno di noi

Non perdete tempo: ci vogliono i traghetti, ci vuole pietà

Immigrazione: barcone in difficoltà, persone in mare

Continuano a morire in mezzo al mare, dopo essersi spogliati di ogni loro avere per pagare cifre assurde agli scafisti che organizzano il viaggio. Ieri notte altri 50 annegati al largo di Malta, e fra loro 10 bambini. Vero è che stavolta l’intervento è stato tempestivo, consentendo il salvataggio di circa 250 migranti. Ma è chiaro che il pattugliamento da solo non basta, svolge una funzione meramente contenitiva, del tutto inadeguata. Ci vogliono i traghetti per far viaggiare le persone al sicuro. Traghetti e voli charter. Istituendo postazioni dell’Onu e dell’Ue nei principali porti di partenza in Libia, Egitto e Tunisia, per identificare e dotare di documenti provvisori i profughi, Non si può perdere altro tempo, se abbiamo un minimo di pietà.

 




p. Maggi commenta il vangelo della domenica

 

 

p. Maggi
13 ottobre 2013

 (28° domenica del tempo ordinario)
NON SI E’ TROVATO NESSUNO CHE TORNASSE INDIETRO A RENDERE GLORIA A DIO, ALL’INFUORI DI QUESTO STRANIERO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi
Lc 17,11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti».
E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Il vangelo di questa domenica, il vangelo di Luca, capitolo 17, versetti 11-19, sembra apparentemente semplice, una lettura molto facile. In realtà è forse uno dei brani del vangelo di Luca tra i più complessi e i più complicati.
Vediamo un po’ di comprendere le contraddizioni e i significati che l’evangelista ci vuol dare in questo brano. Scrive Luca: Lungo il cammino verso Gerusalemme. L’evangelista adopera il termine greco Ierusalem che indica la città santa. Gesù va per lo scontro finale con quella che era la Santa Sede dell’epoca, l’istituzione più sacra che esistesse al mondo, dove c’era il tempio del Signore.
E Gesù va per scontrarsi con questa istituzione. L’itinerario che l’evangelista presenta però è alquanto strano. Luca scrive che Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Avrebbe dovuto scrivere che attraversava la Galilea e poi la Samaria. Infatti se abbiamo più o meno un’idea di com’era la Palestina al tempo di Gesù, al nord c’è la Galilea, al centro c’è la Samaria, la regione
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abitata dagli eretici, dalle persone considerate le più ripugnanti e più lontane da Dio, e infine al sud c’era la Giudea con Gerusalemme.
Quindi l’evangelista avrebbe dovuto scrivere che Gesù attraversava la Galilea e la Samaria. Perché invece l’evangelista dice che attraversava la Samaria e la Galilea? Perché vuole incentrare l’attenzione del lettore su quello che avviene in terra di Israele, in Galilea.
Entrando in un villaggio… Ecco l’evangelista ci da delle indicazioni preziose che aiutano l’interprete, il commentatore. Quando nei vangeli appare il termine “villaggio”, si intende sempre ostilità, incomprensione o rifiuto del messaggio di Gesù. Come mai questo? Perché il villaggio è il luogo ancorato alla tradizione, il luogo sottomesso alla città.
Ma mentre nella città le mode vanno, vengono, cambiano, nel villaggio attecchisce la tradizione. Quindi il villaggio è là dove vige l’imperativo “perché cambiare si è sempre fatto così”. Quindi tutte le volte che nel vangelo troviamo l’indicazione “villaggio”, indica il luogo della tradizione ad oltranza e l’incomprensione o il rifiuto del messaggio di Gesù.
E qui c’è una sorpresa, Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi. Non è possibile. I lebbrosi non potevano stare in un villaggio. I lebbrosi, in quanto infetti, causa di infezione, dovevano stare fuori dal villaggio. Come mai qui l’evangelista ci dice che questi lebbrosi stanno dentro al villaggio? L’evangelista, al di là del racconto storico, ci vuole dare indicazioni preziose: quanti vivono all’interno della tradizione, quanti vivono sottomessi alla religione tradizionale, sono come i lebbrosi, cioè sono impuri.
Non hanno nessuna possibilità di contatto con Dio. Questi sono lebbrosi proprio perché stanno dentro al villaggio. E qui l’atteggiamento di questi lebbrosi è abbastanza strano. Si fermarono a distanza. Da una parte l’evangelista ha detto che gli vennero incontro, e dall’altra si fermano a distanza.
Da una parte trasgrediscono alla legge che impediva ad un lebbroso di avvicinarsi alle persone, ma dall’altra la osservano. Attraverso l’immagine di questi lebbrosi l’evangelista vuol far vedere il difficile cammino dei discepoli, che sono affascinati dalla parola di Gesù, dalla libertà che il suo messaggio comporta, ma sono ancora schiavi della tradizione religiosa che hanno nel sangue.
E dissero ad alta voce: “Gesù” … e la traduzione dice “maestro”, ma in realtà è “capo”, ebbene così in questo vangelo si sono rivolti a Gesù soltanto i discepoli e in particolare Pietro. E’ un artifizio letterario con il quale l’evangelista vuole indicare che nella figura di questi lebbrosi lui vuole rappresentare i discepoli. E proseguono: “Abbi pietà di noi!” Quindi da una parte sono sottomessi a una religione che impedisce loro la piena comunione con Dio, e dall’altra vorrebbero esserne liberati, ma non ne hanno le forze, chiedono aiuto a Gesù.
Appena li vide, Gesù disse loro… Gesù non li guarisce, Gesù non li cura, ma dà loro un comando: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Gesù li invita ad uscire dal villaggio, i sacerdoti stavano a Gerusalemme, quindi Gesù li invita ad abbandonare il luogo della tradizione, della tradizione religiosa, dove vige l’imperativo, questa sì che è l’autentica lebbra che impedisce agli uomini il rapporto con Dio. Si è sempre fatto così, perché cambiare? 2
Infatti, mentre essi andavano, furono purificati. Gesù non compie nessuna azione sui lebbrosi, Gesù li invita ad uscire dal villaggio. Quando escono dal villaggio, prima ancora di arrivare dai sacerdoti per accertare l’avvenuta guarigione, ecco che si trovano purificati. Ma c’è una sorpresa. Uno di loro, vedendosi guarito, quindi Gesù guarisce, purifica tutti e dieci, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi – mettersi ai piedi di qualcuno era segno di discepolato – per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ecco la sorpresa dell’evangelista. Sono guariti tutti e dieci, sono purificati, ma uno soltanto torna per ringraziare. E chi lo fa? La persona più lontana da Dio, la persona esclusa da Dio, la persona per la quale non c’era salvezza. La persona il cui solo nome, Samaritano, era qualcosa di ripugnante. Dare del Samaritano a una persona era il peggiore degli insulti possibili, quando vogliono offendere Gesù gli danno del Samaritano.
Quindi la persona più lontana da Dio, la persona che si ritiene esclusa da Dio, è colui che invece percepisce l’azione di Dio nella sua vita. Ed infatti Gesù osservò: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio” … Rendere gloria a Dio era un privilegio esclusivo del popolo di Israele, dal quale i Samaritani erano esclusi … “all’infuori di questo straniero?” cioè della persona più lontana da Dio.
E gli disse: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!” L’evangelista con questo brano ci indica e ci insegna che cos’è la fede. Che cos’è la fede? Molti ritengono la fede un dono di Dio. Non è così. Se la fede fosse un dono di Dio avrebbero ragione molti che si sentono esentati dall’averla, dicendo: “A me Dio non l’ha data. Beato te che hai tanta fede”.
Oppure altri hanno fede, ma poi quando capita un rovescio nella vita, che può sempre succedere, dicono “Avevo tanta fede, ma poi l’ho persa”. No! La fede non viene da Dio, e la fede o c’è o non c’è. Non è che si ha per un po’ di tempo e poi si perde. La fede non è un dono di Dio agli uomini, ma è la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio fa a tutta l’umanità.
Ma, stranamente, in questo vangelo, quelli che vengono elogiati per la loro fede sono le persone ritenute più lontane da Dio. Sembra quasi che le persone che vivono all’interno di un sistema religioso abbiano come un filtro che impedisca loro di vedere l’azione di Dio e di avere fede. Infatti Gesù in questo vangelo elogia la fede di un centurione pagano, elogia la fede di una prostituta, il ricettacolo di ogni impurità, la persona più lontana da Dio.
Lo stesso Gesù elogia la fede di una emorroissa, una persona che era considerata impura come un lebbroso; Gesù elogia la fede del cieco, che era considerato un maledetto da Dio. Mentre, al contrario, Gesù rimprovera i suoi discepoli, gente di poca fede. La religione, tutto quell’insieme di pratiche, di credenze che sono state insegnate agli uomini, è il filtro che impedisce all’umanità di scorgere l’amore che Dio desidera comunicare ad ogni persona, nessuno escluso.
Non c’è nessuno al mondo che possa ritenersi escluso dall’azione di Dio. E’ la religione – ecco la vera lebbra – che divide tra puri e impuri, tra degni e no, tra meritevoli e no, ma non Dio. L’amore di Dio si rivolge a ogni creatura. Accoglierlo e rispondere, questo si chiama fede




Gesù tatuato

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Gesù tatuato, scoppia la polemica sulla pubblicità

Si tratta di una pubblicità di un sito, Jesustattoo.org, ma il cartellone che mostra Gesù tatuato in una cittadina del Texas, Lubbock, ha già acceso la polemica. Il Gesù tatuato, sulle braccia tese ha scritte parole come “Outcast”, “Addicted,” Jealous ”, ovvero “Reietto”, “Drogato”, “Geloso”.

E naturalmente i pareri si sono divisi tra coloro che hanno gridato al blasfemo e allo scandalo, e gli altri che hanno invece accolto la provocazione. Tra gli ultimi anche un pastore battista che ha affermato: “Penso che sia ben fatto. In fondo è una visuale di Gesù che prende cura di un uomo del popolo e dei suoi peccati, per portarlo verso un nuovo inizio”

Jesustatoo.org, si legge nel sito, è “un piccolo gruppo di persone umiliato dall’amore di Cristo. Non siamo una chiesa. Non stiamo vendendo nulla. Vi invitiamo a diffondere il messaggio di Cristo a più persone possibili”.