Gli studenti francesi si ribellano all’espulsione della ragazza rom

 

protesta

una ventina di licei parigine  sono stati occupati per esprimere solidarietà alla ragazza rom kosovara espulsa dalla Francia mentre era in gita scolastica

Il caso di Leonarda Dibrani continua a scuotere la Francia. Migliaia di studenti transalpini sono scesi nelle piazze per protestare contro l’espulsione della giovanissima ragazza kosovara, residente da alcuni anni in Francia, e prelevata dalla polizia durante una gita scolastica per essere poi rimpatriata. I giovani francesi hanno protestato con grande forza contro il trattamento subito dalla loro coetanea, che ha scandalizzato una parte significativa dell’opinione pubblica. Le Monde informa come una ventina di licei parigini siano stati occupati per esprimere solidarietà a  Leonarda Dibrani così come a Khatchick Kachatryan, un altro ragazzino espulso sabato scorso in Armenia nonostante frequentasse un liceo della capitale francese. Ieri le strade di Parigi sono state percorse da migliaia di studenti che protestavano contro il governo socialista, prendendosela in particolar modo con il ministro degli Interni Valls. Le proteste non si sono svolte solo nella capitale transalpina, ma hanno avuto luogo anche in altre città francesi come Avignone. Oggi la mobilitazione degli studenti è stata ancora più massiccia, e cresce ancora di più l’imbarazzo della gauche, ritornata all’Eliseo solo l’anno scorso dopo quasi vent’anni di “esilio conservatore”.

La difficoltà del governo sono accresciute dalla ricostruzione dell’espulsione di Leonarda. La ragazza, come ha raccontato un’associazione per i diritti umani che ha rivelato il caso, sarebbe stata prelevata dalle polizia mentre era su un pullman durante una gita scolastica. Gli agenti hanno eseguito l’ordine di espulsione che spiccava da tempo sulla sua famiglia. Leonarda Dibrani viveva da cinque anni in un centro di accoglienza per i richiedenti asilo, a Levier, nel dipartimento del Doubs, ai confini con la Svizzera, assieme alla sua famiglia, composta dai genitori e da cinque figli. Da tre anni Leonarda frequentava la scuola pubblica. Il suo francese è perfetto mentre non parla più l’albanese, l’idioma prevalente del Kosovo, dove non risiedeva più dall’età di quattro anni. Da tempo si sapeva che la famiglia Dibrani fosse espulsa e rinviata nel Kosovo, come in effetti è avvenuto. In queste ore è emerso che il padre la picchiasse, così come capitava alla madre o alle sorelle di Leonarda. Le modalità da retata di polizia dell’espulsione hanno fatto scoppiare un’ondata di indignazione.  La portavoce del governo francese ha parlato di condizioni scioccanti, ribadendo però come i fatti debbano ancora essere confermati da un’indagine amministrativa. Il caso però ha messo in ulteriore difficoltà il presidente Hollande, crollato ormai al 25% di popolarità. L’opinione pubblica progressista si sta sempre più allontanando dal “suo governo”, mentre il ministro più popolare rimane Valls, che però è ormai apprezzato più da elettori di destra che di gauche.




i ‘cattoconservatori’ americani e papa Francesco

 

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

no, decisamente non va giù ai ‘cattoconservatori’ americani, come del resto anche ai nostri ‘atei devoti’ cavalcati da ‘il Foglio’ di G. Ferrara, papa Francesco colpevole di cedere troppo alla ‘cultura moderna’ rinnegando la certezza della dottrina tradizionale e scivolando rapidamente verso un soggettivismo e relativismo pericolosi!

I cattoconservatori americani e papa Francesco

di Massimo Faggioli
 

Papa Francesco ha incontrato finora quasi universale approvazione, ma se c’è un paese in cui i cattolici sono divisi su Bergoglio è la chiesa a stelle e strisce. Un articolo pubblicato dal Washington Post il 15 ottobre 2013 metteva il dito nella piaga, offrendo una piattaforma giornalisticamente credibile ad una platea di cattolici che usualmente parla a se stessa e ai propri adepti, nei loro circoli, le loro riviste, i loro blog. Ma il problema è reale, ed è tipico della chiesa americana e delle sue specificità. Da un lato, vi è una questione di rapporto tra cattolici e non cattolici americani, o, se si vuole, un problema di “quote di mercato”: un papa troppo ecumenico e troppo accogliente, che rigetta il meccanismo dell’esclusione per costruire una identità religiosa, rischia, agli occhi dei cattolici identitari americani, di indebolire il “brand” cattolico. Ma c’è una questione più interessante, interna al cattolicesimo americano: la chiesa Usa è altamente polarizzata e divisa al suo interno. La chiesa cattolica negli Stati Uniti vive a stretto contatto con un ambiente democratico, e in particolare in una democrazia che non è “consensuale” come le democrazie europee basate su alleanze multi-partitiche, ma è una democrazia “concorrenziale”, cioè con due partiti politici alternativi. In questo contesto democratico-competitivo, la Chiesa cattolica ha assorbito alcuni di questi meccanismi al suo interno, anche per quanto riguarda l’ethos della partecipazione nella Chiesa. La partecipazione nella chiesa degli Stati Uniti è guidata spesso da visioni “competitive”, alternative, più che da istinti “consensuali”. Risulta così chiaro perché i “valori non negoziabili” sono diventati così importanti per il cattolicesimo americano: non solo a causa del proverbiale puritanesimo degli americani (anche cattolici), ma anche a causa della cultura politica americana. L’ethos democratico è diventato parte della cultura della Chiesa, ma nella chiesa degli Stati Uniti questo ha creato più “concorrenza” che “consenso”. Papa Francesco ha iniziato il suo pontificato riaprendo programmaticamente le porte ad una lunga serie di esclusi da una chiesa dalle tendenze neo-esclusiviste. È ovvio che i cattolici conservatori siano i più scettici riguardo i nuovi accenti del pontificato di Bergoglio. Che queste voci scettiche arrivino dagli Stati Uniti ha a che fare non solo con la cultura religiosa americana, ma anche con quella politica – quella che sta portando il paese al default, alla bancarotta: quello che papa Francesco vuole evitare per la chiesa cattolica.




‘primato della coscienza’ e ‘relativismo’

vito-mancuso

il teologo V. Mancuso ne ‘la Repubblica’ di ieri risponde in modo eccellente e lucidamente argomentato non solo all’accademico olandese Jan Buruna e alle sue convinzioni che l’invito a seguire la propria coscienza come il luogo della ricerca della verità fatta agli atei da parte di papa Francesco sia in linea perfetta con “l’estremo individualismo della nostra epoca postmoderna”, ma anche alla critica che da diverso tempo , non solo ampi settori della destra americana, ma in modo particolare da noi su ‘il Foglio’ rivolgono a papa Francesco di rinnegare la posizione ortodossa tradizionale della chiesa cattolica per adottare o scivolare verso un ‘relativismo assoluto’ della verità

 Il primato della coscienza

di Vito Mancuso

 L’accademico olandese Ian Buruma affermava martedì su questo giornale che il pensiero di papa Francesco sul primato della coscienza “ben si accorda con l’estremo individualismo della nostra epoca” e, dichiarato il suo sconcerto al riguardo, presentava quale icona-simbolo della posizione papale niente di meno che Edward Snowden, l’uomo che per seguire la propria coscienza è giunto a svelare i segreti dello spionaggio statunitense. Ma che cosa ha a che fare questo estremo individualismo con la posizione papale? Ben poco, probabilmente nulla. Quando si parla di etica si tratta in primo luogo di rispondere a questa domanda: esiste il bene, il bene come qualcosa di universale e di oggettivo che vale per tutti senza dipendere dalle circostanze, oppure tutto dipende dalle circostanze e non esiste il bene ma solo il conveniente? Questa è la domanda numero uno della teologia morale. La domanda numero due consegue logicamente: ammesso che questo bene universale esista, qual è, come si riconosce, chi lo può riconoscere? La risposta del cattolicesimo, riprodotta alla perfezione nella lettera del Papa a Scalfari oggetto della polemica di Buruma e soprattutto di alcuni cattolici tradizionalisti, è semplice e chiara: 1) esiste un bene comune a tutti gli uomini, universale, oggettivo, che non dipende dalle circostanze o dai sentimenti o dalle emozioni, ma che si sostanzia nella natura delle cose; 2) tale bene consiste in ciò che favorisce la vita e come tale ogni uomo può riconoscerlo mediante la luce della propria coscienza. La capacità di conoscere il bene oggettivo mediante la coscienza soggettiva viene espressa dal cattolicesimo con il concetto classico di sinderesi, definito dal Catechismo “la percezione dei principi della moralità” (art. 1780; cf. anche Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, q. 79, a. 12). Il termine viene dal latino synderesis, che riproduce il greco syneidesis, cioè appunto “coscienza”. La sinderesi esprime la capacità luminosa di ogni coscienza umana di riconoscere il bene anche a prescindere dal proprio interesse e dalle diverse circostanze storiche e geografiche, la capacità di sapere se si sta facendo il bene oppure no, fondando così ciò che Hans Jonas ha chiamato “il principio-responsabilità”, ovvero la capacità di giudizio responsabile, a sua volta fondato sulla realtà della libertà. Solitamente ci si riferisce a questa dimensione dicendo “luce della coscienza”, o anche “voce della coscienza”. È netta la differenza rispetto all’individualismo estremo che Ian Buruma attribuisce al Papa: l’individualismo definisce il bene a partire da sé, a suo uso e consumo, papa Francesco invece dice che il bene è oggettivo ma si può riconoscere e praticare solo passando attraverso la coscienza e che per questo “obbedire a essa significa decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male”. Il primato della coscienza (non ontologico, ma gnoseologico) è un concetto peculiare del cattolicesimo che papa Francesco non ha fatto altro che ripresentare, e il fatto che suoni tanto nuovo dovrebbe portare a seri interrogativi sulla qualità di un certo cattolicesimo di corte predominante negli ultimi decenni, smanioso di apparire ortodosso ma in realtà spesso amante del potere e tale da tradire lo spirito interiore più autentico del cattolicesimo. Esattamente in linea con quanto affermato dal Papa rispondendo a Scalfari, si muove un documento della Commissione Teologica Internazionale (organismo di nomina pontificia composto da una trentina di eminenti teologi) del 6 dicembre 2008 intitolato “Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale”. Dopo aver introdotto il principio della sinderesi, il documento magisteriale afferma che il bene morale “rende testimonianza a se stesso ed è compreso a partire da se stesso” (n° 56). In precedenza le diverse religioni erano presentate come “testimoni dell’esistenza di un patrimonio morale largamente comune”, il quale “esplicita un messaggio etico universale immanente alla natura delle cose e che gli uomini sono in grado di decifrare” (n° 11). Sono parole potentissime che indicano che per la vita morale non sono indispensabili leggi, codici, esteriorità,
autorità: esiste un messaggio etico “immanente” nella natura delle cose, e gli uomini, credenti o no, con la loro coscienza, sulla base della sinderesi, “sono in grado di decifrarlo”. Ne viene che ognuno con la sua ragione può essere in grado di stabilire cosa è giusto fare e cosa evitare, basta che sia onesto con se stesso. Naturalmente ciò non è per nulla facile, e per questo sono di aiuto le leggi, i codici e tutti gli apparati esteriori promossi dall’autorità, i quali però devono venire ultimamente vagliati, e per così dire autorizzati, dalla luce della coscienza. La tradizione cattolica è chiara al riguardo. Così la Bibbia: “La coscienza di un uomo talvolta suole avvertire meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare” (Siracide 37,14). Così san Paolo: “Tutto ciò che non viene dalla coscienza è peccato” (Romani 14,23). Così Gesù: “Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Luca 12,57). Tra le numerose auctoritates ecco il cardinale John Henry Newman: “Certamente se dovessi coinvolgere la religione in un brindisi al termine di una cena berrei alla salute del Papa, se vi farà piacere; ma prima alla coscienza, e poi al Papa”; ecco il Vaticano II: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria… nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali” (Gaudium et spes16); ecco il giovane Joseph Ratzinger: “Al di sopra del Papa come espressione del diritto vincolante dell’autorità ecclesiastica, sta ancora la coscienza individuale, alla quale prima di tutto bisogna ubbidire, in caso di necessità anche contro l’ingiunzione dell’autorità ecclesiastica” (citato da Hans Küng nel primo volume della sue Memorie); ecco il Catechismo attuale: “L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza” (art. 1800). Ed ecco la Commissione Teologica al paragrafo 59 del documento citato: “Soltanto la coscienza del soggetto, il giudizio della sua ragione pratica, può formulare la norma immediata dell’azione”; e subito di seguito: “La legge morale non può essere presentata come l’insieme di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione”. Questo è il nucleo della più genuina tradizione cattolica: il processo della decisione è eminentemente personale. Nessun individualismo quindi, semmai personalismo, che è ben altra cosa. Possono perciò stare tutti tranquilli: papa Francesco è perfettamente cattolico! Ma proprio per questo egli riproduce il paradosso già avutosi con il cardinal Martini, di riuscire a essere veramente universale e a toccare il cuore di molti, non credenti compresi.