il papa contro la guerra

il papa

Testo integrale dell’omelia di Papa Francesco per la Veglia di pace in Piazza San Pietro.

«Dio vide che era cosa buona» . Il racconto biblico dell’inizio della storia del mondo e dell’umanità ci parla di Dio che guarda alla creazione, quasi la contempla, e ripete: è cosa buona. Questo, carissimi fratelli e sorelle, ci fa entrare nel cuore di Dio e, proprio dall’intimo di Dio, riceviamo il suo messaggio. Possiamo chiederci: che significato ha questo messaggio? Che cosa dice questo messaggio a me, a te, a tutti noi?

Ci dice semplicemente che questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la “casa dell’armonia e della pace” ed è il luogo in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi “a casa”, perché è “cosa buona”. Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con il Dio che è amore, fedeltà, bontà si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione. Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero? Non è forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non è forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle città, nelle e tra le nazioni? E la vera libertà nella scelta delle strade da percorrere in questo mondo non è forse solo quella orientata al bene di tutti e guidata dall’amore?

Ma domandiamoci adesso: è questo il mondo in cui viviamo? Il creato conserva la sua bellezza che ci riempie di stupore, rimane un’opera buona. Ma ci sono anche “la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra”. Questo avviene quando l’uomo, vertice della creazione, lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà e si chiude nel proprio egoismo. Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto. Esattamente questo è ciò che vuole farci capire il brano della Genesi in cui si narra il peccato dell’essere umano: l’uomo entra in conflitto con se stesso, si accorge di essere nudo e si nasconde perché ha paura (Gen 3,10), ha paura dello sguardo di Dio; accusa la donna, colei che è carne della sua carne (v. 12); rompe l’armonia con il creato, arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo. Possiamo dire che dall’armonia si passa alla “disarmonia”? Possiamo dire questo, che dall’armonia si passa alla “disarmonia”? No, non esiste la “disarmonia”: o c’è armonia o si cade nel caos, dove c’è violenza, contesa, scontro, paura…
Proprio in questo caos è quando Dio chiede alla coscienza dell’uomo: «Dov’è Abele tuo fratello?». E Caino risponde: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Non si tratta di qualcosa di congiunturale, ma questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!
Dopo il caos del Diluvio, ha smesso di piovere: si vede l’arcobaleno e la colomba porta un ramo di ulivo. Penso anche oggi a quell’ulivo che rappresentanti delle diverse religioni abbiamo piantato a Buenos Aires, in Piazza de Mayo nel 2000, chiedendo che non sia più caos, chiedendo che non sia più guerra, chiedendo pace.

E a questo punto mi domando: E’ possibile percorrere un’altra strada? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo! La mia fede cristiana – la mia fede cristiana – mi spinge a guardare alla Croce. Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla Croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani e i fratelli delle altre Religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace! Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello – ma, penso ai bambini: soltanto a quelli … guarda al dolore del tuo fratello – e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità. Risuonino ancora una volta le parole di Paolo VI: «Non più gli uni contro gli altri, non più, mai!… non più la guerra, non più la guerra!» (Discorso alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965: AAS 57 [1965], 881). «La pace si afferma solo con la pace: la pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità» (Messaggio per Giornata Mondiale della pace 1976: AAS 67 [1975], 671). Fratelli e sorelle, perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo, questa sera, per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace. Così sia.




H. Kung e papa Francesco

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su ‘La Repubblica’ di oggi 7.9.2013 la bella intervista di H. Kung sulla positività del gesto forte e profetico di papa Francesco contro la guerra in Siria




p. Zanotelli e il no alla guerra!

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GLOBALIZZIAMO LA PACE!

di Alex Zanotelli

“NO alla guerra!”, ha gridato Papa Francesco per bloccare l’attacco militare alla Siria e ha indetto per il 7 settembre una giornata di preghiera e di digiuno, per scongiurare il flagello di un’altra guerra che potrebbe diventare mondiale .

Il nostro è un NO secco alla guerra in Siria. Dovremmo aver capito dalle guerre in Iraq, Afghanistan, Libia e Mali che questi interventi armati, che hanno costato la vita a milioni di civili innocenti, donne e bambini, non hanno risolto nulla. Basta con la GUERRA! “L’intervento americano in Siria nasce nell’illusione di una ‘guerra lampo’- ha scritto il massimo poeta arabo, il siriano Adonis. Rischia invece di sfuggire di mano, di aizzare il conflitto e di ripetere il peccato mortale in cui sono scivolati sia l’opposizione armata, sia il regime siriano. La guerra è un’attrazione demoniaca.” Per questo ascoltiamo il grido accorato di Papa Francesco: “Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come a un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione.” Ed esorta la comunità internazionale “a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in Siria, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana.”

Anche noi oggi ci uniamo a Papa Francesco e a tutti gli uomini/donne di buona volontà per dire NO a un attacco militare contro la Siria che mieterebbe altre vittime innocenti oltre i centomila morti e i sei milioni di rifugiati siriani. “Troppi interessi di parte –ha scritto il Papa a Putin- hanno impedito finora l’inutile massacro!”

Il presidente degli USA, B. Obama ha già deciso l’attacco. Aspetta solo il consenso del Congresso. (Non così Hollande che è già pronto). Purtroppo il Presidente statunitense è prigioniero del “Complesso Militar-Industriale americano”(così lo definiva Eisenhower), che investe oltre 700 miliardi di dollari all’anno in Difesa. Queste armi servono a difendere lo stile di vita del 20% del mondo che consuma l’80% delle risorse del Pianeta. La guerra è insita in questo nostro Sistema di morte.

Ma noi non ci rassegniamo, siamo anche noi prigionieri di quell’antico Sogno del profeta Isaia: “Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, non impareranno più l’arte della guerra.”

Per questo, credenti e non credenti, ma amanti della pace, accogliamo l’invito di Papa Francesco a digiunare, possibilmente insieme, davanti alle chiese o nelle piazze. E i credenti di tutte le religioni si ritrovino nelle chiese, nei luoghi di culto, nelle sinagoghe e nelle moschee, a pregare l’unico Dio, che è il Dio della vita e non della morte.

Ma non basta per noi italiani, pregare e digiunare se non ci impegniamo a costruire la pace nella quotidianità con un impegno serio a:

-accettare la nonviolenza attiva e viverla nelle nostre relazioni familiari, sociali, culturali, religiose;

-premere perché il governo italiano non accetti di partecipare alla guerra in Siria e non permetta l’uso delle nostre basi militari per questo attacco;

-rifiutare che il governo italiano spenda 26 miliardi di euro in Difesa come ha fatto lo scorso anno (3 milioni di euro ogni ora!);

-annullare l’acquisto dei 90 F35, che ci costeranno 15 miliardi di euro;

-rifiutare che Sigonella (Sicilia) diventi la capitale mondiale dei droni e Niscemi (Sicilia) diventi il più importante centro mondiale delle comunicazioni militari.

Solo così questa giornata di preghiera e di digiuno, indetta da Papa Francesco, potrà essere efficace e far ripartire con forza in questo paese, un movimento unitario per la pace (non è concepibile che le varie realtà che operano in Italia per la pace non riescono a creare un unico grande movimento!).

La Pace può e deve sbocciare sulla faccia della Terra.

Alex Zanotelli




p. Maggi commenta il vangelo

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Commento al vangelo della XXIIIa domenica del tempo ordinario di p. Alberto Maggi
Lc 14,25-33: “CHI NON RINUNCIA A TUTTI I SUOI AVERI NON PUO’ ESSERE MIO DISCEPOLO”

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Nel vangelo di questa domenica Luca presenta le tre radicali condizioni che Gesù ha posto a quanti lo vogliono seguire.
Il contesto qual è? Gesù sta andando verso Gerusalemme ed è seguito da tanta gente che, per un malinteso senso del messia, lo segue pensando poi di andare a spartirsi il potere e il bottino. Pensano che Gesù sia il glorioso messia, il figlio di Davide, che va a restaurare il defunto regno di Israele, e non hanno compreso che Gesù è il figlio di Dio, quello che non va a togliere il potere, ma a donare la propria vita a Gerusalemme.
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E scrive l’evangelista, vangelo di Luca, cap 14 versetti 25-33, che “una folla numerosa”, molta folla, “andava con lui”. Allora Gesù, sentendo questo equivoco, questa gente che lo segue per un malinteso senso, per l’interesse, “si voltò e disse loro …”, ed è la prima radicale condizione, “«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita…»”, in greco adopera il termine ‘psyché’ che significa ‘se stesso’, “«non può essere mio discepolo».
Gesù in precedenza denunciando, al pranzo con il fariseo, i legami di interesse che legavano questa cricca, questa setta, e i legami dettati dall’amicizia, dalla parentela, dagli interessi, ebbene, nel gruppo di Gesù tutto questo deve essere sciolto.
Talmente sciolto che l’adesione a Gesù deve andare al di là dei vincoli familiari, e, in particolare, c’è l’immagine della moglie perché nella parabola che Gesù in precedenza ha comunicato ai suoi, uno degli ostacoli che uno presenta per andare a questo banchetto del regno è “ho preso moglie perciò non posso venire”.
Quindi la prima condizione radicale è che l’adesione a lui deve andare al di sopra dei vincoli familiari, tutto il contrario di quello della cricca, della setta dei farisei, dove tutto si faceva per l’interesse del gruppo.
La seconda condizione radicale è l’accettazione del disprezzo della società e quindi la grande solitudine. Infatti, afferma Gesù, “«Colui che non porta la propria croce»”, letteralmente “chi non solleva la propria croce”, “«E non viene dietro a me, non può essere mio discepolo»”.
E’ la seconda volta che appare il tema della croce, tema che, ricordo, non riguarda mai la sofferenza, i momenti tristi che la vita inevitabilmente fa incontrare, mai la croce nei vangeli ha questo significato, ma sollevare la croce significa accettare il disprezzo della società perché quelli che venivano condannati a questa infamia erano considerati la feccia della società.
E, in particolare, Gesù si rifà al momento preciso in cui il condannato doveva lui sollevare l’asse orizzontale della croce. Da quel momento doveva andare verso il luogo dell’esecuzione circondato da ali di folla per le quali era un dovere religioso insultare e malmenare il condannato.
Quindi la seconda condizione radicale è accettare la solitudine e il disprezzo da parte della società. Poi Gesù, con due esempi che riguardano la torre e la guerra, chiede di calcolare le proprie forze però, ed è questo l’importante, non vuole scoraggiare chi non ha forza, ma di mettere la propria forza nell’azione dello Spirito.
Quindi sapere i propri limiti e proprio per questo contare su quella che è la potenza per eccellenza di Gesù, la forza dello Spirito.
E lo shock, la sorpresa finale, a quanti lo seguono per spartirsi il bottino dichiara: “«Così chiunque di voi»”, e qui a chi si attendeva chissà quale consiglio spirituale, chissà quale norma ascetica, Gesù pone come condizione per essere discepolo, la terza, “«Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»”. La rinuncia a tutto quello che si possiede, non mettere la sicurezza in quello che si ha, ma mettere la propria sicurezza in quello
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che si da, perché Gesù vuole al suo seguito soltanto persone libere. Infatti le tre condizioni per la sequela sono tutte scelte di libertà e per la libertà.
In particolare questo fatto della rinuncia agli averi si rifà a quanto Gesù aveva detto in precedenza nella parabole, dove tra i pretesti per non partecipare a questo banchetto c’era quello che ha detto “ho comprato un campo” e l’altro “ho comprato cinque paia di buoi.
Quindi il possesso degli averi di quello che si ha è un impedimento. Bene, allora sono tre condizioni radicali, tutte quante all’insegna della libertà; soltanto chi è pienamente libero può seguire il Signore. Gli altri? Gli altri tutti a casa.