Il leghista Boso: «Felice se i barconi affondano» – POLITICA
non c’è limite all’indecenza, alla spietatezza e alla disumanità
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Il leghista Boso: «Felice se i barconi affondano» – POLITICA.
non c’è limite all’indecenza, alla spietatezza e alla disumanità
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Il leghista Boso: «Felice se i barconi affondano» – POLITICA.
Un giovane di 21 anni, un sinto pieno di vitalità, Sean Bianchi, è morto in seguito alle ferite riportate in un violentissimo scontro contro un palo in via delle Pierone. Bianchi era in sella al suo scooter, provenendo dalla Santissima Annunziata e diretto verso il centro città. Per cause che dovranno essere chiarite, ha perso il controllo dello scooter ed è finito violentemente contro un palo dell’illuminazione, mentre il mezzo è volato alcune decine di metri oltre, nel giardino di una casa.
Gli abitanti del posto, sentendo lo scontro, hanno immediatamente chiamato i soccorsi: le condizioni di Bianchi sono apparse subito disperate e il giovane è morto poco dopo il suo ricovero al pronto soccorso del Campo di Marte. E proprio qui si sono registrati alcuni momenti di tensione. Un gruppo di amici di Bianchi, infatti, ha affollato la sala d’aspetto chiedendo a gran voce di sapere chi era il responsabile della tragedia.
La vittima dell’incidente era originario di Aprilia ma ormai da tempo viveva nella nostra città con i genitori. Sena è stato anche un apprezzato giocatore di calcio nell’Atletico Lucca e nella Fortis, partecipando anche al Torneo delle province fra i giovanissimi. Sean, figlio unico, era fidanzato.
09 luglio 2013
segnalo, anzi offro all’attenzione e alla meditazione di ciascuno che voglia un po’ riflettere e lasciarsi trasformare dalla realtà una bellissima riflessione di A. Sofri apparso oggi su La repubblica in merito al viaggio di papa Francesco a Lampedusa
una riflessione che culmina rievocando la figura di Caino indicata dal papa stesso nella lettura biblica appositamente inserita e voluta da lui nella celebrazione eucaristica
la figura di Caino toglie alla tragedia degli annegati, pubblicamente commemorata in una grande e globale liturgia funebre e penitenziale, il sapore della sventura ineluttabile, per assimilarla all’omissione di soccorso e anzi all’omicidio in una mondiale ‘globalizzazione dell’indifferenza’
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le prime pagine dei quotidiani italiani in occasione dell’incontro do papa Francesco coi migranti a Lampedusa
un piccolo miracolo fatto dal papa: almeno per oggi sembra che nessun quotidiano parli di ‘clandestini’
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La ricchezza delle 4 persone più ricche del mondo, è superiore al prodotto interno lordo dei 47 paesi più poveri del mondo. La ricchezza delle 80 persone più ricche del mondo, è superiore al PIL della Cina cioè la ricchezza di 1 miliardo e 300 milioni di persone. Il 4% della ricchezza delle 200 persone più ricche del mondo sarebbe sufficiente per i primi interventi dal punto di vista sanitario, scolastico, alimentare, idrico dell’intera umanità.
Questo vuol dire che il mondo è gestito da 2-300 persone o poco più. “ (Gino Strada)
Migrante Nostro,
che sei nei centri,
sia rispettato il tuo nome
venga il giorno in cui ovunque
la terra ti accolga,
ti sia restituita la tua Dignità,
come in mare,
così in terra.
Che non ti sia negato il pane
quotidiano,
perdona a noi la violazione dei
tuoi diritti
come noi ci impegniamo a non
esserti più debitori.
E non ricorriamo ingiustamente
alla detenzione
ma liberiamoti dal mare…
Amen
Amnesty International
dopo le parole, la richiesta di riforme vere
preti e laici della diocesi di Lucca scrivono al papa e lo invitano alla coerenza su: collegialità, ruol0 della donna nella chiesa, preti sposati, finanza
Lo hanno preso sul serio, papa Francesco, quando parla di collegialità, quando sostiene che «il vero potere è il servizio» che ha «il suo vertice luminoso sulla Croce» e che, in quanto servizio, rimanda all’idea di «azione di governo» come «amministrazione», piuttosto che come imperium. Lo hanno preso sul serio, e gli hanno scritto, inviando a lui, ai vescovi toscani ed alla stampa le loro richieste di riforma nella vita della Chiesa. Sono un’ottantina di credenti della Versilia, la cui riflessione è stata guidata ed animata da tre preti piuttosto noti in zona: don Lenzo Lenzi, storico della Chiesa, esperto in particolare delle vicende ecclesiali del lucchese, parroco dei Sette Santi alla Darsena (la parrocchia cui appartiene anche la Chiesina del Porto, costruita da don Sirio Politi e dove giacciono le sue spoglie), animatore nel 2012 di una campagna di boicotaggio che ebbe una certa eco in zona e che chiedeva ai parrocchiani di evitare bar ed esercizi commerciali che ospitavano videopoker; don Antonio Tigli, già assistente nazionale dell’Azione Cattolica Ragazzi tra gli anni ‘70 e ‘80 ed attuale parroco a Don Bosco; don Bruno Frediani, da sempre a fianco dei migranti, ma anche fondatore e presidente del Ce.I.S. Gruppo “Giovani e Comunità” di Lucca (che si occupa di disagio, emarginazione, tossicodipendenza, ma anche di assistenza domiciliare, agricoltura biologica, turismo sociale). Alla stesura definitiva del testo ha contributo anche un laico, Pierangelo Sordi, collaboratore del settimanale diocesano di Pontremoli, il Corriere Apuano.
Il documento si inserisce sulla scia di analoghe iniziative di tante comunità di credenti, in varie parti di Italia: la prima fu quella della “Lettera alla Chiesa Fiorentina”, del 2007; nello stesso anno ci fu quella promossa da un gruppo di credenti poi riunitosi sotto la sigla “chiccodisenape” a Torino; e, più recentemente, la lettera dei gruppi aderenti alla Rete dei Viandanti inviata a tutti i vescovi italiani (v. Adista Notizie n. 11/13). «Noi riteniamo necessario – scrivono i cattolici della Versilia – che quei gruppi divengano sempre più numerosi; che i loro membri siano collaboratori attivi di parroci di grandi o piccole parrocchie, o che lavorino nelle Curie vescovili. Così approfondiranno le loro convinzioni sulla necessità di riformare la vita della Chiesa, le potranno comunicare nei modi più ampi possibili ai credenti che ancora non vedono tali necessità e le potranno inviare ai vescovi locali e alla S. Sede».Del resto, sottolineano, basta leggere il comma 3 del canone 212 del Codice di Diritto Canonico – il quale afferma che i fedeli hanno «il diritto, e anzi talora anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto anche agli altri fedeli» – per capire che tali iniziative non si iscrivono nell’alveo di alcuna contestazione o disobbedienza; ma nel legittimo, e anzi doveroso, esercizio del carisma laicale e presbiterale.
Meno papa, più sinodo
La riflessione parte così affrontando anzitutto l’attualissimo tema della collegialità: i firmatari chiedono che, nella preparazione di un sinodo, «le elezioni delle Conferenze episcopali non debbano essere approvate dal papa; che ai vescovi elettori ed eletti al sinodo sia data ampia libertà di indicare alcuni problemi che il sinodo potrà discutere, di presentare i propri modi di vedere i problemi proposti ai padri sinodali dalla S. Sede, i propri modi di affrontarli per cercare di risolverli». «Inoltre, si ritiene necessaria la pubblicazione integrale degli Atti dei Sinodi episcopali, delle discussioni e delle decisioni, in modo che sia possibile a tutti informarsi totalmente dei lavori sinodali».Si passa poi alla elezione del papa. Qui il documento chiede «che si abbandoni la prassi di eleggere necessariamente un cardinale» e che il papa «venga eletto non dai cardinali, ma dai vescovi dell’ultimo sinodo convocato, o da un gruppo di vescovi residenziali, anche non cardinali, eletti ogni 3-5 anni dalla Conferenza episcopale del proprio Stato (o di gruppi di Stati) e pronti, anche nel caso di morte improvvisa del papa, a venire a Roma ad eleggere il successore, essendosi tenuti informati delle persone più adatte a venire elette papa». Infine, si legge nel documento, «non si capisce quali siano i motivi per i quali la legge delle dimissioni dei vescovi al compimento dei 75 anni non valga anche per i papi, che sono tali solo perché vescovi di Roma. Per cui sarebbe del tutto logico che quella legge fosse obbligante anche per loro, ovviamente sottoposti, come tutti, ad infermità ed invecchiamento».
Trasparenza finanziaria e solidarietà
Altra vexata quaestio, quella delle finanze vaticane. La riforma profonda dello Ior, sostengono i credenti della Versilia, appare indispensabile e non più prorogabile. Riteniamo necessario «che lo Ior pubblichi integralmente il proprio bilancio, che sia orientato alla massima trasparenza e segua non soltanto le normative europee, ma si attenga alle disposizioni delle banche etiche. Queste non finanziano né la malavita, né la produzione di armi, né, in generale, tutto ciò che è contro l’essere umano». Per quanto riguarda l’immenso patrimonio immobiliare di proprietà della S. Sede, dai cui affitti si trae «un guadagno immenso», «utilizzato soltanto per i sacerdoti e per le diocesi senza dare conforto ai bisognosi di qualsiasi nazionalità», serve – afferma il documento – «una gestione trasparente. La maggior parte degli immobili proviene infatti da donazioni lontane nel tempo ed una rendicontazione puntuale si rivela indispensabile. La stessa necessità di trasparenza richiede una struttura efficiente con ampio uso di persone e mezzi». Certo, è pur vero che «nei confronti dell’intera umanità, la S. Sede ha il dovere di conservazione di opere artistiche, sia pittoriche, che scultoree, che architettoniche», ha «il dovere di contribuire allo sviluppo della cultura, continuando ad arricchire di volumi e di carte la Biblioteca Apostolica Vaticana e l’Archivio Vaticano», ma
tutto questo deve avvenire «con azioni che siano insieme ragionevoli e, ancora una volta, trasparenti». Inoltre, i firmatari chiedono anche «che la S. Sede studi la possibilità di utilizzare capitali per la vita interna della Chiesa, per dare aiuti maggiori, rispetto a quanto avvenuto fin qui, ai disoccupati, alle famiglie in difficoltà, ai popoli che hanno ancora un tenore di vita bassissimo, che mancano di istituzioni ospedaliere, che non hanno la possibilità finanziaria di acquistare farmaci già in uso da anni da popolazioni più ricche e che soffrono per questi e molti altri problemi».
Donne, preti sposati e formazione
Dopo aver analizzato alcune questioni di organizzazione interna della Chiesa italiana, suggerendo la riduzione del numero delle diocesi e l’accorpamento di molte parrocchie, il documento avanza proposte molto coraggiose, come l’abrogazione dell’obbligo del celibato per i presbiteri e la necessità di «promuovere le donne al diaconato (il concilio Ecumenico di Calcedonia del 451, canone XV, dà norme sulle diaconesse, che quindi esistevano) e al presbiterato», non tanto «come soluzione alla scarsità dei presbiteri», ma proprio a motivo dell’atteggiamento di Gesù «nei confronti delle donne e del loro modo di essere presenti, partecipi e protagoniste nelle comunità apostoliche». Collegato a questo tema, inevitabilmente, c’è quello della formazione dei candidati a diventare presbiteri. «Gli uomini, giovani e adulti, che vengono ordinati oggi, spesso hanno ricevuto la formazione in un movimento di forte intensità religioso-devozionale, hanno una spiritualità individualistico-intimista, sussiste in molti una mentalità profana con un alto tasso di ignoranza sul ruolo dei laici nella Chiesa, sul ministero sacro come servizio a tempo pieno e non a orario da impiegati». Nell’attesa di una riforma complessiva dei criteri di accesso al sacerdozio e della formazione dei candidati, il documento suggerisce «l’ordinazione al presbiterato di uomini sposati, preferibilmente non sotto i quaranta anni e non oltre i cinquantacinque».Bilanci parrocchiali e politica ai laiciSulla questione della partecipazione dei laici alla vita delle comunità parrocchiali e diocesane, il documento non si spinge fino a chiedere la perfetta orizzontalità tra laici e consacrati, con i parroci ed i vescovi primi inter pares all’interno degli organismi pastorali (eppure, i più significativi esperimenti di Chiesa conciliare realizzata furono proprio quelli che tra gli anni ‘70 ed ‘80 videro preti e parrocchiani lavorare in maniera paritetica – e su tutti i temi – all’interno dei consigli parrocchiali e diocesani); auspicando piuttosto una legge che imponga ai parroci «di affidare tutto il lavoro amministrativo, compresa la pubblicazione del bilancio annuale della parrocchia, a dei laici competenti e di fortissima moralità». Per poi concludere che «la corresponsabilità dei laici, quindi, deve essere non solo tollerata, ma promossa».
così papa Francesco sull’altare-barca a Lampedusa:
“Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte”. Così il titolo nei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta, non si ripeta per favore. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà. Grazie!
Grazie anche all’Arcivescovo Mons. Francesco Montenegro per il suo aiuto e il suo lavoro e la sua vicinanza pastorale. Saluto cordialmente il sindaco, signora Giusy Nicolini. Grazie tante per quello che lei ha fatto e fa. Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno oggi, alla sera, iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie.
Questa mattina alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti. «Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei, Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello. Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza; tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito.
«Dov’è tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà – e le loro voci salgono fino a Dio. E un’altra volta a voi, abitanti di Lampedusa, ringrazio per la solidarietà! Ho sentito recentemente uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui, sono passati per le mani dei trafficanti, quelli che sfruttano la povertà degli altri; queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto. E alcuni non sono riusciti ad arrivare.
«Dov’è tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno. Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro.
Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto. «Adamo dove sei?», «Dov’è tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere. Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. «Chi ha pianto?», chi ha pianto oggi nel mondo?.
Signore in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo, Padre, perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore; Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?».”
preoccupante!
ma tutto sommato ‘normale’! i ‘fedeli’ sono lo specchio della loro guida ‘spirituale’: questo è ciò che davvero preoccupare
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