il card. Berone sulla riforma dello IOR

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Quella dello Ior è una riforma necessaria, per assicurare ad una “grande risorsa della Chiesa” criteri “di onestà e trasparenza”. Il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, rompe il silenzio sul delicato tema dell’Istituto per le Opere di Religione travolto dagli ultimi scandali prima di immergersi tra le montagne della Valle d’Aosta per un breve periodo di riposo. Lo fa per ribadire la propria adesione alla linea di Papa Francesco, ricordando, però, che il processo di rinnovamento della ‘banca’ vaticana era già partito prima del pontificato di Bergoglio.

“Io sono presidente della Commissione cardinalizia di vigilanza e questo processo l’abbiamo iniziato già prima dell’arrivo di Papa Francesco”, dice ad un cronista dell’Ansa il porporato, giunto questa mattina a Les Combes di Introd per una vacanza nella ‘casa dei Papi’. Dieci giorni all’insegna della massima riservatezza, tra momenti di preghiera e di studio alternati a lunghe passeggiate sui sentieri in passato percorsi da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Ed è proprio nell’ultima parte del pontificato di Ratzinger che, ricorda Bertone, è stata avviata la riforma dello Ior poi proseguita da Bergoglio. “Papa Francesco ha preso delle decisioni ben precise – sottolinea il segretario di Stato Vaticano – confermando così la propria concretezza”. E, aggiunge il cardinale piemontese, anche “conoscenza, capacità di approfondire i problemi e di prendere da tutto il mondo”, attingendo alle “competenze e professionalità maggiori proprio per il bene della Chiesa e per il bene della società”.

Di questo, del resto, ha bisogno quella che Bertone ribadisce essere “una grande risorsa”, in grado di “aiutare il Papa in progetti di promozione umana, di sviluppo, di educazione, di assistenza sociale che fanno apprezzare l’azione umanitaria della chiesa in tutti i Paesi, specialmente in quelli del cosiddetto terzo e quarto mondo”. Al centro di varie inchieste giudiziarie, tra cui quella che ha coinvolto l’ex capo-contabile dell’Apsa monsignor Nunzio Scarano, e di costanti polemiche, nelle quali alcuni si sono spinti sino ad auspicarne l’abolizione, lo Ior non poteva sperare in migliore ‘spot’. Che, al tempo stesso, è anche un richiamo ai criteri di onestà e trasparenza, sottolinea il porporato, che devono guidare “qualsiasi istituzione finanziaria”. A maggior ragione quella della Chiesa, che questi principi – conclude – deve “rafforzare”.




p. Maggi commenta il vangelo di domani: lc.12,13-21

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domenica 17° del tempo ordinario

commento al vangelo della liturgia di domani: il ricco stolto – Lc. 12,13-21: “quello che hai preparato di chi sarà?”

 

 

Lc 12,13-21
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni.
Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Mentre Gesù sta parlando di fiducia nel Padre viene interrotto da chi invece la fiducia la pone nel denaro. Gesù parla di sicurezza in Dio e c’è chi invece la sicurezza la pone nei suoi beni. Sentiamo il Vangelo di Luca.
“Uno della folla gli disse: «Maestro»” e il verbo è all’imperativo, “«dì a mio fratello che divida con me l’eredità»”. Quindi il problema è la solita antica questione della spartizione dell’eredità. Ma Gesù rifiuta. Per Gesù ogni eredità è frutto dell’avarizia e della cupidigia, atteggiamenti che chiudono irrimediabilmente l’uomo a Dio. Allora Gesù gli risponde “« O uomo, chi mi ha costituito giudice o divisore…»” – è la stessa risposta a quel verbo che è stato richiesto “divida con me l’eredità” – “«… sopra di voi?»”.
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Poi si rivolge ai discepoli, e quindi Gesù rifiuta di porsi come mediatore in questioni di eredità e di interesse, poi mette in guardia i discepoli con queste parole molto severe. “E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia»”.
Gesù pone con molta severità questo richiamo, l’ingordigia, l’accumulo dei beni. Perché? Dice Gesù: “«Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni»”. E qui l’evangelista mette tre volte questo termine sintomo dell’avere, la cupidigia, l’abbondanza, i beni.
La vita di un uomo non dipende da quello che ha, ma da quello che da. “Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé.»“ – attenzione su questo verbo ‘ragionare’ che Gesù poi ridicolizzerà. Lui pensa di ragionare tra sé. Come pensa il ricco? Il ricco pensa sempre per sé, pensa che tutto gli sia dovuto. Non pensa minimamente che possa regalare, o almeno condividere o far servire questa abbondanza per aiutare gli altri.
“«Che farò poiché non ho dove mettere i miei raccolti?»” Allora lo sappiamo qual è il suo ragionamento, “«demolisco i miei magazzini e ne costruisco di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni»”.
Ecco di nuovo questa ossessione dei beni, della roba che uno ha. “’Poi dirò’”, letteralmente ‘”Anima mia…’”. – anima significa la persona stessa – “…hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti!’”
Quindi pensa esclusivamente a sé, al suo tornaconto, al suo interesse. Ecco la sorpresa, tanto più sorprendente in un ambiente culturale dove si pensava che la ricchezza fosse una benedizione divina. Il ricco era colui che era benedetto da Dio, e il povero maledetto. Ed ecco il Dio di Gesù completamente diverso.
“Ma Dio gli disse: «Scemo»”. So che i traduttori traducono con ‘stolto’, ma stolto è troppo leggero; il termine adoperato dall’evangelista è molto forte. Noi non diciamo a una persona ‘stolto’, ma scemo. E dice scemo a quello che pensava di ragionare.
Quindi i ragionamenti del ricco sono ragionamenti di uno scemo. “«Scemo! Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato per chi sarà?»”’
Quindi tutta questa tua fatica, tutto questo tuo avere, tutta questa tua bramosia, e poi? Questo termine scemo Gesù l’ha adoperato già per i farisei che ha rimproverato perché fanno tutto per il proprio interesse, e anche se dall’aspetto sembrano puri, dice “il loro interno è pieno di rapina e di iniquità”.
Quindi il richiamo è a questa categoria di persone religiose che sanno però al contempo essere anche tanto attaccate ai soldi, tra un salmo e l’altro controllare la cassa era un esercizio che le persone religiose, le persone pie , sanno fare.
Ed ecco allora il monito finale di Gesù, “«Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio»”. Il tesoro è quello che da la fiducia: o uno mette la fiducia nel Padre e quindi liberamente mette la propria vita – con quello che è e quello che ha – a servizio degli altri o lo mette nei suoi beni. La conclusione l’abbiamo vista.